Unar, denari e circoli hot: lo scandalo è averne parlato

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La cosa scandalosa, nel pandemonio esploso dopo il servizio delle Iene, non è il fatto che l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar), alle dipendenze di Palazzo Chigi, abbia destinato (anche se, pare, non ancora versato) fondi pubblici ad una associazione gay dall’attività assai libidinosa, per usare un eufemismo, né nella presenza di essa in progetti scolastici, nell’iscrizione (a sua insaputa, alla Scajola) dell’ormai ex Direttore allo stesso circolo cui l’Unar erogava finanziamenti, né nelle frequentazioni che costui aveva nel mondo cattolico (gli scandali nella Chiesa, lo si sarà capito, non sono tutti uguali), no, che andate a pensare. La cosa scandalosa è che le Iene abbiano osato scoperchiare la realtà di un mondo, quello di certo associazionismo, intoccabile. E’ infatti contro il servizio della trasmissione che diversi si son scagliati. Franco Grillini, per esempio, ha dichiarato che «giornalisticamente parlando» quello era «un servizio confezionato male anche dal punto di vista deontologico» perché «infilarsi dentro un circolo privato per fare riprese non autorizzate», secondo lui, «non è giornalismo: è agguato giornalistico». Dello stesso tenore un comunicato di Gabriele Piazzoni.

Pure secondo il segretario nazionale di Arcigay, infatti, quello delle Iene era un servizio «che in malafede dosava anonimati, vaghezza e repentini precisi dettagli, perfino lesivi del diritto alla privacy» finendo con l’innescare «una macchina del fango ignobile, subito cavalcata dagli omofobi di professione, dentro e fuori il Parlamento». Ora, lungi da chi scrive l’idea di candidare Le Iene al Pulitzer, ma come si fa – davanti all’ipotesi che una o più associazioni, dietro il paravento della discriminazione sessuale e magari pure destinatarie di fondi pubblici, possano lucrare allegramente con attività di assai dubbia moralità senza, dulcis in fundo, pagare un euro di tasse – mettersi a cavillare sulla privacy o su ciò che «giornalisticamente parlando» sarebbe o meno corretto? Forse perché i riflettori, su certi ambienti, non andavano semplicemente accesi? Sarebbe da capire. Sia chiaro, in ogni caso, che in tutto ciò l’omosessualità in quanto tale non c’entra. Il punto qui sono i soldi dei contribuenti e certi club. Alcuni dei quali, nelle scorse ore, avrebbero – via Whatsapp, per fare alla svelta – informato i gentili soci che le loro “attività” sono momentaneamente sospese. Peccato. Per il momentaneamente.

Giuliano Guzzo

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