Actuall intervista una cristiana fuggita dai gulag coreani: “Potevamo parlare di Dio solo nelle latrine”.

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La tremenda storia di Hue Woo, cristiana nordcoreana di 75 anni, non ha niente da invidiare ad altre tragiche storie di prigionieri nelle carceri comuniste, come quella del capitano Teodoro Palacios in Russia – resa immortale da Torcuato Luca de Tena in Embajador en el infierno (Ambasciatore all’inferno) -; o quella di Solzhenitsyn nei gulag sovietici da lui narrata nel suo Una giornata di Ivan Denisovich.
Questa storia ha però una dimensione più trascendente, perché la signora Woo non è stata in dieci carceri per aver criticato la “monarchia” marxista dei Kim, che regna sulla Corea del Nord dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma per il semplice fatto di essere cristiana evangelica.

Mentre era tra le sbarre continuò a comportarsi come tale, avendo il coraggio di parlare di Dio agli altri prigionieri nel luogo più sicuro del campo, ossia nelle latrine.
Era il più bel regalo che poteva fare a coloro che, sull’orlo della disperazione, non avevano nulla a cui afferrarsi. E lei, assieme alla luce di Dio, donava il suo pane. La signora Woo, fragile e minuta, si privava della sua esigua razione per donarla ad altri detenuti che soffrivano per denutrizione.
Noi di Actuall abbiamo avuto la grande fortuna di conoscerla e di intervistarla. È come se avessimo potuto viaggiare a ritroso nel tempo fino alla antica Roma e intervistare un martire che si accinge a scendere nell’arena del circo. Non c’è molta differenza fra quella Roma dove Cesare Imperatore esigeva di essere adorato come dio, e un regime ferocemente comunista come quello nordcoreano, dove si dà culto ai Kim, dove i cristiani vengono finiti con un tiro alla nuca
Vogliamo conoscere più da vicino il carattere di questa cristiana perseguitata, che era passata attraverso le prove più dure per non voler negare Cristo, e che – come lei stessa dice – mai si arrabbiò con Dio, nonostante tutto.
Tamara García Juste ti racconta la sua avventura – compresa l’incredibile fuga -, in un racconto commovente. Leggere la storia della signora Woo è come respirare un’aria pura, che ti lascia senza parole e ti disarma guardando alla sua fragilità che si regge su una fede solida come il granito, che ti fa pensare.
Comparato con l’inferno che ha passato per esser leale con le sue convinzioni, a ciò che stiamo vivendo in Occidente, e quasi un’inezia. E questo nonostante il laicismo o gli attacchi alla libertà di cui soffriamo in Europa, e nonostante le minacce contro la famiglia. Perché il nostro coraggio, rispetto ai sacrifici e ai patimenti di questa fragile e minuta nordcoreana, è ben poca cosa. Abbiamo molto da imparare da lei!

Potevamo parlare di Dio solo nelle latrine”.
Di Tamara García Juste – 7 marzo 2017

Un uomo di quarant’anni aveva tentato di fuggire dal carcere, ma le guardie lo scoprirono e gli legarono una palla alle ginocchia, poi vollero che gli altri prigionieri gli girassero attorno per vedere come se la sarebbe cavata. Dopo due giorni morì”.
Quando sei cristiano e sei in carcere per questo motivo, e vedi scene come questa, vieni preso dalla voglia di morire o anche di rinnegare la tua fede. Però Hea Woo (nome fittizio), evangelica nordcoreana di 75 anni, minuta e tranquilla, sopportò tutto ciò passando per dieci diverse prigioni.

E non solo questo, perché fece anche proselitismo parlando di Dio ad altri carcerati nell’unico luogo in cui le guardie comuniste difficilmente entravano per ovvie ragioni, e cioè nelle latrine.
La sua è una storia di sacrificio e sopravvivenza, di desolazione, ma anche di fede. Ora è in cima alla Lista Mondiale di Persecuzione della fondazione Porte Aperte, e viaggia per l’Occidente chiedendo ai cristiani che si ricordino e preghino per i suoi fratelli nella fede che soffrono persecuzione nella Corea del Nord.
Quando Woo ricorda la sua infanzia, non può dimenticare la croce che sua madre portava sempre legata al collo da una cordicella, Ma seppe che era cristiana solo nel giorno della sua morte.

La Corea all’inizio del secolo scorso era un paese molto cristiano, infatti la capitale Pyongyang era definita la Gerusalemme dell’Estremo Oriente. C’erano missionari cattolici e pastori evangelici. Però tutto ciò ebbe fine con l’arrivo del comunismo dopo la II Guerra Mondiale e la divisione in due del paese. Fra il 1950 e il 1953 le due Coree si sono confrontate in una guerra, che ancora non è ufficialmente terminata. Si è firmato un armistizio, ma non la pace.
(È interessante, a quasi un mese, il prossimo 13 maggio, del centenario della prima apparizione di Maria a Fatima, ricordare che la Vergine chiese ai tre pastorelli e al mondo la preghiera e la conversione, altrimenti il comunismo, che stava sorgendo in Russia, avrebbe sparso i suoi errori. Ecco, nella Corea del Nord e in molti altri paesi la profezia si è avverata. Ma il comunismo non è morto, si è semplicemente trasformato nell’odierno relativismo, nichilismo, autodeterminazione e nell’ideologia di genere, che destruttura l’uomo e la famiglia, e prosegue nella sua diabolica seminagione di errori, orrori. menzogne e morte. Debbo dire che a Medjugorie ho avuto occasione di incontrare numerosi pellegrini provenienti dalla Corea del Sud. Ndt).
La Corea del Nord – sotto l’influenza della Cina di Mao – si convertì in un feroce regime marxista in cui vengono perseguitati i cristiani, ma anche in una dittatura dinastica (il primo dittatore fu Kim Il-Sung, al quale succedette nel 1994, Kim Jong-il, e quando anche questo morì nel 2011, suo figlio Kim Jong-Un ne occupò il “trono”). Questo regime è talmente sanguinario, che i cristiani hanno dovuto nascondere la propria fede persino ai loro figli. “Mia madre era cristiana, ma io non lo sapevo”, racconta Woo. E aggiunge: “Nella Corea del Nord, non solo uccidevano le persone che credevano in Dio, ma anche i loro famigliari. Ci insegnavano che i missionari e i religiosi sono lupi travestiti da agnello. Per paura mia madre non poté dirci nulla di Gesù.
Certo, sua madre portava al collo una piccola croce legata a una cordicella. Woo la ricorda vagamente – a quel tempo lei aveva 5 anni -, e anche di averle chiesto che cos’era. Allora sua madre si irritò e la nascose. “Una notte – racconta – mi svegliai e vidi mia madre che teneva tra le mani la sua croce. Io pensavo che era una cosa un po’ strana, però dopo, col passar degli anni, collegai le cose, e compresi il perché”.

Qualche anno dopo Woo si sposò, però suo marito fu incarcerato perché accusato di essere una spia. “Mio marito – racconta – era presente quando suo nonno fu ucciso da alcuni soldati per essere stato un pastore evangelico. Questo ricordo lo accompagnò per tutta la vita. Per questo egli dovette fuggire in Cina, diventando un leader in una chiesa di quel paese. Venne però denunciato e catturato, con l’accusa di essere una spia. Tutti i giorni veniva torturato e tornava nella sua cella ridotto a un cencio. Si muoveva a gattoni per parlare di Dio agli altri prigionieri”.
Quando parla di suo marito, Woo non può nascondere la sua emozione. Per le gesta che realizzò tra le sbarre: “riuscì a istituire una chiesa nella sua prigione”.

In una delle visite che i guardiani lasciarono fare ai suoi figli, il marito della Woo “prese per mano il suo figlio maggiore e gli scrisse sul palmo: devi credere in Gesù, perché è l’unico aiuto per sopravvivere. Non potrai vedere Gesù con i tuoi occhi, ma ti assicuro che esiste. Ogni volta che vorrai piangere e pregare Dio, Gesù ti risponderà. E se muoio prima di uscire di prigione, dovrai fuggire in Cina”. Queste parole rimasero per sempre impresse nella sua mente.
Qualche mese dopo il suo sposo morì e la signora Woo decise di seguire la sua stella, proclamando la sua fede. Le avversità però non terminarono, infatti “l’anno in cui persi mio marito, anche mia figlia di 20 anni morì di fame. In quei momenti non sapevo davvero che cosa fare, ma rimaneva chiaro in me il fatto che avrei dovuto lottare per quanto aveva fatto mio marito. Per questo riuscii a fuggire in un piccolo paese della Cina. Da lì potevo ascoltare il programma di una radio che parlava del cristianesimo, anche se io non potevo andare in chiesa”.
Durante la sua residenza in Cina, Woo venne catturata due volte e incarcerata in 10. carceri diverse. Con la sua voce, rotta dall’emozione per il dolore vissuto durante tutto quel tempo, dice: “In quella prigione c’erano 200 detenuti ed eravamo tutto il giorno ai lavori forzati, senza alcuna speranza poter fuggire”.
Fuggire voleva dire morte sicura. In una delle carceri in cui stette c’era un cartello con questa iscrizione: “Non tentare di fuggire. Se lo farai, morirai”.

La vita nelle carceri comuniste era estremamente dura. Lavori forzati, maltrattamenti e pasti orribili. “Ci davano da mangiare un pugno di mais cotto”, per questo alcuni reclusi morivano per esaurimento fisico e denutrizione. Riguardo a ciò i campi di reclusione cinesi o coreani non hanno nulla da invidiare ai gulag sovietici, di cui sono una copia.
Nonostante il fantasma della fame, la signora Woo prese più di una volta delle decisioni eroiche, come dare parte del suo esiguo pasto ad altri detenuti. “Decisi di darlo agli altri forzati perché non sopportavo la visione di tanti denutriti”. La maggior ricompensa per la signora Woo era guardare i loro volti. “Quando li vedevo mangiare, il mio cuore si riempiva di gioia”.
Fu da allora che cominciò a parlare di Dio ad altri reclusi. “Nelle latrine…, perché era un luogo sicuro, dove le guardie non avrebbero sospettato la nostra presenza a causa del fetido odore”, aggiunge. Non era però facile superare lo scoraggiamento ogni volta che vedeva morire un recluso. E le morti erano frequenti.

Per esempio: “Ci davano da bere acqua sporca, per questo mi ammalai per qualche settimana, al punto da giungere in fin di vita”. Per non parlare poi dell’estrema debolezza causata dal lavoro forzato, o della mancanza di igiene, che si rivelava letale. “Ci obbligavano a schiacciare con i piedi i cadaveri, che poi sarebbero stati bruciati”.
La cosa peggiore non era veder morire i compagni, ma quella di veder scomparire i loro cadaveri, che si accumulavano di giorno in giorno, perché il metodo era particolarmente crudele.
Woo si commuove e rabbrividisce nel ricordarlo. “Vedendo tanti morti, i sorveglianti obbligavano i detenuti a caricarli su delle carrette per portarli su un’altura, dove venivano cremati. Però, prima di cremarli era necessario distruggere i loro corpi. Ed eravamo noi carcerati a dover compiere questo atto crudele. I residui delle pire servivano da concime per i campi”.
Non si arrabbiò con Dio? Le chiediamo.
Woo ci assicura che no. “Sapevo che avrei potuto morire in qualsiasi momento, però sentivo che in ogni caso Dio era con me”.
Dopo esser passata per 10 bagni penali, Woo tenta la fuga. Sapeva che gli sarebbero spettate due pallottole nelle gambe, se l’avessero scoperta, ma lei si giocò il tutto per tutto. Ebbe un’enorme fortuna. Aspettò “che l’uscita, dove c’era una porta elettrica, fosse completamente aperta. In quel giorno corsi verso la porta, passando per la stretta apertura. Quando giunsi sulla strada non smisi di correre. Non volevo nemmeno guardare indietro. Ero felice di poter abbandonare quel luogo davvero spaventoso”, racconta.

Da quel giorno son già passati 7 anni. Ora vive nella Corea del Sud assieme ad altri 25.000 rifugiati nordcoreani. Dopo tutto ciò che ha visto e vissuto siamo sorpresi dalla tranquillità che irradia questa donna minuta. Sembra che non sia mai uscita dalla sua casa, da una esistenza normale e tranquilla.
Non perde però occasione di chiedere ai cristiani occidentali di pregare per coloro che vivono tormentati nel gulag coreano, senza speranza di recuperare la libertà. “Ricordatevi di quelle persone perseguitate per la loro fede”, ci dice. E prosegue: “Il denaro che riuscite a risparmiare, datelo ai poveri. E non gettate il cibo, vi prego!”
Fonte: http://www.actuall.com/laicismo/una-cristi maggioana-fugada-de-los-gulag-coreanos-a-actuall-solo-podiamos-hablar-de-dios-en-las-letrinas/?mkt_tok=eyJpIjoiTlRGaU5HRTJOamsxWldaaSIsInQiOiJ2Z0pyaWNHZzRjTE5hSTh5UmNCRmphSVdJZ3ZaNzlXOGNqaGtLb2Q5QVBWeDZhUmQ3N0JuRDhpc0Y2WmhMNVwvQU9kSWRvdHBOT3B4bG9lNlIyREg0U0IrXC8wSjZORmZNUlpFS01KbnlUZGNzNVRLZ0crbDF4OXozVm9ENE5CclwvUSJ9
Traduzione di Claudio Forti

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