La ambasciatrice ungherese dice ad Actuall che bisogna parlare dei problemi di integrazione dei migranti

Di Juan Maria Piñero

Le misure speciali per l’Ungheria di fronte alla “valanga” di migranti, ha messo il mio paese nel mirino di determinati governi europei. Sembra, ad ogni modo, che il tempo stia dando loro ragione. Actuall ha intervistato l’ambasciatrice di Ungheria in Spagna Enikö Györi per parlare di alcuni dei temi di attualità per l’Ungheria, la Spagna e l’Europa.

Come è possibile vivere in contro tendenza nella UE?

È da diversi anni che le cose vanno così. Praticamente dal 2010, quando il Governo di Viktor Orban ottenne i due terzi dei deputati. Da allora abbiamo continuamente avuto delle critiche. Ciò che sta facendo l’Ungheria da diversi anni è cercare di avere una linea molto chiara. Crediamo fortemente nell’Europa originale creata dai padri fondatori già da molti anni, da più di 60 anni, e pensiamo che questo concetto di Europa sia da proteggere e da conservare per le future generazioni, per i nostri figli e nipoti. Ma noi vediamo, guardando all’Europa, che stanno accadendo cose che sono una sfida a questo modello di Europa. Noi invece siamo convinti che tutto ciò va contro gli interessi dei cittadini europei. Noi abbiamo una linea molto chiara.

Noi non diciamo di detenere l’unica verità, ma chiediamo solo che ci lascino governare il nostro paese secondo i valori e principi in cui crede la maggioranza degli ungheresi; e di poter fare quella politica che gli ungheresi, in elezioni libere e con una maggioranza chiara, hanno confermato per ben due volte. Si, ci sono differenze, però credo che nei fondamenti dello stato di diritto o nei valori fondamentali non ci sia differenza. Però alcuni pensano che ciò che noi proteggiamo, o cerchiamo di proteggere, l’Europa originale, è contro la mentalità del XXI secolo, mentre noi pensiamo che non è obsoleto parlare di Democrazia Cristiana, di famiglia, di una società libera, di libertà nel suo senso originale.

Tutto ciò si è manifestato più tardi, ed esattamente dopo la crisi dell’immigrazione, quando il mio Primo ministro, fin dal principio fece una politica molto articolata, molto chiara, senza alcun cambio. Praticamente siamo l’unico paese che nel corso degli ultimi tre anni non ha cambiato posizione. Per questo siamo sottoposti a vari attacchi.

Che differenza c’è tra i Padri fondatori della UE e l’Unione Europea attuale?

Pensiamo che l’Europa stia perdendo la sua identità originale. L’Europa, per noi, è una civiltà che affonda le sue radici nella cultura giudaico-cristiana. Abbiamo una cultura molto ricca e dovremmo essere molto orgogliosi di tutto ciò che è successo nel nostro continente in più di 2000 anni. Noi pensiamo che i fondamenti di questa civiltà debbono rimanere validi e continuare, e che se continuiamo con la politica attuale, finiremo gradualmente col perderla.

Bisogna iniziare un dibattito su ciò che si è creato in Europa in questi 2000 anni e sulla grande eredità che abbiamo ricevuto. C’è un altro modo di costruire la nostra casa comune, o l’unico modo di farlo è quello della democrazia liberale, come si sta facendo in questi ultimi anni?

Pensiamo che l’Europa sia diventata troppo individualista. Stiamo pensando solo agli individui, (Da cui la logica dei diritti civili. Ndt), e molto meno al senso di appartenenza a una comunità, sia essa piccola, come una famiglia, o più grande, come un villaggio, una città o una nazione. Pensiamo a un’Europa che è formata da queste comunità, da queste unità di base della società, e non vorremmo assolutamente perderle! E ci sono alcuni diritti di cui la comunità ha diritto di godere, che non sono quelle dell’individuo. Perché se siamo individualisti finiremo col perdere molto di ciò che era patrimonio dell’Europa originale, come era intesa dai padri fondatori. Succede però, paradossalmente, che se uno cita uno dei padri fondatori dell’Europa, Jean Monet, che disse: “L’Europa sarà cristiana o non sarà”, verrà accusato di andare contro le libertà di base. (Se questa non è stoltezza e stupidità, ditemi voi cos’è! Ndt). Io credo che tutto ciò sia ridicolo.

L’alternativa, che è l’Europa originale, continua ad essere un’alternativa valida, che può essere creata, e noi pensiamo che non è obsoleta e nemmeno troppo antica. E le sfide di oggi si potrebbero affrontare meglio, se fossimo orientati verso i valori e le convinzioni dell’Europa originale, invece che con la democrazia liberale nella sua espressione estremista. Parlando di questo argomento dobbiamo però affermare che l’Ungheria è molto favorevole ai diritti e ai fondamenti dei Diritti Umani e alle libertà di base, e non vediamo alcuna contraddizione in tutto ciò.

Per esempio, se parliamo dei problemi e delle sfide causate dalla crisi economica, abbiamo notato che nel libero mercato ci troviamo in una situazione molto grave, a causa della quale molta gente ha perso il suo lavoro, ha perso la sua casa, ha perso la sua famiglia e a causa di ciò molte persone si sono suicidate per non essere in grado di affrontare tutti questi problemi. Diciamo che questa economia che abbiamo creato non ha funzionato e che si debbono proteggere meglio i cittadini, ma questo dipende anche dal fatto che essi siano più o meno responsabili. In ogni scelta c’è sempre una responsabilità individuale, però lo Stato deve essere molto attento a non rilasciare delle pratiche che siano troppo liberali, che alla fine mettono a rischio la vita di molte persone.

Altro tema è quello dell’immigrazione. Se continuiamo con questo ritmo nei flussi, siamo sicuri che in 20, 30, 50 anni l’Europa sarà come la vorremmo, come quella che amiamo, come la attuale? O avremo un altro tipo di civiltà? Abbiamo il problema demografico e su questo tema dobbiamo parlare liberamente. Dobbiamo chiederci se vogliamo risolvere la crisi demografica con l’immigrazione, o pensiamo invece di rafforzare la famiglia tradizionale tentando di cambiare il sistema di valori e il mondo in cui viviamo, perché la gente acquisisca maggiori valori? Fra questi valori c’è la famiglia, ci sono i figli. L’Ungheria ha deciso di dare importanza a questi valori. In questo modo andremo costruendo un altro tipo di società. Perché non si può parlare di questi temi?

Sono i temi più importanti della vita attuale, le sfide del XXI secolo. Penso che si possa dare una risposta diversa da quella che la maggioranza dell’Unione Europea, i paesi membri, le istituzioni centrali europee hanno dato ultimamente. È necessario avere un dialogo che non squalifichi un tipo di discorso – venga esso dall’Europa centrale o dall’Ungheria -, con qualcosa che va contro i fondamenti dell’Unione Europea, mentre siamo convinti di essere noi che presentiamo i fondamenti originali della nostra civilizzazione.

Esiste un’Europa a due velocità, parlando da un punto di vista ideologico, un’Europa occidentale e una orientale?

Credo che ciò che rende bella l’Unione Europea è il suo essere molto “colorata”. È composta di 28 paesi membri che sono molto diversi. Che cosa ha a che vedere la Svezia con il Portogallo, o la Romania con l’Irlanda? Abbiamo però molte cose in comune: valori e principi ed altri aspetti, come l’organizzazione nel fare assieme le cose migliori, perché siamo convinti che servono per l’interesse di tutti. Non possiamo forzare, né fare politiche che vadano contro le convinzioni di alcuni dei paesi membri. Questa è una cosa molto negativa.

Dobbiamo costruire una cooperazione leale, ma allo stesso tempo nessun paese può sentirsi danneggiato su cose fondamentali dalle politiche della UE. Quando qualcuno abusa nel prendere decisioni, anche se con la maggioranza assoluta, contro la volontà di alcuni; quando parliamo di temi di base, di sovranità di coloro che vivono nel tuo territorio, lo decidi tu con il tuo governo, il tuo parlamento e secondo le tue regole, o qualcuno può importi qualcosa su un determinato tema? Io credo che qui si siano violate la cooperazione, la comprensione e la mutua intesa, che sono uno dei fondamenti della UE. Tutto ciò è stato prodotto dalla crisi causata dall’immigrazione.

È un fatto poi che ci siano diverse velocità. Ci sono paesi all’interno della UE che sono con Schengen, mentre altri ancora non lo sono. Ci sono paesi che hanno la moneta comune, l’euro, mentre altri no. L’Europa a varie velocità esiste. Questo fatto va avanti da diversi anni e credo che per questo non ci sia stato alcun problema. Ci sono paesi che vogliono approfondire la loro cooperazione, ed esistono regole molto chiare per poterlo fare, come la cooperazione rafforzata. Si, si può migliorare la cooperazione. Non tutti i paesi debbono camminare uniti. Alcuni, però, se lo desiderano, possono fare un cammino comune. Io credo che questa architettura, che ha il suo fondamento fin dal suo inizio, nel 1957, e continua, sorprendentemente, a funzionare molto bene. (Direi che qui la ambasciatrice dimostra molto ottimismo. Ndt).

Si è iniziato con 6 paesi, e ora siamo in 28, anche se purtroppo ne stiamo perdendo uno, e per questo credo che dobbiamo chiederci il perché essi (si riferisce agli inglesi. Ndt), se ne vanno. E qui bisogna dire che forse Bruxelles ha qualche colpa se un paese importante, di 60milioni di persone, ha deciso di andarsene. Questo è un fatto grave. Ci sono dei problemi che dobbiamo comprendere per trovare la medicina che ci metta in grado di curare la nostra civiltà. Non dovremmo parlare troppo di queste divisioni – Nord contro Sud, Ovest contro Est… -. Tutti abbiamo il nostro passato, le nostre peculiarità economiche e storiche, però credo che dobbiamo guardare a ciò che ci unisce, e non a ciò che ci separa. Non forzare troppo, e rispettare e tollerare le differenze.

(Sarebbe interessante però sapere che cosa unisce gli europei in questo momento, perché mi sembra troppo poco la moneta comune! Papa Giovanni XXIII – con molto ottimismo -, pronunciò la stessa frase dell’ambasciatrice: “Cerchiamo quello che ci unisce…”, ma se avesse potuto immaginare, come prevedevano quelli che lui definiva “profeti di sventura”, la grande secolarizzazione e apostasia dai valori e dalle radici cristiane che l’Europa occidentale avrebbe sviluppato, si sarebbe accorto che quei profeti avevano ragione! Infatti, perduta la sua anima e le sue radici cristiane, l’Europa avrebbe perso proprio ciò che le era essenziale. Ma le élite economico-culturali tuttora al comando, sembrano voler continuare a portare avanti il loro irragionevole progetto. Un progetto suicida. Ndt).

Paesi come l’Austria e la Germania cominciano a prendere misure contro l’immigrazione. Quando lo fece l’Ungheria fu criticata. Pensa che l’Ungheria sia stata un modello?

È un tema molto complicato, perché è certo che tre anni fa eravamo gli unici a dire che così non si poteva continuare e che bisognava fermare i flussi, e distinguere fra i veri rifugiati e gli emigranti economici. In quel tempo erano entrati nel nostro paese 10mila illegali ogni giorno, passando per i boschi e i campi, attraversando in diversi punti la nostra frontiera del sud. Dicevano che eravamo crudeli. No. Abbiamo cercato solo di adempiere ai nostri obblighi, perché ci sono le regole di Dublino e di Schengen, che non sono opzionali, ma obbligatorie per ogni governo. Controllare le frontiere. Se le frontiere non sono controllate, non sei un paese. Se non domini nel tuo territorio, non sei nessuno. Questi sono i fondamenti dell’esistenza dei paesi.

Di che cosa stiamo parlando? Ammettiamo le colpe per quanto abbiamo fatto. Mi diceva che la Spagna ha sofferto qualcosa di simile negli anni 2005 – 2006, con la crisi nelle Canarie.

Chiaramente, le dimensioni erano diverse, perché allora la Spagna ebbe il problema dell’arrivo nelle Isole Canarie di 40mila immigrati, che è ben poca cosa rispetto a quello che sta succedendo ora in Europa. Inoltre, poiché era l’unico posto da cui – data la posizione geografica -, non era per loro facile muoversi verso gli altri paesi europei. Mentre nel caso dei migranti giunti in Ungheria, essi desideravano spostarsi verso paesi che hanno un sistema sociale e di welfare molto più generoso del nostro, e pensavano che la Germania e la Svezia fossero il paradiso. Però questi paesi si stanno già rendendo conto che era un errore. Non lo ammetteranno mai, però è così. Ciò che ci preoccupa ora è che, dopo aver aperto le frontiere, ora queste persone che non hanno potuto essere riconosciute come rifugiati, spariscono nel sistema Europa, ed è quasi impossibile riportarli al loro paese di origine.

I paesi europei hanno cominciato con molta difficoltà a rendersi conto del fatto che così non si poteva andare avanti. Il risultato di tutto ciò è che ora si stanno chiudendo i confini interni agli stati dell’area di Schengen, rendendo impossibile uno dei fondamenti dell’Unione Europea, che è la libera circolazione, uno degli aspetti che i nostri cittadini più apprezzano. Il fatto di poter viaggiare dal Portogallo alla Polonia senza mostrare il passaporto, era un fatto molto importante, perché tutto ciò aiuta le economie dei diversi paesi. Se vengono imposte le frontiere interne, si finisce col ripetere quanto abbiamo visto nel passato comunista. Se continuiamo a sbagliare e ripetiamo politiche sbagliate, invece di rinforzare le frontiere esterne, bloccando i flussi e decidendo nel paese di origine chi accettare come rifugiato, non risolviamo i problemi.

È giusto accogliere il rifugiato, ma quando la situazione nel paese di origine tornerà alla normalità, si deve favorire il loro ritorno in patria, perché non è giusto nemmeno svuotare questi paesi, perché in questo modo nemmeno essi potrebbero funzionare bene, mancando i presupposti per rendere prospero quel paese.

Il Governo ungherese si sforza al massimo nel propiziare una migliore condizione di vita nei paesi di origine, per far si che milioni di persone non siano più costrette ad abbandonare le loro case. La riunione di Piter Szjjáltó, nel Medio Oriente, con leader religiosi, ha confermato la necessità di prestare aiuto alle situazioni locali.

Pensa che l’Ungheria accetterebbe volentieri emigrati cristiani, perseguitati nei loro paesi di origine?

Questo è il maggior tabù di tutta la crisi, ed è praticamente proibito parlare di ciò. Credo che siamo, in qualche modo, l’unico paese il cui primo ministro parla apertamente di questo tema. Molta gente, purtroppo, non conosce queste cose. Molti politici non parlano di questo tema o non ne parlano perché se lo fanno si scontrano con la realtà di migranti che sono in loco da alcune generazioni. In Francia e Germania ci sono già vari milioni di persone non cristiane presenti da più generazioni. È importante aprire un dibattito serio anche sulla libertà di espressione, un tema certamente difficile. È necessario chiedersi se c’è o no un problema di integrazione. Io credo che ci sia, perché in Europa occidentale ci sono ormai grandi città nelle quali si sono formati dei ghetti nei quali la polizia locale non entra volentieri, perché sono pericolosi a causa della criminalità, della disoccupazione e degli aspetti educativi. Notiamo che questi problemi si producono in percentuali maggiori nelle comunità di immigrati che in quelle autoctone.

Perché non si può parlare di questo tema? Nel mondo ci sono diverse civiltà, ma i nostri valori e le nostre regole di convivenza sono diverse. Ci sono aspetti comuni, ma le norme sono diverse. Ne menziono solo una: la relazione tra l’uomo e la donna sono diverse nell’islam e nel cristianesimo. Perché ciò non può esser detto? Credo che ci dobbiamo riflettere. Se lasciamo cambiare la nostra civilizzazione, allora alcune norme, come l’uguaglianza, che è tanto importante per l’Europa, potremo ancora proteggerla e coltivarla fra 20, 30 o 50 anni? Come faremo se il tasso di fecondità dei cittadini immigrati continuerà a salire? Sono temi molto complessi e difficili da affrontare!

L’Ungheria è sempre stata un crocevia di vari movimenti di popoli durante la sua storia. Siamo stati invasi mille volte. L’Europa centrale non è mai stato un territorio facile. Molti popoli hanno cercato di dominarci. Abbiamo avuto grandi flussi migratori, come quello dei rifugiati che venivano dalla Romania dopo la sentenza di morte dei coniugi Ceausescu, nel 1989. Gran parte di essi erano ungheresi che vivevano nella Transilvania. Altri sono arrivati a causa della guerra nei Balcani, ma anche a causa delle guerre europee. Arrivavano cristiani, ortodossi e anche musulmani, perché nei Balcani convivono queste tre civilizzazioni e religioni. Per questo siamo abituati a queste sfide.

Secondo noi, anche i Balcani fanno parte dell’Europa. I trattati dicono che tutti i paesi europei possono cercare di aderire alla UE, e noi dobbiamo cercare di aiutarli in questa integrazione, perché la nostra sicurezza dipende anche da loro. Ma per quanto riguarda i Balcani bisogna tener conto che lì ci sono tre civilizzazioni, e se non sappiamo integrarle all’interno della UE, avremo altri problemi. Se non parliamo di questo, visto che questo territorio al momento non è in fiamme, potrebbe esserlo in pochi giorni, e allora potrebbe essere tardi. Dobbiamo assolutamente affrontare il tema della civilizzazione, della cultura, della religione, e se ci sono problemi di integrazione, bisogna parlarne, specialmente dopo i tanti attentati terroristici.

Non tutti gli immigrati sono terroristi – è una pazzia pensarlo! -, ma se guardiamo a chi sono gli autori degli attentati, notiamo che si trattava di immigrati di seconda o terza generazione. Perché non lo si può dire? È una verità che tutti conoscono. Se le persone che vivono nelle grandi città occidentali soffrono per le conseguenze della non integrazione degli immigrati, perché non dovremmo parlarne? Se lo facciamo i cittadini si rendono conto che la politica sta impegnandosi a dare una soluzione al problema, e che si guarda agli interessi dei cittadini. Notiamo però che c’è un gran divario fra i cittadini e i politici. Così molti finiscono col votare per partiti estremisti. La cosa migliore è un dialogo chiaro sui temi che la gente vive nella sua vita quotidiana.

Come è vista dall’Europa l’iniziativa ungherese a favore della natalità?

Come facciamo a non vedere che c’è un problema demografico? Ma molti politici affermano che possiamo risolverlo con l’immigrazione. Noi invece affermiamo che per conservare il nostro paese com’è, per conservare l’identità europea, dobbiamo tentare di influire sui nostri cittadini, invitandoli ad avere più figli. Anche questo è un tema complesso, e funziona solo sui tempi lunghi: 20, 30 anni, perché porti i suoi frutti. In Ungheria in 8 anni il tasso di fecondità è salito da 1,23 – 1,5 figli per coppia, che non è poco, ma non è sufficiente, perché bisogna superare i 2 figli per coppia. Per ottenere questi risultati abbiamo stanziato il 5% del PIL, tenendo conto che in molti casi l’aspetto economico incide molto sulla scelta di avere più figli. Ci sono poi i problemi dovuti al fatto che molte giovani, essendo ancora impegnate negli studi, posticipano il momento della maternità, anche perché poi non è facile trovare lavoro. Bisogna tener conto di tutti questi fattori.

Le famiglie che hanno già tre figli già ricevono dei prestiti, ma anche un aiuto economico di quasi 30mila euro. Oltretutto il sistema tributario favorisce le famiglie. Una famiglia con tre figli quasi non paga Irpef. Dobbiamo fare in modo che ci siano asili nido. Chi ha più figli paga meno per la sicurezza sociale. Tutto questo insieme di strumenti, per quanto riguarda la nostra esperienza, vediamo che aiuta. È molto importante, direi fondamentale, educare ai valori, anche se è molto difficile, perché qui abbiamo a che fare con decisioni personali che ogni coppia può prendere o meno. Noi pensiamo che a lungo termine le cose dovrebbero funzionare così: con persone responsabili, con uomini e donne che formino famiglie tradizionali, perché solo così potremo conservare il nostro sistema di valori. Noi auspichiamo che anche in altri stati si diffondano questi valori, che sono le basi per la sopravvivenza della nostra civiltà europea.

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