Casa Betlemme, la scuola dove si insegna “la libertà di non abortire” in un fecondo intreccio di carità e verità

 foto_11-640x336

Da: Punto Famiglia

A colloquio con Davide Zanelli, sposo, padre di due figlie e oblato di Casa Betlemme: “Incontrare questa scuola venticinque anni fa ha travolto il mio cammino, cambiando rotta alla mia vita. Gli devo la fede e la mia famiglia: cioè tutto quello che ho”.

di Ida Giangrande

30 giugno 2017

 

Chi è Davide Zanelli?
Sono uno sposo e padre di due figlie. Nella vita professionale sono un funzionario pubblico con una laurea in legge. Ho un diploma in “bioetica e cultura della vita”. Insieme a mia moglie mi sono formato alla scuola di Flora Gualdani, e siamo tra gli oblati di Casa Betlemme. Da vent’anni io e mia moglie ci occupiamo di pastorale della famiglia. Sono un cantautore per diletto e ultimamente mi sto cimentando in un esperimento di nuova evangelizzazione che ho costruito a margine dei recenti lavori sinodali.

Casa Betlemme, una realtà straordinaria non conosciuta come si dovrebbe. Vogliamo raccontare ai nostri lettori come nasce, di cosa si occupava e come opera sul territorio?
È nata nel 1964 dall’intuizione di una giovane ostetrica aretina. Mentre a Roma c’era il Concilio Vaticano II, lei era al suo primo viaggio in Terra Santa e dentro la Grotta di Betlemme comprese qualcosa di ciò che sarebbe diventata un giorno la procreatica: una questione epocale e drammatica. Capì essenzialmente che «il terzo millennio dovrà tornare a genuflettersi davanti al Creatore». Rientrata in patria, Flora Gualdani trovò in reparto una giovane povera e malata di cancro che non intendeva abortire neppure davanti al consiglio dei medici. Fu il coraggio eroico di quella giovane madre (ancora in vita e oggi felicemente nonna) a dare il via a Casa Betlemme, insieme al coraggio di quella giovane ostetrica che disse il suo “sì” ad un progetto di Dio.

Infatti arrivarono presto altri bambini nel bisogno e poi le ragazze madri. Quando la casa divenne stretta lei chiese a suo padre contadino la parte di eredità e in quell’ettaro di terra ci costruì con ingenti sacrifici alcune casette dove accogliere le “maternità difficili”. Era proprio un “ospedale da campo”, nascosto in un angolo della campagna toscana, dove lei si è specializzata nel prendersi cura anche del trauma post aborto, cioè delle tante donne che portano nel cuore quella ferita viscerale.

Questo ospedale da campo comincia ad essere conosciuto soltanto oggi perché Flora ha camminato per quarant’anni in un voluto nascondimento, fuggendo interviste e riflettori. Quando nel 1994 la sua città voleva assegnarle il premio “Chimera d’oro” per l’impegno sociale, lei dovette cedere alle insistenze degli organizzatori che le facevano notare come quel premio stesse venendo a riceverlo dagli Stati Uniti anche il Nobel Dulbecco! Dice che noi collaboratori l’abbiamo “convertita” a lasciarsi intervistare, e la cosa iniziò con il referendum sulla legge 40.

Nei primi quarant’anni le è toccato attraversare una specie di deserto, poiché tanto ha dovuto aspettare per avere la prima approvazione ecclesiastica: che arrivò nel Natale 2005 dall’allora vescovo Bassetti. Due anni di lavoro e ne venne fuori uno statuto dove è condensato il carisma di questa donna e la missionarietà della sua opera laica che viene da lontano e va nel futuro. Centrata sul mistero dell’Incarnazione, è una realtà che si muove tra azione e contemplazione, con un preciso stile apostolico e una propria spiritualità.

Testimoniando una Chiesa “in uscita”, fin dall’inizio usava le sue ferie per immergersi – grazie ad una certa dose di incoscienza e spirito d’avventura – nelle periferie esistenziali e nelle guerre in giro per il mondo, dove ha realizzato un suo personale “servizio alla maternità senza frontiere”.  È  stata stata pionieristica nella pastorale della vita nascente: non soltanto per l’accoglienza delle ragazze madri (all’epoca non esistevano i Cav, la rete del volontariato o i servizi sociali organizzati come oggi) ma anche perché è rimasta attenta ai segni dei tempi. Si accorse infatti che stava affacciandosi da noi una povertà culturale e quindi dai primi anni ’80 volle aprire un nuovo reparto: quello della formazione quale chiave della prevenzione, per trasmettere ai giovani sapere e valori morali. La sua è diventata così una scuola di vita dove si sono preparate tante famiglie cristiane, compresa la mia. Ed è questo oggi il nostro impegno principale: formare formatori, divulgare e sensibilizzare, coniugando la carità e la verità. Tante sono le realtà pastorali che lavorano sull’accoglienza, ma rare quelle che si occupano di formazione, perché nella procreatica si parla di morale, argomento impopolare. È un campo spinoso dove urgente è la semina, molta è la messe, pochi gli operai.

Quanti bambini sono stati salvati dall’aborto attraverso l’azione operativa e culturale di Casa Betlemme? Quante donne sono state accolte e aiutate?
Difficile dare dei numeri perché Flora è allergica alla burocrazia e non ha mai tenuto i conti, non ne aveva tempo. L’unica cifra certa è che da lei «nessuna donna è mai tornata pentita di aver accolto la vita»: né la undicenne incinta né la prostituta né la donna vittima di violenza. Possiamo dire che almeno qualche centinaio di piccoli innocenti sono stati tolti dalla pena di morte e altrettante mamme hanno scoperto da Flora «la libertà di non abortire». Altra cifra importante è quella della povertà: la nostra fondatrice ha impostato l’opera sul sacrificio personale, facendo tutto in totale gratuità, una scelta piuttosto folle e faticosa che però le garantisce libertà d’azione e di parola. E che d’altra parte ha fatto risparmiare qualche miliardo di vecchie lire ai bilanci pubblici ed ecclesiastici. Lei infatti, invece che alle convenzioni, si è legata a forti convinzioni. Invece che politici e potenti, ha scelto l’amicizia di tre santi: Francesco d’Assisi, Caterina da Siena e Teresa di Lisieux. Da quest’ ultima ha preso la via della piccolezza, l’infanzia spirituale e la preghiera di abbandono.

Una delle attività principali di cui vi occupate è la formazione sui temi legati alla bioetica, tra cui grande importanza hanno i metodi naturali per la regolazione della fertilità. Come la diffusione di una cultura così impostata può cambiare la vita delle persone?
Ti ringrazio di questa domanda perché ci avviciniamo al 50esimo dell’Humanae vitae e la gente ha purtroppo una visione ancora troppo superficiale di quest’enciclica profetica. Flora dice che la scuola di Casa Betlemme, con l’alfabetizzazione bioetica, realizza una delle più urgenti opere di misericordia spirituale: “istruire gli ignoranti”. La definisce una piccola “Università dell’amore con facoltà della vita”, che le ispirò Santa Teresa di Lisieux. Incontrare questa scuola per me fu affascinante, venticinque anni fa ha travolto il mio cammino, cambiandogli rotta. Gli devo la fede e la mia famiglia: ciò tutto quello che ho. Molti hanno preso le distanze dalla Chiesa non condividendo gli insegnamenti dell’Humanae vitae, a me invece è successo esattamente l’opposto: è il capitolo scottante dove sono stato sedotto, e da lì ho cominciato ad apprezzare la sapienza del Magistero, che mi ha instradato in direzione di Gesù e di sua Madre. Il primo concetto che mi si chiarì è che il bene è bello, è lo splendore del vero.

Alla scuola della nostra fondatrice s’imparano a conoscere i suoi grandi maestri: dal genetista Jerôme Lejeune alla psichiatra Wanda Poltawska, dalla ginecologa missionaria Anna Cappella ai coniugi Billings (i primi tre laici che nel 1980 furono ammessi ad un sinodo dei vescovi, dedicato alla famiglia), Sgreccia e Caffarra e altri ancora. Sopra tutti san Giovanni Paolo II con i suoi insegnamenti sull’amore umano. Sono giganti della fede e della scienza che hanno scritto le pagine bioetiche del Magistero. Le infuocate lezioni di Flora e di questi giganti sono assai educative, cioè svolgono un ruolo tipicamente ostetrico: «Uscendo dal grembo oscuro dell’ignoranza, trasalimmo alla luce della verità» (Tertulliano, Apologetico). Ciò che ha affascinato sia noi che tanti altri sposi è l’armonia profonda tra fede, scienza e cultura: una morale incarnata che diventa balsamo per i nostri cuori.

Per quanto riguarda i cosiddetti metodi naturali, a Casa Betlemme aiutiamo anzitutto le persone a superare una serie di pregiudizi, stereotipi ed equivoci. C’è una prima obiezione tipica che riguarda la presunta inaffidabilità scientifica: ed è l’obiezione più semplice da smontare, poiché basta scovare un pò di letteratura medica per capire l’enorme lavoro scientifico e pastorale che c’è dietro. Poi c’è l’obiezione sulla presunta impraticabilità di questa proposta, che sarebbe “di nicchia” cioè un “ideale astratto” adatto soltanto a poche coppie speciali. Ne ha parlato Flora pochi giorni fa in una lunga intervista. Casa Betlemme è la dimostrazione che anche la dottrina dell’Humanae vitae è capace di diventare prassi tra la gente, ma allargando lo sguardo ci sono due esempi ben più clamorosi che spiegano come quest’enciclica funzioni ad ogni latitudine, comprese le periferie esistenziali. Molti ancora non sanno infatti cosa è successo nelle bidonville di Calcutta grazie a Madre Teresa: i poveri che, in materia d’intimità coniugale, danno una grande lezione a noi benestanti occidentali . Oppure in Cina grazie alla caparbietà di un missionario e al lavoro dei Billings.

L’obiezione più comune è l’equivoco della “contraccezione ecologica” che porta molti a confondere questo stile di vita con una tecnica cattolica per non fare figli. Il discorso naturale-artificiale è invece eticamente irrilevante. La vera differenza sta nel fatto che i metodi naturali sono l’unica strada che esige l’esercizio della virtù (astinenza periodica), insieme ad una profonda conoscenza di sé (fertility awareness) nella reciproca fedeltà, in una ragionevole apertura alla vita. Sono quindi essenzialmente una via di crescita perché – spiegava san Giovanni Paolo II – educarsi alla castità significa dominarsi per imparare a donarsi nell’amore, maturando sia a livello personale che relazionale: «non è la tecnica che rende migliore l’uomo ma la virtù».

Puoi dirci qualcos’altro della vostra esperienza su questo tema?
Mia moglie, da biologa, insegna il metodo Billings da vent’anni al fianco di Flora e potrebbe raccontare molte cose sul valore e il significato di questo servizio alla persona, dagli effetti liberanti fino a quelli ecumenici. Nei suoi studi teologici ci ha dedicato sopra due tesi di laurea, una è un focus sull’accompagnamento pastorale delle coppie che soffrono per l’infertilità. Entrambe hanno vinto il premio Achille Dedè. Anch’io come uomo ho capito alcune cose importanti lungo il cammino e per trasmetterle sto usando da un paio d’anni il linguaggio artistico: ho costruito un recital per voce e chitarra intitolato “Dal cielo alla terra”, distillando in poesia e canzone vent’anni di matrimonio alla scuola di questi insegnamenti. Ho risposto così ad un invito lanciato dai vescovi durante il sinodo, che ci chiedevano di usare linguaggi nuovi per parlare di certe cose. L’esperimento sta funzionando molto bene, ne è venuto fuori un tour e la prossima tappa la faremo il 12 luglio all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, nell’ambito di un corso internazionale di bioetica sulla “medicalizzazione della sessualità”.

Nel recital affronto l’altra obiezione, quella del “biologismo”, utilizzando il suggerimento di san Giovanni Paolo II, cioè recuperare «lo sguardo contemplativo» nei confronti dell’uomo fatto come un prodigio. Si chiama etica dello stupore. Rifletto sul rapporto tra creatura e Creatore, sul fatto che la contraccezione tenta di correggere ciò che Dio nella natura ha già creato in modo perfetto, cioè la dimensione della fertilità a nostra disposizione: la quale, nella sua meravigliosa ciclicità, si alza e si abbassa da sola, senza bisogno di farle guerra con la contraccezione (non è un caso che gli addetti ai lavori parlino di “arsenale contraccettivo”). Wojtyla precisava che gli sposi sono chiamati ad essere fedeli non tanto alla natura (anch’essa ferita dal peccato) quanto alla Grazia di Dio, quale «dotazione» preziosissima che riceviamo nel sacramento del matrimonio. Perché l’amore umano è fragile ma è fatto per la grandezza.

L’immagine che utilizzo è quella del “sentiero”, inscritto da Dio nella struttura della nostra sessualità umana: l’uomo invece ci costruisce sopra il “viadotto” della contraccezione, spianando la strada. Mentre il mondo ci propone scorciatoie e autostrade in discesa, il sentiero di Dio prevede anche la salita: perché l’amore è sempre un’ascesa. Nella pedagogia del Creatore c’è dietro tutta una logica, un Logos, epifania di un disegno grandioso. La chiave di volta sta nel comprendere il significato della salita: per capirlo non servono libri di teologia o di pastorale, ma soltanto incamminarsi seriamente dentro quel sentiero, mano nella mano. E gradualmente la strada si apre. Invitandoci a camminare nel suo sentiero (Mic 4,2), Dio vuole semplicemente proteggere il nostro amore ed elevarlo nell’abbraccio totale tra lo sposo e la sposa, senza l’intromissione di un corpo estraneo cui delegare la responsabilità del nostro gesto. E al piacere sessuale nulla viene tolto, anzi. La contraccezione invece si può riassumere in un altro brano della Parola di Dio: «non ebbero fiducia nel Suo disegno» (Sal 106).

L’ultima obiezione è quella di “legalismo” per cui il nostro tema viene spesso etichettato come espressione di una precettistica veterotestamentaria, lontana dall’annuncio del Vangelo.  È  un’obiezione sottile e ci ho impiegato anni a trovare la risposta. I metodi naturali, in quanto via per l’abbraccio totale, hanno in sé un braccio verticale ed un braccio orizzontale: sono cioè l’unica strada per il rispetto intero sia dell’opera del Creatore sia del prossimo tuo che ti dorme accanto. C’è dentro il segno di una croce, come un segreto e un sigillo. Perché tutte le cose si ricapitolano in Cristo (Ef 1,10).

La vostra riflessione, quindi, si colloca nella teologia del corpo.
Esattamente. I metodi naturali non sono un capitoletto opzionale per fanatici moralisti. Appartengono a quel “nuovo femminismo” di cui parlava san Giovanni Paolo II ma diventano una punta di diamante soltanto se vengono incastonati nella “teologia del corpo”, cioè nell’antropologia cristiana come lui l’ha saputa tradurre nella dimensione della sessualità, restituendo al gesto coniugale tutta la sua grandezza. Nel dedicare alla teologia del corpo 129 catechesi del mercoledì, san Giovanni Paolo II ha sviluppato un insegnamento imponente sull’amore umano, allo scopo di approfondire i fondamenti dell’Humanae vitae, utilizzando la sua esperienza di pastore maturata fin dalla gioventù in mezzo alla vita concreta degli sposi. Leggendo un vostro bel libro e un’intervista firmata da Giovanna Abbagnara ho scoperto una cosa importante: del gruppo di coppie che in Polonia seguivano le catechesi del vescovo Karol, nessuna si è separata. Hanno tutte resistito agli anni e agli urti del tempo. Mentre cioè quegli sposi sono invecchiati, gli insegnamenti di quel vescovo non diventeranno mai vecchi, perché sono di un pastore santo. Wanda Poltawska racconta nel suo diario (Diario di un’amicizia, ed. San Paolo 2010) di un gruppo di coniugi in crisi i quali, sul punto di divorziare, accettarono l’invito della giovane psichiatra che organizzò per loro due giornate di meditazioni a cura di don Wojtyla. Wanda ricorda l’atmosfera di profondo raccoglimento che emanava da quel sacerdote. Nelle prime frasi lui disse agli sposi: «C’è solamente una via d’uscita da questa situazione, il cancello dell’umiltà. Che ognuno di voi si inginocchi e dica “ È  colpa mia”. Fino a quando direte: “La colpa è tua”, non ci sarà via d’uscita». Ma soprattutto Wanda ricorda gli effetti delle sue parole: «a quelle persone fu veramente elargita la grazia, furono salvati, ma chiesero altri incontri». Vennero organizzate per loro lezioni di etica matrimoniale che poi divennero un corso strutturato nella “Facoltà di Teologia della Famiglia”, voluta nel 1957 dall’ormai vescovo Wojtyla. Fu quello «il germe di un lavoro che dura tuttora e fornisce persone preparate per il proprio matrimonio e capaci di aiutare gli altri. […] Si trattava veramente di salvare la famiglia, anzi, più precisamente, di salvare la santità della famiglia».

Le cronache ci raccontano che c’è un altro luogo sulla terra dove non esistono separazioni o divorzi: è la cittadina bosniaca di Siroki­ Brijeg, vicino a Medugorje: il segreto è che nella loro pastorale, preparano gli sposi ad abbracciare la croce.

Anche a Casa Betlemme lavoriamo per la santità della famiglia: è una di quelle «oasi» dove s’impara a «vivere il disegno del Creatore» (Benedetto XVI) e a praticare «il bell’amore», come lo chiamava san Giovanni Paolo II: quell’amore capace di castità e fedeltà. Qualcuno afferma che la riflessione wojtyliana sull’amore è come l’Everest che svetta sopra tante colline. Il biografo Weigel dice che la teologia del corpo è «una bomba teologica ad orologeria» che, quando finalmente esploderà, nel terzo millennio, «produrrà effetti spettacolari». Flora questo meraviglioso potenziale esplosivo l’ha già sperimentato anche dentro i conventi e i monasteri. La nostra è una delle opere sparse nel mondo che hanno il compito di innescare quella bomba.

Parliamo della Dat. Aborto e eutanasia sono i due volti di una stessa medaglia e rappresentano i due grandi mali contro i quali combattete. Come avete accolto l’approvazione della legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento? È solo un altro modo per dire eutanasia?

Noi ci occupiamo di bioetica di inizio vita ma ci sono ovviamente punti di contatto, per esempio la “cultura dello scarto”. Studiando un libro del prof. Renzo Puccetti (I veleni della contraccezione, ed. Studio Domenicano, Bologna 2013) ho scoperto una piccola coincidenza impressionante. L’attacco planetario contro Paolo VI e l’Humanae vitae partì dal gesto di disobbedienza messo in atto da un sacerdote della diocesi di Groningen, il quale consegnò ai giornalisti documenti che dovevano restare segreti.  È  la stessa diocesi dove, quarant’anni dopo, i pediatri moderni hanno partorito il primo protocollo di eutanasia per i bambini. La cosa mi è tornata in mente giorni fa di fronte alla vicenda tragica del piccolo Charlie, condannato a morte dalla nostra disperata civiltà europea, dove i progressi della scienza corrispondono ad una paurosa decadenza morale. Lejeune ci esortava a rimanere fedeli al Magistero perché, diceva, «soltanto la Chiesa ha parole di vita» e chi non lo segue «vedrete che ha parole di morte».

Il prof. Puccetti in quel trattato ci spiega che dobbiamo stare attenti alla strategia dei piccoli passi, da sempre utilizzata per modificare l’opinione pubblica e normalizzare certe pratiche. Trattandosi di uno dei più grandi bioeticisti cattolici, confidiamo nella relazione che lui ha recentemente depositato alla Commissione Sanità del Senato documentando sia l’elevata volatilità delle Dat, sia lo spaventoso incremento di mortalità in chi redige varie forme Dat. Il suo è un accorato appello – da medico – al ruolo dei senatori che, nella storia delle civiltà, sono scelti come espressione della saggezza di un popolo, rappresentano l’assemblea degli anziani più saggi «delegata a decidere per il bene dei cittadini».

Per info: famiglia.zanellibicchiega@gmail.com

 

da: http://www.puntofamiglia.net/puntofamiglia/2017/06/30/casa-betlemme-la-scuola-dove-si-insegna-la-liberta-di-non-abortire-in-un-fecondo-intreccio-di-carita-e-verita/

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Autore: Libertà e Persona

La nostra redazione si avvale della collaborazione di studiosi attenti alla promozione di un pensiero libero e rispettoso della persona umana, grazie ad uno sguardo vigile sulle dinamiche del presente e disponibile al confronto. Nel tempo “Libertà e Persona” ha acquisito, articolo dopo articolo, un significativo pubblico di lettori e ha coinvolto docenti, esperti, ricercatori che a vario titolo danno il proprio contributo alla nostra rivista online. Gli articoli firmati "Libertà e Persona" sono a cura dei redattori.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

11 + 1 =