CHI MI HA TOCCATO? LA SPERANZA CHE SALVA

Cross and sunset

Riflessioni sulla sofferenza

La sofferenza e la morte sono due realtà che fanno parte dell’essere creaturale dell’uomo e a cui non ci si può sottrarre. Ma, pur essendo comuni a tutti gli uomini, si presentano diversificate a seconda di chi le vive e come le vive: per carattere, ideologia, cultura.

Per il cristiano, la matrice è comune, come identico dovrebbe essere l’approccio quando l’una o l’altra bussano alla porta della nostra vita. E soprattutto quando la nostra speranza è veramente una speranza certa perché ancorata a Cristo risorto e ci permette di andare oltre il limite del tempo e della storia. Solo in questa ottica possiamo accostarci al mistero della sofferenza e della morte con serenità e pace.

Dicevamo all’inizio che la sofferenza fa parte dell’esistenza umana. Essa non è solo connaturata al nostro limite creaturale, ma deriva anche dalla massa di colpa che, nel corso della storia, si è accumulata e anche nel presente cresce in modo inarrestabile. È doveroso fare di tutto per superare la sofferenza, ma pensare di poterla eliminare totalmente dal mondo non sta nelle nostre possibilità perché nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male, della colpa che è continuamente fonte di sofferenza.

Possiamo cercare di limitarla, di lottare contro di essa, ma non possiamo eliminarla.

Dice Benedetto XVI nell’Enciclica ‘SPE SALVI’: “Proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità, dell’amore, del bene, scivolano in una vita vuota, nella quale forse non esiste quasi più il dolore, ma si ha tanto maggiormente l’oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine”.

Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione ed in essa maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore.

La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza; in essa il cristiano riesce a trovare un senso, un cammino di purificazione e di maturazione, un cammino di speranza.

La fede cristiana ci dice che Dio stesso si è fatto uomo per poter com-patire con l’uomo, in modo reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù. Da lì in ogni sofferenza umana è entrato Uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da lì si diffonde in ogni sofferenza la “con-solatio”, la consolazione dell’amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza. Questa capacità di soffrire, dipende dal genere e dalla misura della speranza che portiamo dentro di noi e sulla quale costruiamo.

I santi poterono percorrere il grande cammino dell’essere-uomo nel modo in cui Cristo lo ha percorso prima di noi, perché erano ricolmi della grande speranza.

Tutti questi pensieri mi hanno attraversato la mente quando mercoledì pomeriggio sono entrato nella stanza, completamente isolata, di Elena “la mia sorellona” come affettuosamente la chiamo perché è veramente la sorella che il Signore mi ha donato, facendomela incontrare. Lei è moglie e madre di cinque figli e con grande speranza combatte questa ennesima battaglia, la combatte nel segno della speranza che ho cercato di descrivere finora. Guardandola negli occhi non percepisci alcun segno di disperazione; la fatica e la sofferenza che provano il corpo non hanno assolutamente intaccato lo spirito, tenace più che mai a voler tornare nel campo di battaglia della vita. Non è eroismo: è la forza della fede che la rende ( e ci rende, se lo vogliamo) capaci di non maledire ciò che umanamente sarebbe nient’altro che una sorte dannata, una negazione inutile della libertà umana mentre nel suo volto fisso sul Cristo crocifisso che ha di fronte al suo letto, assume il senso più bello dell’Eternità, della nostra speranza certa perché già sperimentabile adesso.

don Francesco Capolupo

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