Avvenire: l’inferno non c’è, ma il razzismo, in Italia, impazza

avvenire

Avvenire di domenica apre a tutta pagina: Ordinario razzismo! Si legge in prima: “E’ una cortina contagiosa e urticante che riporta in auge nostalgie autoritarie, e, soprattutto strascichi di razzismo. Pescando dalla cronaca di questa estate rovente, avvelenata dalle polemiche strumentali sull’immigrazione e le Ong, gli esempi non mancano...”.

Secondo il quotidiano diretto da Marco Tarquinio,

in assoluto il meno equilibrato nel panorama editoriale italiano, l’Italia è un paese razzista, attraversato da consistenti e forti “nostalgie autoritarie”. Quanto a ciò che alle indagini della magistratura sulle Ong, e l’azione del ministro Minniti per vederci un po’ più chiaro, si tratterebbe solo di “polemiche strumentali”.

Questo quanto alla capacità del quotidiano ispirato da mons. Nunzio Galantino (intoccabile, perchè protetto in alto loco) di leggere l’attualità, la cronaca, le urgenze dell’oggi.

Poi c’è la fede, di cui quel quotidiano fa strame ogni giorno. L’ultima è stata negare l’inferno. Ne ha parlato, su La verità, Michelangelo Socci:

 

“AVVENIRE” CHIUDE L’INFERNO E LIBERA LUCIFERO

Ieri, “Avvenire”, il giornale dei vescovi italiani, in terza pagina, ha dato una notizia clamorosa, da cui si potrebbe perfino evincere che per 2000 anni siamo stati presi per i fondelli: l’Inferno non c’è.
Anzi, precisiamo, l’Inferno c’è, ma è molto simile al nostro mondo, in particolare all’Italia. Difatti i dannati “costruiscono, organizzano e i loro edifici crollano.”
Però non sarà così per sempre. Infatti, dopo questo breve periodo d’infelice apprendistato, ci sarà il via libera. Tutti salvi, Lucifero incluso, come se fossero stati tutti su “Scherzi a parte”.
L’autore dell’articolo Roberto Righetto – per questa sorprendente rivelazione – si rifà ad alcuni passi di un libro del filosofo cattolico Jacques Maritain.
Certo, quella dell’intellettuale francese è solo un’ipotesi, ma esplosiva.
Poiché l’eternità consuma tutti i tempi,” scrive Maritain, “bisognerà pure che a un certo momento i luoghi bassi dell’Inferno siano svuotati. Se è così, Lucifero senza dubbio sarà l’ultimo a cambiare. (…) E alla fine anche lui sarà restituito al bene.”
Meraviglioso. Come non rallegrarsi di una simile notizia che ci libera da tutte le preoccupazioni e le angosce sulla nostra salvezza eterna?
Peccato che tale “ipotesi” somigli così tanto a una vecchia idea di Origene di Alessandria, del terzo secolo dopo Cristo, chiamata “Apocatastasi” e già condannata dalla Chiesa nel Quinto Concilio Ecumenico del 553.
L’Apocatastasi sostiene – in aperta contraddizione con i (circa) venti passi del Vangelo sull’Inferno, dove Gesù descrive drammaticamente le pene infernali e la loro eternità – che alla fine dei tempi avverrà una redenzione universale dalla quale neanche Satana verrà escluso.
Insomma, l’Inferno, stando ad “Avvenire”, potrebbe essere in fin dei conti quasi una terra delle opportunità, migliore dell’America. Di certo è più facile trovarci lavoro. I dannati, si legge nell’articolo, sono “degli attivi, lavorano tutto il tempo, hanno la religione del lavoro. (…) Senza posa fanno della politica. La loro vita forse non deve essere immaginata tanto differente dalla nostra.”
Dunque, in fin dei conti, dei gran lavoratori, buoni diavoli.

“Scherzi a parte”, la sottovalutazione dell’Inferno è un tema che periodicamente fa capolino nella teologia progressista.
C’è perfino chi – come Eugenio Scalfari – ha attribuito a papa Francesco strane idee in proposito.
Infatti, dopo uno dei loro tanti colloqui, ha riferito quanto segue (senza essere stato smentito): “il Papa ritiene che, se l’anima d’una persona si chiude in se stessa e cessa d’interessarsi agli altri, quell’anima non sprigiona più alcuna forza e muore. Muore prima che muoia il corpo, come anima cessa di esistere. La dottrina tradizionale insegnava che l’anima è immortale. Se muore nel peccato lo sconterà dopo la morte del corpo. Ma per Francesco evidentemente non è così. Non c’è un Inferno e neppure un Purgatorio. Per le anime che non sono scomparse nel nulla c’è la beatitudine d’essere ammesse alla luce del Dio che le ha create.”
Contraddizione plateale con gli insegnamenti di sempre della Chiesa che nei secoli non si è mai stancata di mettere in guardia dall’immenso pericolo rappresentato dalla perdizione eterna.
San Francesco d’Assisi scriveva: “chiunque muore in peccato mortale il diavolo rapisce l’anima di lui e tutti i talenti e il potere e la scienza e la sapienza che credevano di possedere sarà loro tolta e andranno all’Inferno dove saranno tormentati eternamente.”
Ad alcuni mistici è stato addirittura concesso di assistere in visione ai tremendi tormenti infernali.
Santa Teresa d’Avila, ad esempio, ha così descritto il regno del Diavolo: “l’entrata mi pareva come un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto; il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi. Nella parete di fondo vi era una cavità come di un armadietto incassato nel muro, dove mi sentii rinchiudere in uno spazio assai ristretto. Ma tutto questo era uno spettacolo persino piacevole in confronto a quello che qui ebbi a soffrire.”
Santa Faustina Kowalska, in un passo del suo diario del 1936, scrive che l’Inferno “è un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l’Inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi della coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l’anima, ma non l’annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale, acceso dall’ira di Dio; la quinta pena è l’oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l’odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie.
Oggi purtroppo stiamo assistendo a ciò che Benedetto XVI ha definito comebanalizzazione del male”.
L’uomo, che in fin dei conti si sente buono, crede che la Redenzione gli spetti di diritto. E “la presunzione di salvarsi senza merito” è proprio uno di quei “peccati contro lo Spirito Santo” che, dice il Catechismo, non possono essere perdonati.
Due maestri spirituali come don Luigi Giussani e don Divo Barsotti hanno spiegato che l’esistenza dell’Inferno è la prova e la garanzia della libertà dell’uomo, che può anche rifiutare la salvezza. E hanno insegnato che se non si capisce l’Inferno non si capisce la grandezza degli atti umani e la serietà dell’amore di Dio.
Scrive Joseph Ratzinger: “Dio non può semplicemente ignorare tutta la disobbedienza degli uomini, tutto il male della storia, non può trattarlo come cosa irrilevante ed insignificante. (…) L’ingiustizia, il male come realtà non può semplicemente essere ignorato, lasciato stare. Deve essere smaltito, vinto. Solo questa è la vera misericordia”. La bontà di Dio “non può mai essere in contraddizione con la verità e la connessa giustizia”.

Michelangelo Socci
La Verità” 18/8/2017

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Autore: Libertà e Persona

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