San Vincenzo de Paoli e Florence Nightingale

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 Accanto a Giovanni di Dio e Camillo de Lellis, l’altro grande personaggio che ha segnato profondamente la storia della carità in generale e dell’ospedale in particolare, è stato san Vincenzo De’ Paoli.

Nato in Guascogna nel 1585, da una modesta famiglia di contadini, divenne sacerdote nel 1600. Vivendo a Parigi, la fama della sua umanità si diffuse al punto che Vincenzo, dopo aver sperimentato persino la schiavitù (fu catturato dai pirati barbareschi, venduto come schiavo sul mercato africano, liberato dal suo padrone convertitosi al cristianesimo), divenne consigliere prima di Luigi XIII e del cardinal Richelieu, poi, soprattutto, di Anna d’Austria, reggente dopo la morte del re (1643). L’opera di Vincenzo de Paoli fu essenzialmente al servizio delle anime e dei poveri, in senso lato: non vi fu infatti campo in cui non esercitò la sua carità e la sua azione, spendendosi per i bisognosi della città, i malati, le vittime di guerra, i bambini abbandonati e le prostitute; sino ai condannati alla galera e agli schiavi cristiani in Barberia. Per fare tutto questo fondò le Dame della Carità e le Figlie della Carità (guidate da Luisa di Marillac), che furono tra le altre cose le prime donne presenti sul campo di battaglia per l’assistenza dei feriti. Diceva ai suoi: “Dovete visitare i Poveri con lo spirito che vorreste vedere in chi visitasse voi, trovandovi nelle medesime condizioni; e, inoltre, nella fede di visitare in essi nostro Signore Gesù Cristo”.

Le Figlie della Carità di san Vincenzo avrebbero poi ispirato numerose altre congregazioni femminili dall’analogo nome: le Suore della Carità fondate da santa Giovanna Antida Thouret; le Suore della Carità dell’Immacolata, fondate da Antonia Maria Verna ad Ivrea nel 1823; le Figlie della Carità canossiane, fondate a Verona da Maddalena di Canossa, nel 1808, e “chiamate a rispondere ai bisogni dell’insegnamento, ad assistere i malati negli ospedali e ad aiutare i parroci nella dottrina”; le Suore della Carità delle sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, nate a Lovere (Bergamo) nel 1832 e note anche come “suore di Maria Bambina”… [1]

Tutte queste congregazioni diedero (e talora danno ancora, anche nel Terzo Mondo) un grande contributo al funzionamento degli ospedali, ormai, nell’Ottocento, di proprietà, sovente, dello stato, e contribuirono a creare la figura della infermiera moderna. Il loro compito, spesso gravoso, richiedeva grande abnegazione e sacrificio: era quello di imboccare i malati, di pulirli, di confortarli; sovente di preparare il cibo, lavare le bende… Si offriva così allo Stato una incredibile manodopera pressoché gratuita, benevola, e, a seconda degli ordini e delle richieste del tempo, più o meno “professionale”. In tutta Europa, ricorda Roy Porter, “e persino in America settentrionale, l’assistenza infermieristica è rimasta appannaggio degli ordini religiosi fino quasi ai giorni nostri[2].

 

Proprio alle discepole di san Vincenzo occorre far riferimento anche per meglio comprendere la figura di Elisabeth Fry (1780-1845) e di Florence Nightingale (1820-1910), due figure centrali nella genesi dell’infermiera professionale moderna (tanto che il giorno di nascita della Nightingale, il 12 maggio, è “tuttora celebrato in tutto il mondo come la giornata internazionale dell’infermiere”). La Fry, madre di numerosi figli, fervente protestante, era impegnata nella riforma delle prigioni e nel movimento evangelico anti-schiavista. “Nel 1836 visitò in Francia (Normandia) alcuni istituti di beneficienza cattolici (Roman Catholic Charities), dove rimase molto colpita dal modo di lavorare delle Figlie della Carità”. Inoltre la Fry ebbe modo di proseguire la sua formazione visitando l’opera del pastore protestante tedesco Theodore Fliedner e della sue Suore della carità protestanti.

Benché le due donne, presumibilmente, non si siano mai conosciute, la Fry fu in qualche modo un’ ispiratrice di Florence Nightingale, cioè di colei che ha riformato l’assistenza infermieristica negli ospedali. Nata a Firenze nel 1820, Florence fu sempre caratterizzata da un profondo sentimento religioso : “il motivo del suo interesse per l’assistenza sanitaria risale alla chiamata che la stessa Nightingale scrive di aver ricevuto da Dio a 17 anni”. Pur ostacolata dai genitori, Florence decise di dedicare la sua vita ai malati, seguendo l’esempio del già citato Theodore Fliender (che gestiva un ospedale, un asilo infantile, un orfanatrofio, un penitenziario ed una scuola) e delle Figlie della Carità di san Vincenzo de Paoli, conosciute e frequentate a Roma, presso l’ospedale di Santo Spirito, all’ Hôtel-Dieu di Lione, ad Alessandria d’Egitto e a Parigi.

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A Roma la Nightingale  si trattenne anche presso le Suore di Trinità dei Monti: osservò, imparò, studiò regole ed organizzazione dell’ordine. Pur essendo di famiglia anglicana, come la Fry fu “conquistata” dalla religiosità cattolica, “che, accanto alla più grande spiritualità di vita individuale, faceva fiorire scuole, orfanatrofi e tante altre utili istituzioni”. Dopo questo lungo apprendistato la Nightingale si distinse come guida di un gruppo di donne (38, tra cui 14 suore anglicane e 10 cattoliche) che assistettero i soldati inglesi nella guerra di Crimea del 1854. Fu qui che la “banda degli angeli”, sotto la sapiente direzione di Florence, dimostrò che una seria assistenza poteva ridurre drasticamente il numero dei feriti destinati alla morte.

Al suo ritorno in patria, le fu chiesto di riformare l’amministrazione sanitaria inglese, e lei si adoperò per una aerazione migliore, per condutture più adeguate, per una maggiore igiene, e per la nascita di una infermiera moderna, capace di unire, ad una profonda religiosità, una analoga competenza professionale (formata in seguito a doverosi corsi e all’aggiornamento continuo)[3]. In una lettera del maggio 1900 scriveva: “Gli antichi romani sotto qualche aspetto erano superiori a noi, ma ad essi mancava l’idea di essere generosi con i malati e i deboli. Questa venne dal cristianesimo. Cristo fu l’Autore della nostra professione…”.  E concludeva con esultanza: “L’assistenza agli infermi è divenuta una professione[4].

da: http://www.edizionicantagalli.com/cgi-bin/catalogo/index_catalogue.pl?type_simple_search=title&text_simple_search=La+grande+storia+della+carita’

 


[1] Bartolomea Capitanio incominciò con l’aprire una scuola per bambini poveri; ma ben presto affiancò a questa attività la visita agli infermi, sino a divenire, nel 1826, direttrice ed economa dell’ospedale per “infermi cronici e miserabili” di Lovere. L’azione sua, della Gerosa, e dell’Istituto si allargò presto “alle carceri, all’apertura di asili per l’infanzia, agli asili per anziani e incurabili, all’opera negli ospedali civili e militari e nei lazzaretti”. Negli ospedali il compito, svolto gratuitamente dalle suore, era cambiare i letti due volte al giorno, ventilare le sale tre volte al giorno, pulire stoviglie e biancheria, assistere gli infermi in ogni modo possibile, preparare i turni del personale, seguire la visita mattutina dei medici, lavorare in cucina e nei magazzini…Inoltre alcune di loro lavoravano nelle carceri, e la loro presenza permise in certi casi che le carcerate fossero liberate dalle catene che portavano ai piedi e dalla presenza costante delle guardie armate. (Cecilia Sironi, L’infermiere in Italia: storia di una professione, Carocci, Roma, 2012 pp. 78-84). Oggi le suore di Maria Bambina “sono presenti in Europa (Italia, Regno Unito, Romania, Spagna), nelle Americhe (Argentina, Brasile, Perù, Stati Uniti, Uruguay), in Africa (Egitto, Zambia, Zimbabwe) e in Asia (Bangladesh, Birmania, Giappone, India, Israele, Nepal, Thailandia, Turchia). Al 31 dicembre2005, la congregazione contava 5.068 religiose in 447 case”.

[2] R. Porter, op. cit., p. 176. Porter ricorda anche: “In assenza di una vocazione religiosa, la prestazione infermieristica nei paesi protestanti aveva sempre risentito dell’improvvisazione. La tipica infermiera inglese – come le dickensiane Sairey Gamp e Betsy Prig – era un donnone sciatto e amante del bere” (p. 178), sino alla riforma di Florence Nightingale.

[3] Cecilia Sironi, L’infermiere in Italia: storia di una professione, cap. I e III, Carocci, Roma, 2012.

[4] E. Palazzo, Da Florence Nightingale a S. Caterina. Dorotea Snell e la riforma dell’assistenza ospedaliera in Italia, A-Elle-Di, Roma, 1957, p. 244. Aggiunge C. Sironi: la Nightingale “riuscì a rintracciare il secolare sentiero dei primi cristiani, degli ordini e delle confraternite, e a comprenderne i valori per indicare a sua volta la via da percorrere alle donne del suo tempo desiderose di rendersi utili al prossimo e di crearsi uno spazio nel mondo del lavoro” (op. cit., p.42).

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.

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