Il Padre Pio di Chiron

99221349-d627-4e42-bd57-27d7bf5a18dfFigure come quella di padre Pio da Pietrelcina (1887-1968) resteranno sempre fascinose e intricanti, sia per il devoto che per lo storico. Certo, i santi della cristianità sono molti e tutti hanno avuto qualche dimensione meravigliosa, eccezionale e irripetibile. Non tutti però sono assurti al ruolo di emblema, e non tutti hanno suscitato nel mondo e nella Chiesa una folla innumerevole di seguaci, uomini di preghiera e zelanti apostoli, come riuscì a fare con fermezza, ironia e dolcezza il novello Francesco del Gargano.

Lo Chiron, storico tra i meglio attrezzati oggi, è un biografo e un agiografo specializzatosi nelle vite dei pontefici d’età contemporanea (da Pio IX a Paolo VI, passando per Benedetto XV, Pio XI e Giovanni XXIII). Ed ha una rara capacità di descrivere con semplicità le questioni storiche-teologiche più ingarbugliate e complesse.

Anche questo testo, dedicato agli aspetti più controversi di Francesco Forgione, non fa eccezione (cf. Yves Chiron, Padre Pio. Vérités, mystères, controverses, Tallandier, 2019).

Ma quali sono gli aspetti più discussi del mistico cappuccino? Certamente, quelli che lo rendono unico nel XX secolo, cioè i fenomeni straordinari come le stigmate portate dolorosamente per mezzo secolo, la transverberazione, le bilocazioni e gli altri miracoli (tra cui le visioni di Gesù, Maria, satana…).

Parallelamente, lo Chiron tratta anche delle questioni che oggi sono risorte anzitutto a causa di alcuni lavori storici piuttosto orientati (tra tutti il Padre Pio di Sergio Luzzatto del 2007, che avevamo criticato a suo tempo su Nova Historica). Tra queste, il rapporto tra il sacerdote e il fascismo, o le varie persecuzioni subite dal santo da parte del sant’Uffizio, prima sotto Pio XI, poi sotto Giovanni XXIII.

Dopo una breve vita di Padre Pio (pp. 11-60), l’autore entra nel vivo delle polemiche sulla stigmatizzazione, descrivendo sinteticamente le varie missioni mediche che si sono succedute negli anni per la verifica dell’autenticità delle stigmate. La missione Romanelli (1919), la missione Bignami (1919), la missione Festa (1919) e la famosa ed improvvisata visita di padre Gemelli del 18 aprile 1920.

I giudizi più severi su Padre Pio non furono paradossalmente quelli dei medici non credenti, come il professor Bignami, “titolare della cattedra di patologia medica” (p. 71) a Roma, ma quelli del francescano-psicologo, benemerito fondatore della Cattolica di Milano, padre Agostino Gemelli.

Nel rapporto che Gemelli invierà al s. Uffizio, egli non solo nega il carattere sovrannaturale delle stigmate di Padre Pio, ma secondo lui il cappuccino “non presenta nessuno degli elementi caratteristici della vita mistica” (p. 80). Successivamente il Gemelli, in occasione del settimo centenario della stigmatizzazione di san Francesco, pubblicherà uno saggio su Studi Francescani in cui affermerà perentoriamente che l’assisiate fu “il solo vero stigmatizzato” (p. 89). Evidentemente, escludendo Padre Pio e gli altri che la storia ricorda.

Ma la Civiltà cattolica dei padri gesuiti, recensendo libri e riviste dedicate all’anniversario francescano, osserverà che dire che san Francesco sia l’unico santo ad avere avuto le stigmate “non è né esatto né prudente” (p. 90).

Le accuse fatte fin dagli anni ’20 a Padre Pio, e incessantemente ripetute fino ad oggi, sono di essersi auto-stigmatizzato (Gemelli lo mette perfino in relazione ai “soldati autolesionisti”), oppure di avere quei segni misteriosi per “isterismo”, “suggestione ipnotica”, “stato morboso”, “istrionismo”, etc. Ovvero le stigmate avrebbero cause naturali, se non criminose, e non sarebbero veri miracoli.

Secondo l’autore si tratta di questioni ormai superate e risolte – sia dal punto di vista medico che teologico – durante il processo di canonizzazione aperto dopo la morte del santo e conclusosi nel 2002, con la solenne canonizzazione da parte di Giovanni Paolo II.

Un altro tema interessante studiato dallo storico riguarda il rapporto tra Padre Pio e il sant’Uffizio, dai primi anni 20 alla morte (pp. 133-211). Tutto iniziò a causa della deposizione di un medico, il dottor Valentini-Vista e di una sua nipote, i quali dichiararono che Padre Pio aveva chiesto “nel più grande segreto” di procurargli dell’acido fenico e della vetranina (cf. pp. 140-141). L’ordinario del luogo di s. Giovanni Rotondo, mons. Gagliardi scrisse nel 1920 al s. Uffizio denunciando il clima di “fanatismo e idolatria” che circondava il convento, con tanto di commercio di reliquie, vendite di santini del “santo sacerdote”, e manifestazioni di dubbia ortodossia.

Nel 1921 ci fu la prima visita apostolica richiesta dal s. Uffizio e delegata a mons. Rossi, vescovo di Volterra, che restò al convento dal 14 al 21 giugno. E fu favorevole a Padre Pio: dietro le stigmate non c’è né intervento diabolico, né frode o inganno. Benedetto XV si mostrò prudentemente aperto verso padre Pio (cf. p. 150). Ma nel 1922 fu eletto Pio XI e le cose cambiarono.

Padre Pio così fu obbligato a dire la messa in privato, a non rispondere alle lettere che riceveva il convento (70 al giorno in media!), e ad allontanarsi dal suo direttore spirituale, padre Benedetto. Secondo Chiron, Pio XI fu influenzato da padre Gemelli nella “repressione” di Padre Pio, ma anche dalle nuove accuse fatte dal vescovo di Manfredonia, mons. Gagliardi. Nel 1923, il sant’Uffizio pubblicò una dichiarazione ufficiale secondo cui l’origine soprannaturale delle stigmate non era accertata, invitando i fedeli alla prudenza. Si ipotizzò un trasferimento di Padre Pio ad Ancona, poi abbandonato per le proteste della gente, guidate dal sindaco di s. Giovanni Rotondo.

Dal 1931 a Padre Pio fu vietato di celebrare in pubblico e di confessare, di scrivere lettere e di dirigere le anime: si tratta di “una censura, una sanzione penale” (p. 173). Piuttosto grave sia in sé stessa, sia se si pensa alla virtù rara del cappuccino proprio nel convertire le anime e di fare miracoli al confessionale.

Ma già nel 1933, in occasione del XIX centenario della Redenzione, Padre Pio fu autorizzato a celebrare nella chiesa del convento e dal ’34 poté riprendere le confessioni.

Se sotto Pio XII (1939-1958) tutto sarà liscio per il cappuccino, il periodo più difficile nella vita del santo si ebbe con Giovanni XXIII (1958-1963) il quale, definirà Padre Pio, a seguito della visita apostolica di mons. Maccari, come “un idolo di stoppa” (p. 200). A partire dal 1961 si ebbero nuove restrizioni, limitazioni e impedimenti: fu persino vietato ai sacerdoti di servire la messa del cappuccino.

In seguito Paolo VI è definito, dallo Chiron, come il definitivo “liberatore” di Padre Pio. Giovanni Paolo II infine, che aveva visitato da giovane il santo, lo canonizzò contro i desiderata della scuola di Bologna, ostile per principio al misticismo e ai miracoli.

Cosa dimostra tutta questa storia? Che la fede non cancella la ragione ma la illumina; che la grazia non esclude il discernimento, ma lo richiede; e che le stesse autorità ecclesiastiche, pur santamente intenzionate, possono prendere decisioni apparentemente necessarie al bene dei fedeli, ma che poi si rivelano false e perfino dannose.

Purtroppo se tra i laici Padre Pio è ignorato e dai più rispettato, tra i cattolici ancora perdura il partito degli anti Padre Pio. Ma l’obiettivo non è il fraticello del Gargano, bensì la vita religiosa ascetica e penitente, la fede cristallina e senza sconti, e la volontà di convertire il non credente. Il che è un altro segno dei tempi.

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