Il problema della diversità e il problema della verità – Distinguere il vero dal diverso

water-263054_960_720Un equivoco oggi diffuso, che genera confusione, mette in pericolo la fede e guasta la vita della Chiesa nelle questioni che toccano i rapporti tra di noi e con i non cattolici, è dato dall’intendere in modo sbagliato il valore della diversità, nonché il rispetto delle idee e della coscienza degli altri e del pluralismo.

Innanzitutto bisogna distinguere, in proposito, le caratteristiche e le esigenze della verità da quelle della diversità. Spesso si riduce questa a quella, creando un disastroso relativismo. Ora, occorre notare che al vero si oppone il falso. Vero e falso possono coesistere di fatto, ma non di diritto. Il vero, dunque, è contraddetto dal falso, in modo tale che l’uno non può stare insieme con l’altro simultaneamente e quindi essi non possono e non devono essere pensati ed affermati insieme di una stessa cosa.

Il vero comporta il contradditorio – il falso – e da esso è escluso assolutamente. Il diverso invece non comporta il contradditorio in senso assoluto, ma semplicemente l’altro nell’universalità della verità. L’identico può essere negato dal diverso, ma questo lo lascia sussistere. Il giorno, diverso dalla notte, nel tempo esistono entrambi, anche se solo successivamente: non possono esistere simultaneamente.

La verità è custodita dal principio di non-contraddizione, fondato a sua volta sul principio di identità del reale; il diverso li presuppone applicati. Dice il principio di non-contraddizione: è impossibile che A sia B e non sia B simultaneamente e sotto lo stesso rapporto.

Dunque, tra vero e falso, tra il sì e il no bisogna scegliere: aut-aut. Il di più, come dice Cristo, (Mt 5,37) appartiene al diavolo, padre della menzogna. Cristo esprime questo principio anche col dire che “nessuno può servire a due padroni” (Mt 6,24). E’ quello che in logica si chiama il “principio del terzo escluso” (tertium non datur): A o è B o non è B. Non ci può essere una terza possibilità, cioè che A sia simultaneamente B e non-B.

Facciamo alcuni esempi. Se Dio è trinitario, il Corano sbaglia nel dire che non è trinitario. Se Cristo è Dio, non può essere solo uomo. Se Dio è impassibile e immutabile, non può essere passibile e mutabile. Se il Concilio di Trento ha ragione, Lutero ha torto. Se il Concilio Vaticano II ha ragione, Lefebvre ha torto. Non si scappa. Qui non si tratta di “diversità”, ma di sapere qual è la verità. E quando si sa la verità, mantenere l’errore, magari scambiato per “diverso”, sarebbe doppiezza e slealtà. In tali condizioni, infatti, non ci sarebbe un dialogo onesto, ma tergiversazione o, come si suol dire, “menare il can per l’aia”. E così via.

La violazione di questo principio in morale comporta infatti la doppiezza (cf I Tm 3,8), quella che la Bibbia chiama “lingua doppia” (Sir 28,13), che crea le parole ingannatrici a doppio senso, “veleno d’aspide sotto le labbra” (Sal 140,4), il che è slealtà e perfidia. Il demonio, come si sa, è rappresentato con la lingua biforcuta. Il linguaggio popolare parla del “tenere un piede su due staffe” o di “doppio gioco”.

I guasti del relativismo

Alcuni credono che l’oscillare voluto e sistematico tra il sì e il no, il “servire due padroni”, questo atteggiamento capzioso e sofista, come “canna sbattuta dal vento” (Mt 11,7), sia segno di intelligenza, e di saggezza, come credeva Hegel con la sua dialettica. Non parlo del dubbio o dell’incertezza, che, se sono ragionevoli, sono cose inevitabili, normali, doverose ed utili. Invece tale atteggiamento è segno di un’intelligenza ipercritica ed opportunista, che sfugge ai problemi e si sottrae alle sue responsabilità. Essa fa bella figura nel mondo, ma non piace a Cristo. E’, direbbe S.Giacomo (3, 15), una “sapienza carnale”.

Così è inaccettabile il concetto di fede del Card.Martini, per il quale ogni credente avvertirebbe sempre nel suo cuore un ateo, che gli contesta la sua fede, senza che si possa mai venire a capo di questo dibattito. Qui si sostituisce l’aut-aut con l’et-et.

E’ chiaro che se uno è al primo approccio con la fede, e non sa se credere o non credere, deve confrontarsi con l’incredulità. Ma ciò non lo esime dal cercare la verità e dall’attenervisi, una volta raggiunta. Se Dio gli dà la grazia di giungere alla fede, è chiaro che adesso dev’essere fermo e non ha senso ogni tira e molla. Certo, una volta che si è raggiunta la fede, il diavolo può tentarci e spingerci all’incredulità. Ma è evidente che noi dobbiamo respingere con fermezza ogni tentazione a scherzare con il fuoco.

Il diverso invece, a differenza dell’opposizione vero-falso, prevede la compatibilità tra di loro dei diversi, che possono essere o relativi o contrari, in modo successivo o in modo simultaneo. Spieghiamoci. In ogni caso, anzitutto, è escluso il contradditorio. A non contraddice B diverso da A, ma stanno insieme nella verità.

Si esprime questo con la formula: et-et. Il diverso può essere contrario o relativo. Se è un diverso contrario, gli succede o lo precede nel tempo; non può coesistere simultaneamente. Caldo e freddo sono diversi in senso contrario tra di loro: se una camera è fredda, non può essere nel contempo calda. Invece il diverso relativo può esistere simultaneamente: le rose possono esistere assieme alle viole.

Il diverso è legato alla molteplicità e all’alterità, per la quale questo non è quello, questo si distingue da quello. La diversità può essere grande o piccola. Se è grande, abbiamo la discrepanza. Se è piccola, si ha la somiglianza. La vera diversità non crea contrapposizioni o contrasti, perché suppone una base comune, ma comporta e crea concordia, armonia, varietà, bellezza, coesistenza pacifica e reciproca complementarità.

Il vero, invece, può essere uno solo, non comportare varietà e diversità. Il vero può non avere un altro da sé. Dio è uno solo, non ci sono altri dèi diversi da Lui. Se li si ammette, sono, come dice Dante, “falsi e bugiardi”. Per questo gli attributi divini sono ben determinati; non si possono stabilire ad arbitrio col pretesto della “diversità”: se li si nega, non c’è nessun “diverso”, ma semplicemente il falso.

Non bisogna confondere semplicemente, senza precisare, il diverso con ciò che ad esso è contrario e col contradditorio. Esiste il diverso relativo. Una cosa coesiste tranquillamente e normalmente con qualcos’altro di diverso da lei. Un’idea giusta può benissimo coesistere con un’altra idea giusta. In un medesimo giardino, nelle condizioni adatte, rose, tulipani, gardenie e viole non hanno difficoltà a vivere assieme, pur essendo fiori diversi tra di loro. Anzi, questa varietà fa la bellezza del giardino.

Ma c’è un diverso che è contrario e addirittura contradditorio. Se nel giardino arrivano insetti che distruggono i fiori, il giardiniere non li lascerà vivere per il fatto che gli insetti sono “diversi” dai fiori ed occorre rispettare la “diversità”. Così similmente è vero che il sangue normale è diverso da quello di un leucemico. Ma nessun leucemico che abbia la testa a posto terrà a conservare la sua leucemia per mantenere la sua “diversità”. E parimenti, le tendenze omosessuali sono indubbiamente diverse da quelle normali; ma ciò non vuol dire che non siano viziose e non debbano essere corrette. L’eretico ha certamente idee diverse da quelle del fedele; ma ciò non vuol dire che l’eretico non debba correggersi[1].

Esiste dunque un diverso legittimo, che è da accogliere, e un diverso illegittimo, che va tolto. Il primo suppone la verità, è un modo come un altro di esser nel vero, gioca sul terreno della verità, all’interno dell’orizzonte della verità, che è fondamento della vera e proficua diversità, verità oggettiva, universalmente condivisa e comunicata nel linguaggio, sorgente di unità, di concordia e di carità, mentre il falso diverso, il diverso illegittimo, che è il contrario o contradditorio simultaneamente al dato, è dannoso, è continua sorgente di dissensi, litigi, divisioni, incomprensioni, ribellioni e conflitti, fatti passare per “diversità” o libertà di pensiero.

La diversità nel campo del pensiero comporta la molteplicità delle opinioni. La verità non è l’imposizione di un’unica opinione e la proibizione di pensare diversamente. Nel campo dell’opinabile è normale la diversità ed anche il contrasto di opinioni, perché non è chiara, certa ed evidente per tutti la verità. Si suppone che ci sia, ma non appare chiara e dimostrata a tutti.

I pregi della diversità

La pluralità, mutevolezza o anche la contradditorietà delle legittime opinioni è segno ed effetto della libertà di pensiero, che è un diritto fondamentale dell’uomo, purtroppo conculcato dalle dittature. Ma, se e quando il vero appare, allora non si è più liberi di pensare diversamente da come il vero appare. Qui non si può tirar fuori la scusa della diversità di idee, ma tutti devono avere lo stesso pensiero per poter essere nella verità.

Ma anche le opinioni possono essere legittimamente in contraddizione tra di loro, nel senso che ho detto; il che però non vuol dire che possano essere formulate in un modo qualunque, a casaccio e senza discernimento, col pretesto della “diversità”. Infatti, l’opinione legittima e plausibile deve avere un certo grado di probabilità ed essere argomentata. Per il fatto che essa non dà certezza della verità e che può rivelarsi falsa, uno non può dire tutto quello che gli salta in testa.

Occorre invece che tutti pensino allo stesso modo, quando si tratta di valori oggettivi, universali e dimostrati, per esempio in campo scientifico, filosofico o morale, e soprattutto nel campo della teologia e della fede. In questo senso S.Paolo raccomanda a tutti di avere “una sola fede”. Quando si tratta di verità di fede, la Chiesa può ordinare a tutti i fedeli di pensare allo stesso modo. Chi qui pensa diversamente, è nell’errore, è eretico.

Diversi tra di loro sono gli individui di una stessa specie. La specie o è vera o è falsa (aut-aut), mentre gli individui al suo interno sono tutti veri (et-et). Per esempio, all’interno dell’essenza universale “uomo” (animal rationale), giacciono molti individui diversi, tutti veri perché sono modi d’essere diversi della medesima essenza. Ma ciò che nega l’essenza universale “uomo” è falso.

Diverse sono le lingue, benchè unico sia il concetto di lingua. Diversi sono i gusti degli uomini, benchè ogni uomo abbia la facoltà di gustare. Diverse sono le opinioni, benchè la verità sia una sola. Diverse sono le scienze, ma unico è il concetto del sapere.

Diverse possono essere le applicazioni di un medesimo principio morale. Diverse possono essere le interpretazioni di un versetto della Scrittura, che non è spiegato dalla Chiesa, purchè tale interpretazione non nuoccia a qualche articolo di fede. Infinitamente diversi possono essere modi di praticare la carità. Ma il concetto della carità dev’essere uguale per tutti. Se così non fosse, la diversità di concetti creerebbe confusione, contraddizione, arbitrio, equivoco e falsità.

Il differente differisce per qualcosa da un’altra specie (differenza specifica) al di sotto di un genere. Per esempio, l’uomo, nel genere animale, differisce dal cane che appartiene al medesimo genere, per il fatto che l’uomo, a differenza del cane, possiede la ragione. Il diverso invece differisce dall’altro con tutto se stesso. La bestia differisce dall’uomo per il fatto che la bestia non ha la ragione. Pietro e Paolo sono diversi, perché tra di loro non c’è nulla di identico all’infuori dell’appartenenza alla stessa specie umana.

“Diverso” può essere un termine o aggettivo eufemistico per indicare e nascondere ciò che in realtà qualcosa da esso designato è anormale, difettoso, contrario, falso. Così si dice che l’omosessuale è “diverso”. La religione islamica è diversa da quella cristiana. Il paralitico o lo storpio è “diversamente abile”.

Ma quando è questione di vero e falso in senso radicale, il buon senso vuole che non si ricorra più all’espediente del “diverso”, ma si faccia con chiarezza la distinzione. Per questo, non si giunge a dire che il cieco è un diversamente vedente o che il malato di cancro è un diversamente sano. Qui abbiamo un contrasto così netto, che espressioni di questo tipo non avrebbero alcun senso. Eppure, alcuni non hanno ritegno a parlare di “diverso”, laddove bisognerebbe parlare di contrario, di opposto, di falso, di malvagio.

Falso concetto della diversità

I valori della diversità, spesso fraintesi, vengono oggi strombazzati e talmente enfatizzati, gonfiati ed assolutizzati, da accantonare completamente la questione ben più importane e fondamentale, che è quella della verità, e in particolare della distinzione tra il vero e il falso.

Si confondono il falso, il male, il difettoso, il carente, l’illegittimo, l’ingiusto, l’anormale e il cattivo col “diverso”, tessendo ipocritamente le lodi del “diverso” – perchè disprezzare il diverso? – e così il falso e il male non sono più opposti o contrari tra di loro, ma semplicemente “diversi”.

Nella concezione relativistica della verità, la diversità è assolutizzata, senza curarsi dell’opposizione vero-falso, per cui la verità è solo apparenza soggettiva; ne viene che ciò che a noi appare falso o male non va respinto, combattuto o escluso, ma al contrario, accettato e benvoluto, così come si deve accogliere ed apprezzare il diverso. Il falso e il male esistono sì, ma in modo contrastante per me e per te. Ciò che è vero per me, è falso per te. Vero e falso non hanno un senso oggettivo ed universale, indipendente dai singoli e comunque dal soggetto. Dipendono da come ognuno la pensa.

Ognuno giudica secondo il suo punto di vista. Non esiste un punto di vista universale, ma ognuno ha il suo, che è la regola della verità per lui. Ognuno, come alcuni oggi dicono, ha la “sua verità”. E ciò andrebbe anche bene, se ci si riferisse ad oggetti diversi; e invece si pretende che circa la stessa cosa la verità non sia una sola, ma la “mia” possa essere contraria alla “tua”. E’ solo una verità “diversa”. Vale la mia quanto la tua. Non esiste un criterio comune di giudizio. Io non posso confutarti e tu non puoi confutarmi.

Come ci si intende così? In nessun modo. Nessuno sa qual è verità e tutti sanno qual è la verità, pur contraddicendosi l’un l’altro. Ognuno ha ragione, perché si suppone che tutti cerchino la verità; si suppone che tutti siano sinceri, siano in buona fede, perché ognuno è a se stesso la regola della propria verità.

La verità è dunque ciò che sembra vero a ciascuno. “Così è, se vi pare”, secondo il titolo della commedia di Pirandello. Non si può giudicare l’altro in base ad un criterio esterno supposto universale ed oggettivo, ma solo in base al suo criterio soggettivo. Ciò che è vero per me, può essere falso per te. E tutti sono in buona fede; per questo non esiste il falso e il male in sè, ma solo il diverso.

Male è semmai il non rispettare il diverso così inteso. Così coloro che pretendono di proibire, correggere o confutare errori o eresie, appaiono essere persone aggressive, incapaci di apprezzare il diverso e di comprendere gli altri, chiuse nelle proprie idee ed ai valori degli altri, idee che pretendono imporre agli altri. Solo loro sono nella verità; tutti gli altri sbagliano o sono nel vero solo coloro che hanno le loro idee.

Accade che coloro che intendono il diverso e la questione della verità nel modo suddetto siano oggi spesso apprezzate e di successo, danno l’apparenza di persone liberali, magnanime, miti, padrone di sé, benevole, imparziali, aperte a tutti, libere da estremismi e rigidezze, duttili, dalle larghe vedute, tolleranti e comprensive.

Questo stile, che alcuni vorrebbero ritenere evangelico e suggerito dallo spirito del Concilio Vaticano II, è in realtà oggi, come sempre nel passato, diffuso e apprezzato dagli opportunisti, dai demagoghi e dai carrieristi. Fa la sua comparsa nell’età moderna con la famosa figura di Erasmo da Rotterdam, il quale credeva di dare un esempio di moderazione e di equilibrio super partes, ma in realtà, benchè si ritenesse cattolico e si proclamasse fedele al Papa, pretese di interporsi tra il Papa e Lutero come arbitro di un conflitto dove ragione e torto stavano da ambo le parti, senza rendersi conto che qui non c’era da mediare tra due opposti estremismi, ma semplicemente da respingere l’eresia in nome della verità.

Erasmo scrisse un buon trattato sul libero arbitrio, che gli meritò la lode di Leone X. Ma poi non ebbe il coraggio di andare fino in fondo nella lotta contro Lutero e condivise il disprezzo luterano per la vita monastica e per la teologia scolastica: figura patetica, che si fermò a mezza strada e quindi finì per scontentare tutti, i cattolici, che non lo ritenevano abbastanza cattolico, e i protestanti, che non lo ritenevano abbastanza protestante. Non è questo il modo di mediare tra due contendenti.

Se ai tempi di Erasmo cattolici e protestanti si affrontavano ferocemente come se non avessero nulla in comune e sembravano due eserciti schierati l’uno contro l’altro, oggi si è caduti nell’eccesso opposto: col pretesto del dialogo e della diversità si giudica la differenza tra cattolici e luterani come fosse quella tra francescani e domenicani, e si sta diffondendo una mostruosa mescolanza di cattolicesimo e di luteranesimo, che non fa che mostrare un abbominevole disprezzo per la verità.

Queste persone relativiste e scettiche, dal fare bonario, ma che celano una sostanziale violenza pronta ad aggredire chi in nome della verità le contraddice e ne smaschera l’ipocrisia, appaiono fautrici di pace, di dialogo, e di serena e di civile convivenza tra persone, gruppi e correnti di idee contrarie e fedeli di varie religioni.

In realtà, esse difettano nel compito e nel servizio più importante e più fondamentale, che Dio ci ha assegnato, e che fa la dignità dell’uomo: quello di essere promotori di verità, quello di aver cura che la verità sia conosciuta e l’errore respinto.

Il vero rispetto per la diversità

In realtà i veri mediatori di pace, che conciliano i contendenti, sono preziosissimi nella storia e chiamati beati dal Vangelo. Ma non sono quelli che ho detto, che invece creano sconcerto e amarezza tra gli onesti e danno spazio ai soprusi degli impostori. Bisogna infatti intendersi bene su ciò in cui deve consistere questa mediazione per creare la pace vera. I veri pacificatori rifuggono dai maneggi e in nome della verità sanno accettare anche opposizioni ed insulti.

Innanzitutto bisogna dire che esistono due metodi di conciliazione tra due parti in conflitto tra di loro. Ci può essere conciliazione tramite correzione e conciliazione tramite mediazione. Il primo metodo si adotta quando una parte corregge l’altra, quando, cioè, si dà un contrasto dove una parte ha ragione e l’altra ha torto. Pensiamo ad esempio al contrasto tra il Papa e i luterani, tra l’ortodossia e l’eresia.

Qui non occorre una mediazione tra le due parti, perché la mediazione rappresenta un punto medio superiore ad entrambe le parti, verso il quale entrambe le parti devono convergere, togliendo i rispettivi difetti, che sono causa del conflitto.

Invece, in questo caso, nel quale una parte è nella verità – il cattolicesimo -, mentre l’altra è nell’errore – il luteranesimo – occorre che la parte che è nell’errore, lasci l’errore e si congiunga con l’altra, che è nella verità.

Infatti, la vera mediazione è mediazione tra una verità sostenuta da una parte e un’altra verità sostenuta dall’altra, e il mostrare ad ambo le parti come queste due verità possono e devono convivere e congiungersi tra di loro, nonostante le apparenze in contrario, che sono all’origine del conflitto. Ma questa operazione può farla solo un’istanza super partes, ossia tale da saper assumere il lato di verità di ognuna delle due parti, così da congiungere i due lati nella sintesi propria dell’istanza superiore.

Così, per esempio i lefevriani e modernisti, in linea di principio, che sono entrambi nel torto, ma hanno anche dei lati buoni, potrebbero benissimo accordarsi e fare la pace, creando per conseguenza la pace nella Chiesa, oggi da loro lacerata e tormentata, e dando consolazione a tutti i buoni e veri fedeli del Papa, solo che prendessero atto, una buona volta, dopo cinquant’anni che stanno litigando, che tradizione e progresso non si escludono affatto, ma, al contrario, devono congiungersi ed integrarsi reciprocamente nella comune accettazione della verità cattolica.

Ognuna delle due parti, però, deve togliere i propri difetti, che sono la causa del contrasto: i modernisti devono interpretare il Concilio non a loro comodo, ma secondo l’interpretazione del Magistero; i lefevriani devono decidersi ad accettare le dottrine del Concilio, che non sono moderniste, ma cattoliche.

L’istanza superiore in grado di svolgere questa mediazione non può che essere il Sommo Pontefice, nel cui Magistero trova soddisfazione sia il fattore della tradizione che quello del progresso, in reciproca complementarità, nell’edificazione della compagine ecclesiale.

Preghiamo quindi per il Papa perchè lo Spirito Santo gli dia la saggezza e la forza per mettersi a capo di questa opera di pace, a lui sommamente spettante, aiutiamolo in questo compito, arduo ma sublime, perché la diversità rifulga nella verità e la verità si esprima nella diversità.

[1] Cf il mio libro La questione dell’eresia oggi, Edizioni Viverein, Monopoli (BA), 2008.

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