Perché lo ius soli mina la sicurezza dell’Italia

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di Giovanni Giacalone.

Il generale Mario Mori, ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde, venerdì 18 agosto è intervenuto alla trasmissione “In Onda” di La7, all’indomani dell’attentato a Barcellona affrontando alcune tematiche relative al terrorismo.

Il generale è entrato anche in merito alla questione sulla cittadinanza in risposta alla domanda sul perché in Italia non abbiamo ancora avuto attacchi, illustrandone il differente contesto rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Belgio e Gran Bretagna: “Non è stata una questione di fortuna: noi come Italia abbiamo una storia diversa rispetto agli altri Paesi europei. In particolare abbiamo una storia coloniale molto ridotta nel tempo e nello spazio; altri Paesi come Francia, Belgio, Inghilterra o Spagna hanno oggi la seconda e terza generazione di immigrati, quindi con passaporto e cittadinanza di quel Paese. Noi invece abbiamo una scarsa frequenza di cittadini provenienti dal mondo musulmano e pochissimi fra costoro hanno la cittadinanza italiana. Solo 250mila persone su un milione e mezzo hanno infatti la cittadinanza. Questo cambia il fatto che i controlli sono più facili. Noi rispetto ad altri Paesi abbiamo la possibilità di espellere più facilmente persone pericolose”.

È fondamentale tenere bene in considerazione quanto detto dal generale Mori perché di fatto le espulsioni sono uno strumento essenziale, “cavallo di battaglia” della strategia anti-terrorismo dell’Italia, come dimostrano i numeri (da inizio 2017 sono 70 i soggetti espulsi per motivi legati alla sicurezza nazionale). Immaginiamoci cosa sarebbe potuto succedere se non avessimo disposto di tale strumento.

Tutto ciò ci porta a fare un’ulteriore considerazione e cioè che regalare la cittadinanza non porta automaticamente all’integrazione, come possiamo vedere in molti paesi europei, ma rischia invece di rendere più difficile il lavoro di contrasto al radicalismo visto che i radicalizzati non potrebbero in quel caso essere espulsi. Finiremmo per trovarci ghetti come quelli di Selinunte a Milano o Porta Palazzo a Torino, con potenziali elementi radicalizzati ma con cittadinanza italiana.

Se poi teniamo conto dei dati dell’Europol dello scorso giugno secondo i quali i soggetti radicalizzati sono sempre più giovani (molti i nati in Europa), come confermato tra l’altro dall’età media degli attentatori di Barcellona, la situazione è ben poco felice.

Il modello multietnico, multiculturale come antidoto all’esclusione ha già dato risultati fallimentari, come dimostrano i casi di Francia, Belgio e Gran Bretagna con i vari ghetti, banlieue, dove nemmeno la polizia si addentra, luoghi diventati fulcro della radicalizzazione islamista (Molenbeek parla chiaro). Le “zone franche” di Londra, Birmingham e Leicester sono ben note, dove girano addirittura ronde di barbuti che impongono la sharia e aggrediscono chi non la rispetta.

La cittadinanza non è dunque sinonimo di integrazione e non a caso molti dei terroristi che hanno colpito l’Europa avevano la cittadinanza (alcuni esempi: Mohammed Merah, Abdelhamid Abaoud, Salah Abdeslam, Mehdi Nemmouche ecc.) così come tantissimi di quelli che sono partiti per andare a combattere nelle file dell’Isis.

Nonostante i dati parlino chiaro, il premier Paolo Gentiloni, durante il suo intervento al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini e con l’attentato di Barcellona ancora caldo, partiva di nuovo alla carica a favore dello ius soli che “arricchisce la nostra identità” elogiando “una società più aperta e multietnica”. Un tempismo non certo ottimale.

Un termine tra l’altro interessante quello di “società aperta”, la open society tanto promossa dal filantropo George Soros, al punto da utilizzarla come nome della sua rete di fondazioni creata nel 1993, la “Open Society Foundations”. Peccato però che diverse ONG legate a Soros sono in più occasioni state accusate di essere legate al business dell’immigrazione clandestina grazie all’impegno di navi-soccorso gestite da organizzazioni umanitarie (Moas, Jugend Rettet, Stichting Bootvluchting, Médecins sans frontières, Save the children, Proactiva Open Arms, Sea-Watch.org, Sea-Eye, Life boat) che annoverano tra i propri finanziatori proprio la Open Society e altri gruppi legati al milionario «filantropo» George Soros, come già mostrato da Gian Micalessin.

Non dimentichiamo inoltre che a inizio maggio, in concomitanza con lo scoppiare del caso ONG/immigrati, arrivava a Roma proprio George Soros e si recava a Palazzo Chigi per incontrare il premier Paolo Gentiloni. Perché? Elvira Savino di Forza Italia annunciava un’interrogazione parlamentare sui motivi della visita.

Gentiloni a Rimini ha inoltre affermato: “Il governo alla luce dei risultati” raggiunti nella gestione dei flussi migratori “non deve avere paura di riconoscere diritti e doveri a chi è nato in Italia e chi studia nelle nostre scuole. La risposta non è nell’esclusione, non è nella negazione della realtà che alimentano solo minacce, non sicurezza“.

Il premier sbaglia perché i risultati raggiunti da questo governo in quanto a immigrazione sono disastrosi, con intere aree fuori controllo, in preda all’illegalità e basta fare un giro a Milano in zona stazione Centrale o a Torino all’ex Villaggio Olimpico per rendersene conto (giusto per citarne un paio).

Grazie al flusso di barconi è entrato di tutto, incluso l’attentatore di Berlino Anis Amri e il torturatore somalo Osman Matammud, riconosciuto da alcune sue ex vittime mentre girava liberamente in Stazione Centrale a Milano.

Del resto anche le autorità libiche lo scorso maggio avevano segnalato che l’Isis caricava i suoi uomini sui barconi dei clandestini per inviarli in Europa “perché la polizia europea non sa chi appartiene all’Isis e chi è invece un rifugiato”. Una volta sbarcati riescono a spostarsi e sparire grazie alla totale assenza di documenti e alla possibilità di eludere molto facilmente i controlli.

Infine sarebbe bene ricordare che il governo in carica non è stato eletto dagli italiani e si dovrebbe dunque astenere dal prendere iniziative unilaterali su un aspetto così delicato come la cittadinanza in un momento in cui l’intera Europa è in piena emergenza sul piano della sicurezza.

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