Meno male che (re) Giorgio c’è

armani

Niente da fare: quando uno ha stile, si vede. E Giorgio Armani l’ha innato, insieme al coraggio. Diversamente non si sarebbe dichiarato, smarcandosi da quasi tutti i suoi colleghi, pronto a vestire Melania Trump, First Lady dieci volte più carina della precedente (anche se è vietato dirlo), ma colpevole d’essere moglie di suo marito. Un peccato mortale, per la cultura dominante di cui troppi stilisti sono corifei. Ma Re Giorgio no, lui non è schiavo dei pregiudizi e lo dichiara: «Di mestiere cerco di vestire le belle donne e Melania lo è, se mi chiedesse un vestito perché no?». Non solo, si spinge pure – consapevole, immagino, di prendersi un bel rischio – a formulare un augurio positivo verso il nuovo inquilino della Casa Bianca: «Mi auguro che i detrattori di Trump si possano ravvedere su ciò che farà, se farà delle belle cose avranno sbagliato».

Che dire? Già ostile all’omosessualità ostentata («Un uomo omosessuale è uomo al 100%. Non ha bisogno di vestirsi da omosessuale») e all’indifferentismo omologante («Ci vuole un po’ più di femminilità, la donna si deve distinguere dal buon operaio che va a sistemare la luce in un appartamento o ad aggiustare le rotaie dei tram») e, soprattutto, cattolico non timoroso di dirlo e dimostrarlo con le opere (ha disegnato paramenti sacri donandoli alla chiesa di Pantelleria, che ne aveva bisogno), Armani con quest’uscita conferma di sapersi distinguere con la stessa, impareggiabile classe dei suoi capi. Lasciando pure intendere una cosa fondamentale, vale a dire che, per quanti soldi uno possa avere – e lui ne ha parecchi, potendo vantare un patrimonio di 6,1 miliardi di euro –, esiste un lusso che sarebbe bene ciascun uomo non trascurasse: quello di rimanere libero.

Giuliano Guzzo

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