Hanno fatto “santo” Borrelli. Ma era un giacobino feroce

di Corrado Vitale.

Non hanno esagerato, Stefania e Bobo Craxi, quando hanno definito “golpe” l’operazione Mani Pulite condotta da Francesco Saverio Borrelli e dal pool di magistrati della Procura milanese nel fatale biennio 1992-1993. Fu un colpo di mano, non tanto e non soltanto perché spazzò via la classe dirigente della Prima Repubblica (che era comunque destinata al tramonto), ma perché, da quel momento in poi, la magistratura ha inaugurato la prassi  di mettere lo zampino (e in molti casi lo zampone) nella vita politica italiana, in una sorta di “commissariamento” delle istituzioni rappresentative che, in qualche modo, è ancora pienamente in corso, o almeno che continua a essere tentato, come recentemente è dimostrato  dalle prove di incriminazione di Salvini per la sua politica sui migranti.

Borrelli, che in queste ore è oggetto di una sorta di “santificazione” da parte dei mass media, era dunque una “toga rossa”, anzi il capo delle “toghe rosse”? È una spiegazione riduttiva e per certi aspetti fuorviante. In realtà l’ex capo del pool Mani Pulite era un giacobino. E anche dei più intrasigenti. E ciò va detto nel pieno rispetto della persona e nel più convinto cordoglio per la sua scomparsa. Giacobino non è una cattiva parola, è solo una definizione ideologica, un termine che aiuta a capire una fase di passaggio nella recente vicenda storico-politica italiana (e non solo): quella del tramonto della “politica” e dell’ascesa della “giurisdizione” come massima regolatrice della vita associata, con l’”etica” che si fa giudice della “realpolitik”, trasfomandola da virtù da uomo di Stato a vizio da politicante. Non importa se il politico governi bene o male, l’importante è che non si macchi dell’orrendo crimine della corruzione.

Il fatto che l’interventismo dei magistrati sia stato associato alla sinistra è una circostanza dovuta solo alla dabbenaggine della sinistra stessa, una caduta d’intelligenza il cui primo responsabile fu Achille Occhetto (pensava che sarebbe andato al governo sull’onda delle inchieste dei giudici) e che ha in vario modo condizionato tutti i leader dell’ex Pci, poi Pds, poi ancora Ds e infine Pd, a seguito del connubio con gli ex democristiani di sinistra. La dabbenaggine è dipesa dal fatto che la sinistra, facendosi giustizialista, ha perso la sua anima, passando dal progressimo al giacobinismo. E alla fine è rimasta schiacciata dallo stesso meccanismo che pensava di controllare.

Non sono però mancati, a sinistra, gli spiriti liberi da pregiudizi, gente che ha saputo vedere il pericolo dall’inizio e che ha provato a frenare tale pericolosa deriva.  Uno di questi è Giovanni Pellegrino, che negli anni Novanta passò dalla presidenza della Giunta per le Immunità del Senato a quella della Commissione Stragi. In un libro intervista con Giovanni FasanellaLa guerra civile, Pellegrino parlò del «disegno egemonico» concepito da una parte dei magistrati sul finire della Prima Repubblica, attirandosi con ciò le ire di una parte consistente dei pm d’Italia. E uno dei critici più duri fu appunto Borrelli.

La sinistra italiana fu sorda a quell’allarme. Mal gliene incolse. Dopo aver perso l’anima, alla fine ha perso anche i voti.

Fonte: Secolo d’Italia

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