Unione Europea e Eurozona alla ribalta. Mattarella …arbitro imparziale ?

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di Vittorio Blonk Steiner

Molti Italiani, di buona volontà e fiduciosi nel futuro dell’Italia, ieri, 1°giugno 2018, hanno tirato un sospiro di sollievo: finalmente il nuovo Governo Conte ha potuto giurare fedeltà alla Repubblica ed entrare nel pieno dei suoi poteri. Un cambiamento epocale nel “sistema di potere”, degli obiettivi e della metodologia di governo.
Circa tre mesi di gestazione, di polemiche, di incertezza politica, che, pur in presenza della positiva risoluzione della vicenda, ci devono far riflettere sui principi fondanti della nostra Democrazia, conquistata – bisogna sempre ricordarlo – grazie alla determinante vittoria del 18 aprile 1948, del mondo cattolico e moderato italiano sul blocco socialcomunista, filosovietico ed ateo, del Fronte Democratico Popolare di Palmiro Togliatti e Pietro Nenni.
Ricorrono quest’anno date importanti per il nostro Paese: il 72° anniversario della nascita della Repubblica Italiana, il 70° anniversario della citata vittoria della Democrazia italiana sul Totalitarismo e. al presente, la nascita di un “Governo del Cambiamento” che, almeno nella metodologia e nei programmi, segna una svolta decisa, in direzione del Bene comune, rispetto alle politiche governative degli anni passati.

Il 31 gennaio 2015, alla quarta votazione, veniva eletto il 12° Presidente della Repubblica Italiana: Sergio Mattarella, fino ad allora noto, più che altro, per aver dato il nome alla riforma elettorale, il “mattarellum”, dell’ agosto 1993, poi abrogata nel dicembre 2005, per far posto alla Legge Calderoli.
Il 3 febbraio 2015, davanti al Parlamento riunito in seduta comune, nell’aula di Montecitorio, il neo-Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di insediamento, prometteva il pieno rispetto della Costituzione, come suo garante ed arbitro imparziale.
“Nel linguaggio corrente – affermava solennemente Mattarella – si è soliti tradurre il compito del Capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione. E’ una immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere e sarà imparziale”.
La vicenda elettorale del 4 marzo scorso, conclusasi il primo giugno, in extremis, dopo circa novanta giorni di trattative, concitate e imprevedibili, ha mostrato il livello di imparzialità del primo Cittadino d’Italia.
Il Presidente della Repubblica non è e non deve essere, di certo, un ”notaio” di fronte al Governo e al Parlamento. Il compito di un Presidente della Repubblica, come giustamente affermato da Mattarella, deve garantire il rispetto delle “regole”, esercitando a pieno le sue prerogative di “arbitro imparziale”.
Un Governo dà conto della sua linea politica al Parlamento, nel momento in cui presentandosi alle Camere, espone il suo “programma politico”, soggetto alla “fiducia” dei due organismi istituzionali.
Il Parlamento valuta, dà la fiducia o la nega e legifera; il Governo propone o esegue; la Presidenza della Repubblica controlla il rispetto delle regole costituzionali.
Nella formazione di un governo le “opinioni politiche” del singolo candidato ministro vengono giudicate e valutate dal Presidente del Consiglio, in sede di formazione del suo governo e secondo il suo programma politico.
Soltanto le altre caratteristiche individuali, come capacità, qualificazioni o adeguatezza professionale al ruolo da svolgere, possono essere soggette, fino a prova contraria, a censura.
Da notare che nel precedente Governo Renzi, fu nominato, senza batter ciglio, dal Capo dello Stato un ministro della “Pubblica Istruzione, della Università e Ricerca scientifica”, che disponeva di un misero diploma di scuola media inferiore.
Qualche giorno fa, invece, abbiamo assistito alla censura di un candidato ministro, non per la sua inadeguatezza o qualificazione professionale, ma per le sue idee, politiche e scientifiche, per giunta pregresse, nonostante il suo curriculum fosse di grande rilevanza, anche sovrannazionale.
Il “veto” politico, incurante delle conseguenze, non solo ha portato alla mancata formazione di un Governo immediatamente operativo, concordato da due forze politiche, dotate di ampia maggioranza parlamentare, espressione della volontà di milioni e milioni di italiani, ma ha anche gettato l’Italia nel caos istituzionale, in balia di attacchi e risvolti finanziari, internazionali, estremamente pericolosi.
Solo il buon senso e l’iniziativa dei leader dei due partiti in gioco, dei 5Stelle prima e subito dopo della Lega, ha permesso di trovare una valida soluzione, per il superiore interesse e Bene del Paese.
DiMaio e Salvini hanno dimostrato maturità, patriottismo e lungimiranza.

L’alternativa era il ricorso a un governo tecnico, di nessuna rilevanza funzionale, o il ritorno a nuove elezioni, prevedibilmente, in piena estate, il 29 luglio prossimo, con tutte le incognite e le deleterie conseguenze, nazionali e internazionali, che tale soluzione avrebbe potuto comportare.

Purtroppo Qualcuno ha preferito, a parole e nei fatti, perorare gli interessi dei paesi della Eurozona.
Quando gli ideali di un uomo politico, appartenente al filone del Cattolicesimo democratico, si rifanno ad una “Sinistra” democristiana, detta anche catto-comunista, al pensiero di Aldo Moro o all’operato di un Romano Prodi, paladino dell’euro, e a un ideale di Europa socialista, certe scelte “politiche”, nonostante il rischio della connotazione di palese faziosità, sono prevedibili.
Col giuramento del nuovo Governo, presieduto dal professor Conte, la vicenda sembra conclusa nel migliore dei modi. Il buonsenso ha prevalso sulla faziosità e irresponsabilità.
Resta il vulnus della Democrazia e del travalicamento, vero o presunto, delle prerogative presidenziali.
La minaccia deflagrante per la nostra Democrazia della “messa in stato di accusa”, più simbolica che reale, il caos istituzionale, la mancanza di certezze e di prospettive istituzionali valide – un vero salto nel buio – forse hanno contribuito, verosimilmente, ad assumere posizioni meno partigiane e più responsabili per il Bene degli Italiani.
Con soddisfazione e respiro di speranza, abbiamo potuto assistere ad una composizione positiva della crisi governativa, non senza dimenticare le perplessità provate.
Con la vicenda del “veto”, è emersa imperiosamente la “Questione Unione Europea” e la necessità, indilazionabile, di una riflessione pacata e seria sui vantaggi e svantaggi del groviglio di trattati ed accordi che ci legano all’Unione Europea.
L’entrata nell’Eurozona si è dimostrata per gli Italiani , innegabilmente, disastrosa. Attorno alla “moneta unica” si è venuto a creare un sistema coartante di potere e di governo, nel quale la Banca Centrale Europea, la famigerata BCE, assieme alla Commissione Europea, tra l’altro, composta da membri non eletti democraticamente, controlla le politiche economico-monetarie, fiscali, valutarie dei Paesi Membri, a vantaggio di pochi e a discapito della maggioranza di essi.
I trattati europei, da Maasticht al Fondo Monetario Europeo, vanno rivisti e riformulati.
L’uscita dall’Euro, come avvenuto per la Brexit, dovrebbe essere l’estrema ratio, di certo non auspicabile.
Oggi l’UE non rispecchia più i principi fondanti di quel progetto di una “Unione dei Popoli europei”, dei Cittadini europei, sognato e perorato, inizialmente, da Robert Schuman col suo famoso discorso di Parigi, del lontano 1950, e poi condiviso da Konrad Adenauer e Alcide DeGasperi.
Oggi possiamo affermare, con cognizione di causa, constatando la realtà, che l’ingresso nell’Eurozona è stato per noi fortemente penalizzante, ci ha portato più danni che benefici. Ha portato malessere socio-economico e tanta povertà.
I trattati “capestro”, sottoscritti dai nostri passati governanti – peraltro, senza il parere del popolo sovrano italiano – da Maastricht in poi, fino al Fondo Monetario Europeo, il famigerato FME, necessitano di sostanziali interventi correttivi, prima che sia troppo tardi per la nostra economia.
Oggi l’UE non è un organismo a servizio dei Cittadini europei; essa è diventata uno ”strumento di potere” nelle mani della Alta Finanza e delle Banche, a discapito dei comuni cittadini.
Profetico e veritiero fu il grido di allarme lanciato dall’inglese Margaret Thatcher, molto prima dell’entrata in circolazione della “moneta unica”, avvertendo che l’euro era un pericolo per la democrazia, e sarebbe stato fatale per i paesi più poveri. Avrebbe devastato le loro economie più deboli.
Per contro, in modo palesemente miope e menzognero, il nostro illuminato, cattolico democratico, Romano Prodi, si esprimeva a favore dell’euro, in quanto con l’euro avremmo lavorato un giorno in meno e guadagnato come se avessimo lavorato un giorno in più.
L’Europa va ricostruita dalle fondamenta. Non basta però una terapia, ci vuole una “chirurgia ricostruttiva” !
(Sabato, 2 giugno 2018)

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Autore: Libertà e Persona

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