Facebook: censura a senso unico?

È accaduto recentemente: Facebook ha oscurato le pagine di Casapound e Forza Nuova. Trattandosi di due organizzazioni politiche, la cosa ha destato un certo scalpore; ma non è la prima volta che enti o persone scoprono di essere stati censurati «dall’algoritmo» del social media. Possiamo citare Marcello Veneziani, Mario Adinolfi, la caporedattrice di Sputnik News… la lista sarebbe lunga. Essi diffonderebbero odio. Il tema dei «discorsi d’odio», o hate speech, meriterebbe un approfondimento, ma non divaghiamo. Il punto è che Facebook non si sogna neppure di censurare chi minaccia di morte Salvini o chi gli dà del «miserabile pagliaccio». Nessuno ha sospeso la giornalista di Repubblica che ha dichiarato di avere «il diritto di fare una strage», di «sparare» agli esponenti di Lega e 5stelle (ovviamente prima della formazione del nuovo governo…). Questi non sono «discorsi d’odio»? Perché talvolta sono censurabili e talvolta non lo sono? La censura è allora a senso unico?

Fenomeni simili si verificano in tutto l’Occidente. Negli Stati Uniti è possibile ricoprire il presidente Trump di insulti; persino inscenare la sua morte violenta. Nonostante ciò, la sola esposizione di idee contrarie alla vulgata liberal viene considerata «violenza» (ecco due video che lo dimostrano: 1 [https://www.youtube.com/watch?v=LaERkte8ylA ] e 2[https://www.youtube.com/watch?v=wK-XjdN1IKs ]).

Queste cose accadono persino in Polonia. Il cattolico docente universitario professor Nalaskowski è stato sospeso dall’insegnamento per aver criticato l’ideologia LGBTQ. Ma nessun provvedimento è stato preso contro il suo collega ebreo, il professor Hartman, che insulta continuamente e pubblicamente i cattolici…

Sembra un’ingiustizia: se qualsiasi discorso che mette a disagio qualcuno è «violenza», non importa chi pronuncia questo discorso o verso chi è rivolto. Lo vuole il buonsenso, la logica.

Eppure, questo fenomeno, è perfettamente coerente con il pensiero che fonda la nostra società liberale.

L’epistemologo ebreo Karl Popper (1902-1994), considerato uno dei più importanti esponenti contemporanei del liberalismo, ha trasmesso il suo pensiero politico in un libro intitolato La società aperta e i suoi nemici. In questo testo il professore austriaco spiega che ogni società evolve verso la «società aperta», una società in eterno cambiamento (un altro cattedratico ebreo centro—europeo la definirà «liquida»). Questo eterno cambiamento è dovuto al fatto che ogni idea «nuova», per quanto strana e scandalosa possa apparire, è accettata. Si pensi, ad esempio, alle culture portate dagli immigrati irregolari, o l’ideologia di genere. Tolleranza per tutti, quindi? Assolutamente no: «Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi. In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può facilmente avvenire che essere non siano disposte a a incontrarci a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendano di ripudiare ogni argomentazione […] Noi dovremmo quindi proclamare che ogni movimento che predica l’intolleranza si pone fuori legge e dovremmo considerare come crimini l’incitamento all’intolleranza e alla persecuzione, allo stesso modo che [sic] consideriamo un crimine l’incitamento all’assassinio, al ratto o al ripristino del commercio degli schiavi» (K. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando editore, Roma 2014, vol. 1, pp. 262-263, nota 4). Le argomentazioni intolleranti possono, dunque, essere tollerate fino a quando esse non cominciano a diffondersi, a prendere piede nell’opinione pubblica, a rispondere; poi debbono essere censurate, messe fuori legge, soppresse «anche con la forza».

Ma chi sono gli intolleranti? Alcuni sostengono che gli intolleranti siano i violenti; ma Popper non lo dice. Egli parla di violenza in Cattiva maestra televisione (e invoca, anche qui, la censura); ma non ne La società aperta e i suoi nemici. Chi sono, dunque, gli intolleranti? Lo spiega, nell’introduzione, il professor Dario Antiseri, divulgatore dell’opera di Popper e esponente del pensiero liberale: «[…] fonte privilegiata dell’intolleranza è la presunzione fatale di credersi possessori di una verità assoluta, dell’unico valore, di essere nel diritto e di avere il dovere di imporre questa verità e questo valore» (p. 7). Platone, che è l’oggetto degli strali di Popper in quest’ultimo libro, non è propriamente un violento; ma crede nell’esistenza di idee perfette, di un ordine morale e sociale, nella metafisica.

Così come Nalaskowski, Veneziani, Adinolfi, Forza Nuova… Sono loro gli intolleranti e la semplice esposizione del loro pensiero equivale a un reato gravissimo, paragonabile a un atto di violenza, da sopprimere con la forza.

Ora è tutto chiaro, no? La nostra società, sempre più simile alla società aperta descritta da Popper, dà il benvenuto a qualsiasi idea che contrasti il pensiero metafisico, che riconosce un ordine nel mondo, e leggi morali e religiose che da quest’ordine discendono. E ha dichiarato guerra agli «intolleranti», cioè a chi la pensa altrimenti.

Ora, una domanda: chi sono coloro i quali riconoscono in maniera più forte l’esistenza di leggi morali e religiose eterne e universali? Chi crede più decisa l’esistenza di un ordine, un Logos? Addirittura pensa che il Logos si sia incarnato e abbia abitato in mezzo a noi?

Ecco, dunque, i principali nemici della società aperta, della società liberale progettata da Popper e dai suoi allievi, nella quale viviamo.

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