Il “male minore” porta Male (4° parte: divorzio)

01 divorzio 1

4) MALE MINORE e DIVORZIO

Prima dell’introduzione delle due leggi italiane, 194 e 40, campionesse d’iniquità, il Parlamento italiano aveva già provveduto a legalizzare il divorzio con la legge n. 898 del 1 dicembre 1970.

La strategia usata dal fronte divorzista fu la stessa che qualche anno più tardi sarà replicata per favorire l’introduzione dell’aborto: la menzogna insistentemente ripetuta. Con numeri enormemente contraffatti, le separazioni coniugali furono presentate come un’emergenza sociale che coinvolgeva almeno cinque milioni di persone! Una cifra inverosimile che comprendeva nonni e parenti dei separati fino alla quinta generazione.

Se sono così tante le persone colpite – si disse – è giusto intervenire, per permettere a questa moltitudine infelice di ritrovare la serenità perduta a causa di un matrimonio sbagliato. La legalizzazione del divorzio rappresentava così il “male minore” rispetto al “male maggiore” di un matrimonio sbagliato e alla conseguente sofferenza dei coniugi e dei loro figli.


 

INDICE:

1 ) “Male minore”, nuovo nome della barbarie?

Male minore e “nuovi diritti” legalizzati

2) Male minore e aborto

3) Male minore e fecondazione extracorporea

4) Male minore e divorzio

5) Male minore e contraccezione artificiale

Male minore e “nuovi diritti” reclamati

6) Male minore e matrimonio gay

7) Male minore e droga libera

8) Male minore, eutanasia e suicidio assistito

9) Male minore, eutanasia passiva e Testamento biologico

10) Conclusione

Bibliografia, Filmografia, Articoli e Studi

4) MALE MINORE e DIVORZIO

Prima dell’introduzione delle due leggi italiane, 194 e 40, campionesse d’iniquità, il Parlamento italiano aveva già provveduto a legalizzare il divorzio con la legge n. 898 del 1 dicembre 1970.

La strategia usata dal fronte divorzista fu la stessa che qualche anno più tardi sarà replicata per favorire l’introduzione dell’aborto: la menzogna insistentemente ripetuta. Con numeri enormemente contraffatti, le separazioni coniugali furono presentate come un’emergenza sociale che coinvolgeva almeno cinque milioni di persone! Una cifra inverosimile che comprendeva nonni e parenti dei separati fino alla quinta generazione.

Se sono così tante le persone colpite – si disse – è giusto intervenire, per permettere a questa moltitudine infelice di ritrovare la serenità perduta a causa di un matrimonio sbagliato. La legalizzazione del divorzio rappresentava così il “male minore” rispetto al “male maggiore” di un matrimonio sbagliato e alla conseguente sofferenza dei coniugi e dei loro figli. “Meglio divorziare che far soffrire i figli”, si sente ancora oggi ripetere da chi è favorevole allo scioglimento del matrimonio, veicolando l’idea del divorzio quale rimedio contro le tensioni coniugali e le loro ricadute sulla prole.

02 conflittoPossiamo affermare oppure no, quarant’anni dopo l’introduzione del divorzio, che questi obiettivi siano stati realizzati? Ovvero: è riuscito il male minore del divorzio legale a restituire la felicità perduta alle coppie in conflitto e ai loro figli, prevenendo il male maggiore della sofferenza frutto di un’unione sbagliata? Ancora una volta la risposta è assolutamente negativa, infatti, con il divorzio legale non si è mancato solo l’obiettivo iniziale, ma grazie all’effetto normalizzante della legge, il male si è potuto propagare, sviluppare, allargare a tutti gli strati della società. Questo ha generato conseguenze economiche, culturali e sociali disastrose, portando al risultato finale di un male assai più grave ed esteso del male maggiore di partenza che si sarebbe dovuto prevenire.

Prima di proseguire nell’analisi delle conseguenze del divorzio legale, occorre precisare che esistono situazioni eccezionali relative a matrimoni tragicamente problematici, dove la convivenza per un coniuge e per i figli è effettivamente divenuta intollerabile. In tali situazioni – fortunatamente molto rare – la cessazione dell’obbligo di coabitazione sotto lo stesso tetto può, in effetti, essere un bene. Anche il Codice di Diritto Canonico riconosce in questi casi particolari la giustezza della separazione, si legge infatti al n. 1153:

“Se uno dei coniugi compromette gravemente il bene sia spirituale sia corporale dell’altro o della prole, oppure rende altrimenti troppo dura la vita in comune, dà all’altro una causa legittima per separarsi, per decreto dell’Ordinario del luogo e anche per decisione propria, se vi è pericolo nell’attesa”.

Tuttavia, la presenza di queste eccezioni non può giustificare in alcun modo la legalizzazione del divorzio. Osserva Francesco Agnoli:

“In presenza di casi in cui una parte della realtà si svolge in difformità dai principi e dalle norme è socialmente meglio lasciare che questi casi si svolgano fuori della legalità, anziché modificare la legalità per ricomprendere quei casi. L’eccezione, che pure è prevedibile, non deve determinare la regola, perché i casi ‘sfortunati’ non possono divenire la norma, neppure da un punto di vista ideale, se non si vuole indebolire l’istituto, la norma stessa.

La legalità, ciò che è riconosciuto come bene, il dover essere, infatti, hanno una funzione essenziale nella vita dell’uomo: lo influenzano, lo educano, lo spingono ad assumersi le responsabilità con una certa consapevolezza. Sapere che il matrimonio è una scelta per la vita, porta certamente a darle il giusto peso, a prepararlo con grande attenzione, a viverlo, anche nei momenti di difficoltà, con quella capacità di sacrificio e di rinuncia che possono rimuovere ogni ostacolo e rilanciare l’amore tra due persone. E poi il matrimonio non è solamente l’esperienza romantica e sentimentale di due persone: permane anche quando l’amore viene meno: ci sono infatti dei figli, verso i quali gli sposi hanno un dovere e che hanno bisogno di due genitori, di due figure complementari e diverse. La famiglia è infatti la mirabile unione di età, generi, e ruoli diversi: è qui che si imparano il rapporto generazionale, la propria identità sessuale, la solidarietà, la rinuncia, lo stare con gli altri… Per questo si può essere contrari alla legalizzazione del divorzio anche senza essere credenti, cattolici”.

Agnoli cita quindi le interessanti considerazioni contro il divorzio di Piero Ottone, direttore laico e liberale del Corriere della Sera, il quale nel 1964 scriveva:

“Il divorzio ha il vantaggio di riparare l’errore di un matrimonio sbagliato e permette di ricominciare. D’accordo. Ma presenta anche uno svantaggio che è, a mio avviso, ancora maggiore. Esso uccide, o riduce fortemente, la volontà dei coniugi di compiere ogni possibile sforzo per salvare un matrimonio pericolante. Dobbiamo ricordare innanzitutto che ogni matrimonio, prima o dopo, corre qualche serio pericolo. Uomini e donne sono troppo diversi gli uni dagli altri per andare costantemente d’accordo… Che cosa succede in questo momento pressoché inevitabile in qualsiasi unione matrimoniale, se esiste la possibilità del divorzio? Quel che succede l’ho visto in Inghilterra, in Germania, in Scandinavia. La possibilità di uscire da una stanza in cui si sta scomodi genera un potente, quasi irresistibile desiderio di uscire, senza tentare di rendere quella stanza, quanto più possibile, comoda e abitabile. E ogni indebolimento della volontà dei coniugi è gravissimo, anzi fatale, perché, nei matrimoni davvero pericolanti, solo un grande sforzo da parte di entrambi, senza indecisioni e incertezze, può salvarli. Ne consegue che l’istituto del divorzio, anche se ha il vantaggio di sanare di tanto in tanto le situazioni insostenibili, ha il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei cittadini. Esso fa di loro, uomini e donne, persone che fuggono davanti alle difficoltà, e non persone che le affrontano con coraggio. Il danno si ripercuote su tutta la vita sociale.

L’indebolimento, inoltre, si ripete a ogni successivo matrimonio di chi si sia già divorziato. L’esperienza dei paesi col divorzio conferma quanto sa benissimo ogni studioso di psicologia. Le difficoltà del primo matrimonio risorgono quasi immutate nel secondo, perché la loro causa fondamentale non risiede nel partner, cioè nell’altro coniuge, bensì in noi stessi… Là dove vige il divorzio è più facile, come in Scandinavia, la gente passa di matrimonio in divorzio tutta la vita. Vi risparmio la descrizione delle conseguenze per i figli, perché furono descritte già migliaia di volte… Sono convinto che l’assenza di divorzio non può salvare tutti i matrimoni, ma ne salva molti che altrimenti finirebbero male. Lo Stato, per la salvezza della famiglia, che è un istituto di importanza ovvia, e per la felicità della maggioranza dei cittadini, fa quindi bene a mio avviso a non permettere il divorzio, anche se questo sacrifica l’esistenza di una minoranza verso i quali tutti sentiamo, si capisce, una profonda comprensione” (citato in Gabrio Lombardi, Perché il referendum sul divorzio?, Ares, 1988).

03 aumento divorziCos’è successo, dunque, dopo la legalizzazione del divorzio? È successo che le previsioni di Ottone si sono avverate.

Come abbiamo più volte osservato, quando una pratica illegale ottiene legittimazione formale, tenderà rapidamente a perdere il carattere di gravità e di eccezione che prima della legalizzazione le apparteneva, trasformandosi in una pratica normale, sempre più accettata, e perciò destinata a diffondersi. Questo è accaduto anche con il numero dei divorzi, aumentati nel corso degli anni in maniera crescente: 10.618 divorzi nel 1975, 11.844 nel 1980, 15.650 nel 1985, 27.682 nel 1990, 27.038 nel 1995, 37.573 nel 2000, 47.036 nel 2005, 54.351 nel 2008, 54.456 nel 2009. In sostanza, dal 1975 al 2009 il numero dei divorzi è quintuplicato, mentre nel frattempo – secondo i dati Istat – i matrimoni sono diminuiti sempre più, con una variazione media  annua del  -1,2%, che nel biennio 2009-2010 è arrivata al -6%. L’avvocato civilista Massimiliano Fiorin, ha osservato che in Italia ogni anno i figli coinvolti nei divorzi sono tra gli 80 e i 90mila, di cui circa la metà ha meno di unici anni al momento del crac familiare.

Ora, se la linea del male minore funzionasse ci dovrebbero essere ogni anno, stando a questi dati, almeno 100mila genitori e circa 85mila figli che scoppiano di gioia e felicità, per aver ritrovato l’auspicata serenità dopo la salutare rottura familiare. Tuttavia, se si va a guardare la realtà dei fatti, emerge uno scenario ben diverso. Si può infatti notare che, con la diffusione del divorzio nella società, sono aumentati sia la povertà delle famiglie che i costi a carico della collettività; che i conflitti di coppia invece di sedarsi si sono acuiti, sfociando non di rado in fenomeni violenti e drammatici; tutto questo continua a ripercuotersi sulla prole e ad arrecare profonda infelicità e immenso dolore a tutti i soggetti coinvolti.

04 raddoppio costiDal punto di vista economico, il primo effetto della separazione è, a parità di entrate, il raddoppio dei costi, questo perché lo stipendio destinato alle spese di una casa (mutuo, affitto, bollette…), dopo la separazione dovrà essere spalmato su due abitazioni (due mutui, due affitti, bollette doppie…). Per una famiglia appartenente al ceto medio e, ancor più, per coloro che già uniti faticano ad arrivare a fine mese, questo significa passare direttamente sotto la soglia di povertà e favorire l’aumento del disastro sociale. Secondo i dati Istat del 2009, dopo la separazione ha peggiorato la propria condizione economica il 50,9% delle donne e il 40,1% degli uomini. Inoltre, la separazione coinvolge e si ripercuote anche sulle famiglie di origine, costrette sovente a riaccogliere in casa il figlio costretto ad abbandonare l’abitazione coniugale, o a fornirgli un aiuto economico perché i soldi per vivere non bastano più.

Ora, non ci vuole molto per capire che, una situazione del genere, non solo non elimina i conflitti coniugali, ma al contrario tenderà a esasperarli, alimentando la rabbia, le rivendicazioni reciproche, le ostilità che, nei casi più bellicosi, possono portare anche al compimento di atti sconsiderati. Dai dati elaborati dall’Associazione Ex, che si occupa del monitoraggio del fenomeno degli omicidi-suicidi consumatisi all’interno del nucleo familiare e maturati nel contesto di separazioni e divorzi, emerge che dal 1994 al 2002 ci sono stati 556 episodi di morte violenta che hanno coinvolto in totale 761 individui; una violenza che ha toccato tutti gli strati sociali senza differenze culturali e di ceto economico. Nel periodo di otto anni preso in esame, la Ex ha monitorato 38.966 casi, rilevando tra le cause dei conflitti: recriminazioni economiche a vario titolo sul mantenimento (94,8% dei casi), impossibilità o intralci alla frequentazione dei minori (71,1% dei casi) e recriminazioni sulla casa coniugale (88,3%). In ben 33.822 casi, cioè nell’86% di essi, vi sono state implicazioni penali come: calunnia, ingiuria, sottrazione di minore, mancato rispetto delle ordinanze, violenza privata, violenza sessuale, ecc.; e in 22.986 casi, il soggetto si è trovato a essere sia denunciato che denunciante. L’avvocato Fiorin ha osservato che “oggi, in Italia i fatti di sangue con motivazioni connesse alla separazione e al divorzio sono probabilmente più numerosi di quelli dovuti alla criminalità organizzata”.

05 litigiIn questo panorama distruttivo, che vede le famiglie di separati farsi la guerra, impoverirsi economicamente e diventare molto più infelici di prima, si è radicata una delle più potenti lobby contemporanee, la cosiddetta “fabbrica dei divorzi”, che con le rotture coniugali ci va letteralmente “a nozze”. Si tratta di un apparato influente e vorace (avvocati, psicologi, assistenti sociali, periti, consulenti, ecc.), che campa con le rotture familiari e che, non avendo perciò alcun interesse a che i conflitti si risolvano in maniera pacifica, si muove in maniera tale da tenere accese le ostilità, spaccando ancor di più i già fragili equilibri delle coppie in crisi.

Se dopo il divorzio gli ex coniugi non stanno affatto meglio di prima, ai loro figli va pure peggio, dovendo costoro fare i conti con una molteplicità di conseguenze economiche, psicologiche e sociali, che producono effetti deleteri sia nell’immediato che in futuro. La numerosissima letteratura scientifica disponibile rivela che, dopo il divorzio, i bambini ricevono meno sostegno emotivo, assistenza economica e aiuto dai loro genitori, meno giocattoli e più punizioni corporali; e sono più soggetti a vivere in povertà e deprivazione. Il divorzio mina seriamente la stabilità psicologica di molti bambini, instabilità che può protrarsi fino all’età adulta, con una maggiore propensione a soffrire di problemi emotivi e psicologici. Molto più elevati sono anche i livelli di abbandono e abuso (fisico, psicologico, sessuale) nei loro confronti. 06 bambino tristeConseguenze si registrano anche a livello scolastico, con un immediato calo del rendimento, problemi di adattamento, più propensione a marinare la scuola, maggiore probabilità di abbandonare la scuola secondaria e con percentuali più basse di laureati tra studenti di genitori divorziati. I figli di genitori divorziati sono anche più portati a tenere comportamenti delinquenziali, a scappare di casa, ad avere maggiori difficoltà ad andare d’accordo con gli altri, a essere coinvolti in risse e rapine, a fumare, ad abusare di alcol e sostanze stupefacenti e ad assumere farmaci; sono più propensi a pensare seriamente al suicidio e a metterlo in pratica, rispetto ai figli che vivono in famiglie unite. I giovani e gli adulti che hanno sperimentato il divorzio dei genitori hanno più probabilità di avere problemi con la salute sessuale e di diventare genitori adolescenti, meno probabilità di ottenere qualifiche e più propensione a sperimentare la disoccupazione e il sostegno al reddito, hanno più probabilità di avere redditi bassi, di essere arrestati e di andare in galera, di sviluppare problemi di salute, di formare presto delle relazioni e molto più frequentemente sotto forma di convivenza, di avere figli fuori dal matrimonio e, a propria volta, hanno più probabilità di divorziare o di sciogliere la propria relazione.

In definitiva, fatti salvi quei casi eccezionali di cui si diceva all’inizio, per i figli è infinitamente meglio avere dei genitori che litigano ma rimangono insieme, piuttosto di genitori che si lasciano, mandando tutto all’aria. Molto interessante in proposito è lo studio americano “The Case for Marriage” (L. J. Waite, M. Gallangher, Doubleday, New York, 2000) condotto su un campione di persone che consideravano infelice il proprio matrimonio, che ha confutato proprio l’equazione: divorzio uguale felicità. Lo studio ha evidenziato che, cinque anni più tardi le rilevazioni iniziali solo il 19% di chi aveva divorziato e si era risposato ha detto di essere felice, mentre ben il 64% di chi era rimasto insieme al coniuge ha dichiarato che, superato il momento di crisi, il suo matrimonio era poi diventato molto felice.

I ricercatori statunitensi Patrick F. Fagan e Aaron Churchill, che hanno raccolto i risultati di una grande quantità di ricerche pubblicate sull’argomento e autori dello studio “The effects of Divorce on Children”, hanno concluso che il divorzio ha implicazioni negative sui bambini e sulle cinque principali istituzioni della società: la famiglia, la Chiesa, la scuola, il mercato e lo Stato.

Non solo, quindi, il divorzio non permette agli ex coniugi e ai loro figli di stare meglio di prima, ma trasmette altresì i suoi effetti deleteri a livello globale, arrivando a colpire le istituzioni e la collettività… se questo è il “male minore”!

07 divorzio tardivoMa non è ancora tutto, perché la cultura divorzista si è talmente radicata nella società che in tempi recenti è arrivata sempre più a contagiare anche i matrimoni di lunga data, cioè quelle unioni che – salvo rare eccezioni – si erano sempre dimostrate immuni alla rottura coniugale, essendo saldamente costruite sul “finché morte non vi separi”. Così, dopo il divorzio dei genitori si è passati al divorzio dei nonni. Secondo i dati Istat del 7 luglio 2011 risultano “in forte aumento le separazioni con coniugi ultrasessantenni… rispetto al 1995 le separazioni sopraggiunte dal 25° anno di matrimonio in poi sono più che raddoppiate”. Scrive l’Istat che dal 2000 al 2009 le separazioni che hanno riguardato uomini ultrasessantenni sono passate da 4.247 a 8.086 (dal 5,9 al 9.4%), e quelle di donne ultrasessantenni sono passate da 2.555 a 5.213 (dal 3,6 al 6,1%).

Questa nuova tendenza non fa altro che frammentare, impoverire e rendere ancora più fragili e sole le famiglie e le persone, ma è altresì foriera della nascita di nuove problematiche, come ha evidenziato la Neodemos, un’associazione italiana indipendente che si occupa dello studio dei cambiamenti demografici. La Neodemos ipotizza che, da un lato

“l’aumento delle separazioni e dei divorzi in tarda età potrà influire sulla capacità dei coniugi di dare cura ai figli e soprattutto agli eventuali nipoti. Dall’altro lato la diffusione del fenomeno potrà minare gli equilibri che soddisfano i bisogni di cura espressi dagli anziani stessi sia nei confronti dell’ex coniuge sia nei confronti delle generazioni successive. La questione appare particolarmente rilevante in una società come la nostra, che si regge in larga parte sullo scambio di risorse materiali e simboliche all’interno della famiglia”.

La Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) osserva che “chi affronta un divorzio oltre i 50 anni rappresenta una realtà che domani potrà costituire un numero rilevante di anziani soli per scelta e non per obbligo (morte o grave malattia del coniuge)” con tutto ciò che ne consegue, a livello sociale, in termini di accoglienza e supporto dei vissuti di solitudine che solitamente accompagnano queste fasi della vita.

Dagli studi del fenomeno in Paesi come Usa e Gran Bretagna, risulta che il divorzio tardivo penalizza soprattutto le donne, che spesso hanno un minor reddito e faticano maggiormente a risollevarsi con una nuova unione, perché con l’età avanzata per loro è più difficile riuscire a trovare un nuovo compagno. Per contro, gli uomini over 60 si risposano più facilmente, ma più di frequente perdono i rapporti con i figli, specie se sono di classe sociale medio bassa, mancandogli in vecchiaia cura e affetto.

08 divorzio breveRimane da considerare l’aspetto del pendio scivoloso che, puntuale, si è innescato anche dopo la legalizzazione del divorzio. Fino al 1989, servivano cinque anni di separazione prima di chiedere il divorzio. Questo periodo di tempo era stato fissato per permettere alle coppie di riflettere, di cercare una riconciliazione, un possibile recupero del rapporto coniugale, prima di sfasciare tutto per sempre. I dati Istat del 2012 mostrano, per esempio, che il 40% delle separazioni pronunciate nel lontano 1998, al 2010 non era ancora sfociato in divorzio. Sintomo del fatto che non è così preponderante l’interesse di molti coniugi a mettere la parola “fine” in maniera ufficiale e definitiva al loro rapporto. Poi gli anni di riflessione sono stati ridotti a tre, finché anche tre sono stati giudicati eccessivi e ha iniziato a farsi strada l’idea del “divorzio breve”. Nella scorsa legislatura la proposta “breve” prevedeva un solo anno di riflessione prima del divorzio, che diventavano due in presenza di figli minorenni. Il “divorzio breve” non è passato, in compenso due legislature dopo, grazie al governo Renzi, è diventato “brevissimo”: il 22 aprile 2015 la Camera ha approvato in via definitiva il Ddl che prevede solo 6 mesi di riflessione in caso di separazione “consensuale” e 1 solo anno in caso di separazione giudiziale, indipendentemente dalla presenza o meno di figli.

Ora, non serve certo un’intelligenza superiore per capire che, dopo questo via libera, la cellula base della società e la società stessa, si avvieranno verso la frammentazione, la fragilità e la povertà con il piede premuto sul pedale dell’acceleratore. Per capire ciò a cui ora andremo incontro basta dare uno sguardo a quello che è successo in Europa dopo che gli Stati hanno emanato leggi per facilitare e velocizzare il divorzio, ottenendo come risultato un incremento incredibile delle rotture familiari. L’Istituto de Polìtica Familiar (Ipf) di Madrid, che ha realizzato un’indagine sul divorzio in Europa, ha reso noto che rispetto al 1980 – nonostante la caduta dei matrimoni (-725mila, pari al 23,4% in meno) e pur in presenza di un aumento della popolazione di oltre 42 milioni di persone -, i divorzi sono aumentati del 50%. Guida la classifica la Spagna, che nel decennio 1998-2008 ha registrato un incremento dei divorzi del 205% (erano 36.072 nel 1998, sono arrivati a 110.036 nel 2008), con un picco del 330% in più solo nel 2006, cioè un anno dopo l’introduzione del divorzio express 09 divorzio(possibilità di divorziare a partire da tre mesi dopo le nozze). L’Ipf rileva che nel 2008 i divorzi in Europa sono stati più di 1 milione (1 ogni 30 secondi) e, nel periodo 1998-2008, questi hanno coinvolto più di 14 milioni e mezzo di figli minorenni. “Queste cifre – ha detto il presidente dell’Ipf Eduardo Hertfelder – parlano di migliaia di tragedie personali, familiari e sociali davanti alle quali non è possibile restare passivi”.

In conclusione, bisogna ancora una volta prendere atto del fatto che anche la legalizzazione del divorzio, al pari di quella dell’aborto e della fecondazione artificiale, è stato un errore gravissimo e un indubbio fallimento, che non solo non ha permesso di prevenire il male maggiore di partenza – non avendo restituito né gioia né serenità ai coniugi in crisi e ai loro figli -, ma ha propagato il male in tutti gli strati sociali e nelle principali istituzioni della società, determinando a conti fatti: frammentazione, disgregazione, povertà, solitudine, precarietà, più fragilità, più sofferenza, più costi sociali… in ultima analisi, più infelicità.

Si può quindi affermare, senza esagerare, che quando una famiglia si sfascia ci rimettono tutti, meglio quindi, per il bene di tutti, la famiglia unita e stabile invece del “male minore” del divorzio. È sul bene che uno Stato saggio e lungimirante dovrebbe orientare leggi ed energie: sulla coesione della famiglia e non sulla sua sempre più rapida dissoluzione!

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