DDL Pillon: la realtà e le lenti deformanti

affido

Uno strano dibattito si è acceso intorno al DDL Pillon sull’affido condiviso, le parti favorevoli e contrarie sono trasversali, la linea di faglia stavolta non è tra progressisti e conservatori o cattolici, ma tra realisti e idealisti.

La mutazione antropologica è uno dei temi ricorrenti su queste pagine e in genere mi sono trovato a riflettere sulle contrapposizioni tra tradizionalisti e progressisti ma questa è forse la prima volta che l’oggetto della riflessione è un contrasto che vede dalla stessa parte alcuni cattolici insieme ad una parte del progressismo, ad esempio di Repubblica, e dall’altra altri cattolici insieme ad un’altra parte di Repubblica o del Fatto Quotidiano, segno che siamo di fronte a qualcosa davvero d’insolito.

Il DDL Pillon nella sua essenza non fa altro che affermare che i genitori sono sempre due, un fatto che resta tale quali che siano le vicende della vita che possono portare a dividere le loro strade e che in assenza di situazioni particolari che possano indurre scelte diverse, si debba garantire ai figli di poter passare in modo equo il tempo con entrambi. Finora in questi casi la regola era che fosse uno dei due ad essere preponderante (cosa oggetto di controversie lagali) e che questa situazione avesse anche implicazioni economiche (anche queste in genere oggetto di accese controversie).

La cosa sorprendente è che dovrebbe essere un dato oggettivo la parità tra i due genitori (sempre in assenza di rilevanti motivi contrari) e che quindi un’equa ripartizione del tempo di affidamento sia la soluzione migliore. E qui si dovrebbe aprire un chiarimento su questo termine “migliore“, un termine che vuol dire che ci sono altre soluzioni ma che nessuna è “perfetta”, perché la verità elementare nella sua drammaticità è che in una separazione i figli soffrono e non c’è modo di evitarlo, si può solo cercare di limitare i danni e le sofferenze.

Si può solo cercare la soluzione “migliore”. Citando Lev Tolstoj nell’incipit di Anna Karenina “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo” possiamo dire che non esistono due separazioni uguali e che l’infelicità che esse portano ai figli sono tanto certe quanto variabili in tanti modi quanti sono i soggetti interessati, cosa può fare dunque una legge che per forza di cose deve essere uguale per tutti? Tanto per cominciare riconoscere un dato di fatto che, come tutti i dati di fatto, è immutabile: quei figli hanno due genitori che resteranno tali al di là delle loro scelte e dei loro conflitti. Si trattava dunque di superare un meccanismo che finiva per sbilanciare fortemente la presenza di uno a scapito dell’altro, che alimentava conflittualità e rendeva i figli anche uno strumento per colpire la controparte, un meccanismo che non era la soluzione migliore.

Detto questo si può anche fare l’elenco di tutte le sofferenze che questa ripartizione provocherà  ma non è la legge a provocarle, è la separazione e questo lo dico senza minimamente voler colpevolizzare nessuno ma solo come presa d’atto di una realtà oggettiva.

Tornando al discorso iniziale, intorno al DDL Pillon si vedono due schieramenti, i realisti che cercano la soluzione migliore partendo dai dati della realtà (un figlio ha due genitori) e gli idealisti che la cercano attraverso le lenti colorate che ricordano quelle di kantiana memoria che non fanno vedere la realtà come essa è ma filtrata attraverso la loro ideologia. I realisti, progressisti o conservatori, vedono i fatti e cercano la soluzione migliore ed equa possibile, gli idealisti, progressisti o conservatori, vedono la realtà come lotta tra le loro ideologie, che poi si riflettono l’una nell’altra, e dicendo di fare il bene dei figli cercano la vittoria della propria ideologia.

Per quanto la realtà sia dolorosa è sempre meglio scegliere la realtà: “adequatio rei et intellectus”.

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