La porta della fede

lanzettaSiamo tutti abituati, da vari decenni ormai, ad ascoltare ogni giorno attacchi e calunnie contro la Chiesa, sia storica che contemporanea. Si direbbe che per i mass media del laicismo ogni occasione sia buona per sputare veleno contro chi, degnamente o meno, rappresenta in terra la sacra eredità di Gesù Cristo.

I vescovi e i cardinali, ed i sacerdoti cattolici in modo tutto particolare, subiscono in Occidente delle pressioni, dei sarcasmi e delle insinuazioni che difficilmente si farebbero ai rappresentati ufficiali di altre religioni.

Certo, non sempre il clero, specie dal 1968 ad oggi, ha brillato delle virtù più tipicamente sacerdotali, come l’onesta, l’ascesi, il distacco dai beni del mondo, l’equità di giudizio e la morigeratezza in tutte le cose. Talune critiche al clero purtroppo erano (e sono) nel giusto, e non manca tra i cattolici militanti, chi non accetta né le critiche ingiuste, e neanche quelle giuste…

Che il laicismo, “peste dell’età nostra” (Pio XI), tenda a squalificare la religione come tale, e dunque criminalizzi il sacerdozio è un fatto innegabile e acclarato. Ma è altresì innegabile che la corruzione dei costumi, non certo provocata dalla Chiesa, negli ultimi tempi si sia diffusa ad abundantiam nella Chiesa.

Ecco perché è fonte di singolare gioia incontrare oggi, sulle vie del mondo, un sacerdote secondo il cuore di Cristo, cioè in definitiva un pastore zelante e pio, modesto e coraggioso. Sacerdoti così ce ne sono ancora, e forse sono in silenzioso aumento tra i giovani leviti.

Uno di essi, padre Serafino Lanzetta ha appena pubblicato un libro degno di nota, in cui lo spirito del vero sacerdozio cattolico vibra quasi ad ogni pagina (cf. Serafino Lanzetta, La porta della fede. Quando ragione e amore s’incontrano, Casa editrice Leonardo da Vinci, 2017, pp. 242, euro 20).

Padre Lanzetta è un giovane teologo italiano già ben affermato e assai noto agli studiosi del Concilio, del Magistero e della teologia in genere. Ideatore e per lunghi anni direttore dell’ottima rivista di apologetica Fides Catholica, è autore di vari saggi significativi, soprattutto sull’esegesi del Vaticano II e sulla mariologia. E’ un esempio mirabile, e in un certo senso assai raro, di teologia francescana chimicamente pura: l’amor di Dio e di ciò che Dio ha creato – quindi di tutto il conoscibile – anima del Cantico delle creature unito alla comprensione profonda e sapienziale della realtà, sulla scia degli inarrivabili maestri del francescanesimo, come Bonaventura, Scoto e padre Kolbe.

In questo agevole libretto, l’Autore mostra bene ciò che Antonio Livi chiama, nella presentazione dell’opera, la razionalità della fede (pp. 7-9). La fede non è un salto nel buio per finalità utilitarie (sentirsi meglio, vincere le paure esistenziali come quella della morte e della solitudine, fare una cieca scommessa alla Pascal, etc.), ma è una decisione personale e del tutto ragionevole. Non credere in un Creatore o in una vita dopo la morte appare (a chiunque cogiti sul serio…) come irrazionale, e quindi frutto di passione e pregiudizio. L’atto di fede, come insegna bellamente la Fides et ratio, è un’adesione della mente e mentre si pensa si aderisce: senza intelletto infatti l’animale non può credere. E’ anche vero che Dio supera ciò che la fede può discernere in Lui, e c’è disparità insuperabile (oltre che analogia) tra il credente umano e l’oggetto divino conosciuto. Ma ciò non toglie nulla alla validità razionale e scientifica, quindi universale nel tempo e nello spazio, delle prove dell’esistenza di Dio (cf. Giovanni Paolo II, Le prove dell’esistenza di Dio, 10 luglio 1984), e quindi del dovere morale dell’adesione piena e irrevocabile.

In tal senso, il paradosso di padre Lanzetta è giustificatissimo: “Ci vuole più fede per essere atei che per credere in Dio” (p. 18). E il rimedio a questa anti-filosofia contemporanea, avversa alle tradizioni comuni dei popoli, è presto detto: “Per poter credere di nuovo in Dio bisogna accorgersi delle contraddizioni in cui siamo finiti per averlo negato” (p. 15).

Basterebbero due tocchi da maestro come questi per spronarci all’acquisto del libretto e farne poi un’attenta lettura. Ma c’è dell’altro, molto altro che una mera recensione non può dire. Per esempio, la necessità dell’annuncio cristiano urbi et orbi contro le interpretazioni relativistiche attuali (pp. 75-92). Poi la legittimità del concetto di castigo divino in rapporto al male compiuto (pp. 93-113). Quindi e anzitutto il legame, negato assurdamente dal pensiero debole dei teologi che vanno per la maggiore nelle facoltà, tra fede e carità, contro la fede (vana) senza carità e la carità (filantropica) senza la fede (pp. 115-215).

E’ soprattutto qui, parlando della circolarità tra ragione e amore, fede e carità, che emerge il cuore francescano dell’Autore ed è qui che padre Serafino può costituire un antibiotico spirituale efficace per tutti noi. Senza ragione infatti, non c’è fede poiché credere è atto dell’intelligenza. Ma senza ragione non c’è neppure amore, poiché il libero arbitrio è il presupposto dell’amore volontario e meritorio.

Fede e ragione, libertà e verità, ma anche più in generale religione e scienza saranno sempre, indissolubilmente, le ali date all’umanità per ascendere a tutte le altezze umane e divine.

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