Della monade-animale. Vers. 2.0

bocca

Prefazione prefaziosa

Ovvero: “sullo stare al di qua del sacro”

Sì, lo so. Non si dovrebbe scriverein prima persona.
Ma questo non è un saggio filosofico. Né un manifesto politico.
E’ un atto di ribellione.
E come ogni ogni sovversivo, cerco complici.
Dunque la domanda è: tu, da che parte stai?

Siamo nell’era di un riduzionismo spaventoso: la coscienza è stata reificata, ormai la si pensa come un dato materiale, mentre l’uomo stesso sta per essere ridotto a monade-animale.

Chi lo dice? Quale studio lo dimostra? Quale rivista scientifica affidabile lo afferma?
Perché lo abbiamo visto, quanto vale “l’appello all’autorità

Importa davvero?

O è più importante prendere posizione?

Perché il fatto è questo: la naturalizzazione della coscienza è un inganno. E l’uomo non è una monade. Non esiste una scienza della libertà. Non esiste un dire, un desiderare o un sapere che riguardi l’uomo che sia neutrooggettivoal di sopra delle parti.

Indifferente?

Quando si interroga l’uomo, chi interroga e chi viene interrogato coincidono. Ma il nostro domandare, il nostro cercare, il nostro vedere è sempre già carico di ciò che noi siamo. O meglio di ciò che noi crediamo di essere, oltre che di ciò in cui crediamo. In questa micro prefazioneammetto dunque di essere prefazioso: tendo ad una visione, prendo posizione, sono di parte. In modo netto, inequivocabile. Dove si colloca quindi la mia domanda? Da che parte sta il mio guardare l’uomo, il mio interrogarlo e, in questo, il mio pensare il mondo?

Io mi colloco al di qua del sacro.

Sì: per me l’uomo è ancora un essere-sacro. Su di lui, nessuno ha diritto, nessuno può esercitare un possesso. Nessuno può stendere la mano, in alcun modo. Contro ogni nichilismo, che sostienel’esser-niente dell’uomo, io affermo invece che l’uomo non era, non è – e non sarà mai – un nihil, un nulla. L’uomo non è “un ente tra gli altri”, un essere qualsiasi. Non è un ente che ad un certo punto appare, calca per un certo periodo la terra, poi svanisce nel niente, in modo che, provenendo dal niente, finendo nel niente, ed essendo lui stesso un niente, lo si possa uccidere prima ancora d’esser nato, o rendere schiavo, in tutti i modi possibili, o che si possa fargli violenza, quale che sia, senza con questo varcare la soglia che porta al di là del sacro, al di là dell’infinita ed inarrivabile sacralità della vita umana.

Quindi, io vedo e affermo la luce sacra dell’uomo, di ogni uomo.

Resto al di qua dell’argine del sacro: anch’io scorgo il “tu non mi ucciderai”[1] nel volto d’altri. Affermando che l’uomo è un ente che vale più del nulla, dico anche che l’uomo è il bene, così come l’umanità che resta in noi è un bene. Per tutti. Io affermo anche che riportarsi al di quadell’assoluta dignità dell’uomo è oggi un gesto trasgressivo, ribelle, contro corrente, indipendente: ma anche l’unico gesto libero, vivo, prospero, mentalmente sano, universalizzabile[2], che si possa fare.

L’accettazione incondizionata di ciò che ho scritto costituisce il presupposto per comprendere il senso di ciò che sto per affermare.

uomo

Dell’essere ridotti a monadi-animali

Ovvero: alcune visioni per arrivare ad una proiezione d’insieme, partendo da ciò che accade in ambiti diversi e apparentemente scollegati tra loro. Per una rilettura critica del circostante.

Se non esiste un dire, un desiderare o sapere del mondo umano che sia neutro e oggettivo, tantomeno esiste un’oggettività nel trovare, nello scegliere, nel valutare e nell’interpretare i dati e i fatti che ci permettono di dare forma alla nostra visione.

prigione

Ma io sono fazioso, l’ho detto prima, e pure pre-fazioso. Dal mio punto di vista, dunque, proverò in questo breve excursus a mettere in sequenzadis-ordinata alcuni accadimenti, apparentemente slegati tra loro, così come vengono. Il lettore ne potrà eventualmente aggiungere secondo il proprio gusto: c’è solo l’imbarazzo della scelta. Cercherò poi di arrivare ad una sintesi, per sostenere uno sguardo d’insieme che vuole essere una sorta di scatto rubato, una fotografia di denuncia e di protesta: di ciò che stanno e stiamofacendo di noi stessi.

Partiamo da noi, quindi.

In Italia è aumentato – ed è presumibile che stia crescendo tutt’ora – sia il consumo diantidepressivi che il numero dei suicidi. Lo rileva il Rapporto Osservasalute del 2015. Effetti analoghi sono stati studiati per gli ansiolitici [3]. Siamo un popolo che sta invecchiando, la natalità è sempre più bassa. Ci stiamo impoverendo, aumentano le difficoltà sul lavoro, spesso acuite da disastrose scelte dei governi centrali [4]. Ad un aumento della conflittualità e dell’insicurezza sociale sembra corrispondere un correlato senso di incertezza individuale, plausibilmente acuito dal trasformarsi veloce delle relazioni sociali. Dopo il passaggio dalla società post-figurativa a quella pre-figurativa [5] ci stiamo portando ad uno stile di relazioni sociali ancora più disgregante, basato sulla modalità della connessione, più che della relazione [6]. Con tutto ciò che questo passaggio comporta: un aumento del narcisismo, del consumismo, in ultima analisi delle solitudinie del correlato senso d’insicurezza. Le monadi, se isolate, evaporano nel nulla. Ma non prima di essere ridotte allo stato animale. Riduzione peraltro ricca di evidenti contraddizioni. Basti pensare che gli animalisti più intransigenti da una parte negano la specificità dell’uomo ma dall’altra sono comunque generalmente favorevoli all’aborto.

Un diffuso malessere, una sorta di regresso che si declina in forme diverse. Un esempio, tra i tanti? Già dal citato Rapporto Osservasalute dell’anno precedente (2014) si evidenziava una tendenza alla sedentarietà, ad un aumento del consumo di farmaci (in generale) e ad un’alimentazione scorretta e al seguente sovrappeso [7]. Plausibilmente, ad un aumento della sedentarietà corrisponde una diminuzione delle relazioni dirette, non mediate dalla tecnologia. Ma che c’entra il sovrappeso? C’entra, eccome: come tutto ciò che rende brutti o tende al brutto, che ci circonda. La corsa ai consumi ed il ripiego compulsivo su di sé e sul consumo alimentare è, come tutti sanno, largamente indotto. La sovralimentazione determina una serie di problemi che hanno costi: ogni problema richiede una soluzione, ma le soluzioni si pagano. Così si ottiene come effetto un ulteriore aumento dell’insicurezza: chi è contento del suo essere obeso? Il meccanismo sembra essere questo: si crea una dipendenza. Ovvero: si crea una monade-animale. Isolata, senza finestre, incapace di guardare all’esterno. Poi si prospettano dei modelli di bellezza opposti ed il gioco è fatto: in questo modo si isolano le persone e si aumenta in loro il senso di solitudine e sofferenza ed il correlato bisogno di accettazione sociale. Quindi si danno anche le soluzioni (ancora una volta, a-di consumo) per uscire da questo stato: non avete notato quanti sono i volumi, dedicati alle diete, che affollano gli scaffali delle librerie? I prodotti dimagranti nelle farmacie? I centri benessere che promettono di restituire una silhouette accettabile? E così via. Sempre più monadi, sempre più ripiegamento su di sé, sempre meno rapporti e relazioni socialmente edificanti, sempre più deboli, incapaci di cogliere il senso generale di ciò che avviene o comunque di reagire in modo significativo alla manipolazione [8].

Voltiamo pagina nel nostro catalogo ideale. Nel Luglio di quest’anno (2016) è arrivata in aula alla Camera la legge per la legalizzazione della Cannabis. La cosiddetta “droga leggera”. L’argomento è il solito: “siccome” bacco e tabacco, pur facendo danno (soprattutto ai giovani), sono leciti, “allora” dev’essere lecito anche tutto ciò che ad alcol e tabacchi può essere equiparato sul versante dei danni, dei rischi e dei pericoli (alcolismo, tabagismo, tossicodipendenza). Verrebbe da chiedersi come mai, invece di impegnarsi semmai nella lotta al consumo di alcol e tabacchi, per esempio informando sui danni che provocano in modo più capillare, si propone al contrario diampliare lo spettro dei consumi che creano dipendenza, rendono insicuri e daccapo: innestano nuovi bisogni di guarigione. Il punto è: la politica si muove per liberare l’uomo o per aumentare la sua soggezione? In questo modo si dà respiro all’essere comunità o all’essere monade-animale-isolata?

Ancora avanti. Una ricerca del CNR di Pisa (del 2015) pone gli studenti italiani primi in Europa per consumo di psicofarmaci: “sono utilizzati per migliorare la concentrazione quando si studia e per ‘sballarsi con l’alcol”. In sintesi: “In tutta Europa i maggiori consumatori di psicofarmaci non prescritti tra i teenagers (15-19 anni) sono gli studenti italiani. Oltre duecentomila li hanno usati nell’ultimo anno, 395 mila gli under 20 che li hanno provati anche in passato mentre continua a crescere la fetta di coloro che diventano consumatori abituali, che li hanno ingeriti 10 volte o più nell’ultimo mese: sono 43mila, erano 27mila nel 2007. A lanciare l’allarme su un fenomeno in crescita costante, (a parte la cannabis le altre droghe sono stabili), è lo studio Espad italia (european school survey project on alchol and other drugs) condotto dal reparto di epidemiologia e ricerca dell’istituto di fisiologia clinica del consiglio nazionale delle ricerca di Pisa, (Ifc-Cnr)”.

La domanda è: perché uno studente – quindi un giovane – ha bisogno di consumare psicofarmaci per studiare o per sballare? Non c’è alcuna ragione, evidentemente. Ma come si arriva al consumo di un farmaco che dovrebbe essere prescritto da un medico e venduto in una farmacia dietro presentazione di ricetta medica?

La mia lettura? Bisogna richiamarsi all’idea di disgregazione, di manipolazione, e finanche di “brutto”, dentro e fuori di noi, cui sopra ho accennato. In una società brutta, in una scuola brutta, che deve fare un giovane? A me sembra logico: cerca l’evasione. Ma daccapo: perché la scuola, i programmi, e così via, sono disgreganti? A vantaggio di chi, come vedremo più avanti, questaesasperazione di “competenze” settoriali e questa idiota svalutazione di ciò che dà alla persona una visione d’insieme e sensata del mondo?

Che sia chiaro: la mia non è una fissazione per la teleologia. Però di fatto non possiamo esimerci dal ragionare per cause, cercando di trovare le ragioni ed il senso di ciò che accade. Sempre che si voglia ragionare e non fermarsi alla constatazione dei fatti, s’intende. Quello che accade, non piove dall’alto. Non capita “a caso”. A meno che il caso non sia abbastanza potente ed intelligente da disegnare un progetto che fa dell’uomo quello che stiamo scorgendo in questi anni.

La naturalizzazione della coscienza ha un fine, uno scopo. E’ telologicamente orientata. La sua ragione sta nel controllo sociale che ne deriva.

Lo aveva perfettamente capito Edmund Husserl. Siamo nei primi del Novecento. In ogni suo scritto, ma in particolare in quello scritto formidabile che possiamo considerare il manifesto della Fenomenologia (Cfr. La Filosofia come scienza rigorosa, pubblicato sulla rivista Logos, nel 1911), Husserl prende di mira quella tendenza psicologista che è sopravvissuta indenne ad ogni critica fino a noi e sta ancora portando danni incalcolabili. La designa in modo dispregiativo come “filosofia naturalistica” o “teoria naturalistica della conoscenza”.  Essa è per Husserl caratterizzata dalla “naturalizzazione delle idee”, vale a dire la riduzione delle verità ideali a processi psicofisici sottoponibili all’indagine sperimentale. In questo consiste propriamente la “naturalizzazione della coscienza”: la soggettività diviene una “mera variabile dipendente dal fisico”, dunque non dissimile da un qualunque altro ente del mondo naturale. Husserl era di fronte ad una tappa fondamentale dell’essere-ridotto-a-monade-animale. Un altro passo di quel nichilismo estremo di cui Nietzsche aveva preannunciato la massima penetrazione in Europa nel “Frammento di Lenzerheide“.

Dite che non è naturalizzazione della coscienza, che non è nichilismo-dominante, che non è riduzionismo sia naturale sia sociale, universalmente piegato al politicamente corretto?

Intanto in Iowa se non sei allineato al politicamente corretto, sei fuori dagli studi.

E quindi dalla professione.

Andiamo avanti?

Eccoci servita la “teoria svedese dell’amore”. Perfino Repubblica ammette che “è così libera da sembrare disumana”. Ci basti la sintesi di Rodolfo Casadei: “La Svezia è oggi un “paese in cui le persone vivono isolate, sempre più donne single scelgono la fecondazione artificiale e molti anziani muoiono da soli, dimenticati da tutti. E con 80 euro vi spediscono anche il kit per la fecondazione artificiale a domicilio”.

C’è anche un’anteprima di un corto, davvero molto ben fatto, per chi vuole assaporare la bellezza (mortale) della riduzione a monadi-animali.

Un’altra pagina. Londra, andata e ritorno.

Cresce la bisessualità nei giovani inglesi. C’era da aspettarselo: questa è la nuova moda-trasgressione che viene propinata ai ragazzi. Qual è lo scopo? A cosa porta un’identità “fluida”? Chi ne trae vantaggio?

E se in Inghilterra è boom di “bambini transgender” (nel 2015 oltre mille minorenni sono stati sottoposti a terapie per il cosiddetto “disordine di genere”), anche in Italia assistiamo ad una crescente enfasi data a quella che sembra la moda del momento, tant’è che anche da noi si comincia a parlare di “bloccanti ipofisici”. A quale scopo assecondare la (naturale) indecisione sulla propria identità sessuale che in misuura diversa provano tantissimi giovani? A che scopo de-individualizzarli con una pesantissima terapia farmacologica, negando loro il diritto di essere indirizzati verso una maturazione psicologica che non metta in contraddizione mente e corpo?

A proposito di bambini e transgenderismo, apro una breve parentesi. Si vedono i bambini che sfilano, dietro a quegli uomini-cane, nella foto qui sotto? Senz’altro saprete che da tempo esiste una sorta di “comunità” di “uomini – cane”, in cui vengono introdotti anche i bambini. Li vedete? Sono lì, in prima fila. E questo è “solo quello che si vede”. Lascio immaginare il resto.

Pensate che sia uno scherzo di carnevale? Nient’affatto. Si tratta del trans-specismo, ovvero di quel “fenomeno sociale nato dagli ambienti sadomaso omosessuali e che conta nel solo Regno Unito almeno 10mila simpatizzanti. I membri di questa comunità, in genere maschi ed omosessuali, amano travestirsi da cani, essere coccolati dai loro padroni fino al punto di avere relazioni omosessuali con questi, mangiare in una scodella, ringhiare contro le persone non gradite, essere messe al guinzaglio ed ovviamente camminare a quattro zampe anche per le vie pubbliche[9]. Volete vedere un istruttivo documentario?

Sembra ancora il caso di parlare solo di “insicurezza indotta” o non è questo qualcosa di più? Anche qui, la trama più o meno evidente che lega i fatti che abbiamo osservato è costituita dall’idea pervasiva – ed occultamente inculcata – che riduce l’uomo ad animale. Questa sì: la monade-animale perfetta. L’uomo insomma ridotto ad ente, il cui valore è niente. Sarebbe interessante vagliare punto per punto quanta influenza abbia avuto il darwinismo su questa inconsapevole convinzione, che come abbiamo visto lega insieme tutti questi fenomeni: l’uomo è poco più di un Bonobo, di un Orango del Borneo, di un Pongo abelii. Quantitativamente più sviluppato, ma qualitativamente sullo stesso piano di una scimmia. O un animale qualsiasi.

E’ un’esagerazione? Invito allora a ricordare il caso di quella scienziata che amava il suo delfino.

Il punto non è qui la follia del singolo, sia chiaro. Se fosse stato un pastore qualsiasi, ad innamorarsi della sua pecora, la notizia si sarebbe spenta in poco tempo. Di matti, il mondo è pieno: chi si stupisce più? Qui però è diverso. Si tratta di una ricercatrice, non di una qualsiasi. Di una donna di scienza, razionale, con la testa sulle spalle. Quindi: perché no? Un altro esempio? Chi non ricorda l’illuminante proposta del parlamentare Carlo Sibilia? “Legalizzare i matrimoni di gruppo e tra specie diverse. Purché consenzienti“.

E non è finita. Potremmo andare avanti per molto, prendendo in esame una miriade di notizie che confermano questo trend in atto. Ancora una, che non possiamo tralasciare (anche per via della sua intrinseca comicità): sempre a proposito di uomini e animali, il Canada ha recentemente stabilito che gli atti sessuali tra uomini e animali sono leciti purché non vi sia “penetrazione” tra i soggetti coinvolti. Si tratta evidentemente di un paletto ridicolo, che verrà presto spazzato via. Che sesso sarà mai, senza penetrazione? D’altra parte, a quanto parte anche l’alta società si sta mettendo al passo con i tempi.

Qualcuno potrà obiettare: ma se anche qualcuno desidera degradarsi a livello di animale, a noi che importa?

E’ questo il punto: siamo di fronte al massimo del potere disintegrante. Ciascuno per sé: a te che importa? Si dà però il caso che non si tratti affatto di una stravaganza di qualche singolo impazzito. Quella che stiamo osservando è l’ultima onda di una rivoluzione antropologica che affonda le sue radici in profondità. Ed è teleologicamente orientata alla riduzione a monadi-animali.

E’ l’immagine dell’uomo, della dignità e della sacralità di ogni uomo, ad essere oggi sulla via del tramonto. Al posto dell’immagine tradizionale, qualcuno comincia a delineare i tratti dell’uomo nuovo, dell’uomo che verrà: una monade-animale, per l’appunto. Un essere sempre più vicino all’animale o al robotico [10] (entrambi sinonimi di niente) che all’umano.

Un ente totalmente manipolabile, a disposizione del potere. Un essere che si può fabbricare, letteralmente: costruire pezzo per pezzo. O smembrare e rivendere, sempre pezzo per pezzo. Nonostante la forza della censura, credo non ci sia davvero bisogno di richiamare alla memoria il recente orrore del caso Planned Parenthoodla più grande fabbrica di aborti del mondo”, in cui ogni pezzo umano ricavato da un aborto ha un suo tariffario nel mercato del traffico illegale di organi di feti abortiti.

Altra constatazione, anche questa apparentemente slegata dalle prime. Chiudiamo il cerchio aperto con il dato sul consumo di psicofarmaci e la correlazione con l’auemento del tasso di suicidi (avremmo potuto citare anche il fenomeno dell’eutanasia, con tutti i nonsensi che comporta) e veniamo al processo di parallela normalizzazione di tutto e di patologizzazione della normalitàche si fa sempre più virulento. Per ragioni sintesi, restiamo confinati al solo livello della salute mentale (ma è chiaro che l’argomento potrebbe essere declinato in altri ambiti). Faccciamo riiferimento al DSM (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Nonostante sia oggetto di critiche sempre più imbarazzanti, questa specie di Bibbia per gli operatori del settore (psicologi e psichiatri in primis) continua ad essere considerata l’unica fonte attendibile per stabilire il canone della normalità e della patologia. Da anni si parla di “diagnosi inventate”[11], ma quello che sta succedendo negli ultimi anni è ancora più grave.

Ora, a parte l’ormai famoso (e presunto) “errore” (o piuttosto un’altra finestra di Overton che si è aperta?) e la successiva correzione dell’American Psychiatric Association (APA) in merito alla “derubricazione” della pedofilia da “disturbo” a “orientamento” o “preferenza, registriamo altre notevoli evidenze. Infatti, parallelamente alla normalizzazione di quelle che un tempo erano considerate vere e proprie malattie mentali (come l’omosessualità, derubricata nel 1973[12]), insieme alla tendenza a ridurre anche la pedofilia ad un orientamento tra i tanti possibili (sulla scorta di quanto avvenuto con l’omosessualità, intesa oggi come variante” della sessualità umana [13]), si può facilmente notare come il logico complemento di questa normalizzazione non possa che essere la patologizzazione della normalità, per la gioia dei colossi farmaceutici. Un altro passo verso l’affermazione definitiva della sostanziale identità qualitativa tra uomo e animale.

Pensiamo ad esempio al caso di questa nuova malattia, inventata di sana pianta, definita nell’ultimo DSM “oppositional defiant disorder” (ODD): un curioso disordine mentale che consisterebbe in un “atteggiamento continuo di ostilità, disobbedienza e comportamento ribelle”. I sintomi di questa “malattia” includonoribellione, negatività, contestazione dell’autorità, ed essere polemici: non sembra questa la logica premessa di un futuro silenziatore globale per ogni pensiero divergente, per ogni dissidenza, per ogni critica all’ideologia dominante?

E non è certo un caso isolato, purtroppo. D’ora in poi, perfino la comune sofferenza umana verrà considerata una specie di malattia mentale. Tanto che Allen Frances (ex direttore editoriale del DSM) ha sentenziato in merito: «Il mio miglior consiglio ai clinici, alla stampa ed al pubblico in generale è: siate scettici e non seguite ciecamente il DSM-5 lungo una direzione che porterà facilmente ad un eccesso di diagnosi e ad un dannoso eccesso di somministrazione di farmaci», ed aggiungendo in seguito: «Far diventare la sofferenza umana una malattia mentale sarà la manna per l’industria farmaceutica ed una carneficina per chi soffre».

E non è finita qui. Il nuovo DSM inventa di sana pianta nuove malattie mentali anche per i più piccoli. Si pensi per esempio al DMDD, “disruptive mood dysregulation disorder”: disturbo da cattiva regolazione di uno stato d’animo esplosivo (ci si riferisce qui agli scoppi di collera tipici nei neonati e nei più piccoli). E’ sempre Frances a tirare questa conclusione: in questo modo si «trasforma il fare i capricci tipici del bambino in una malattia mentale». Tutti sappiamo che dove c’è una malattia c’è un’azienda che produce un farmaco: qual è il fine reale della creazione a tavolino di nuove malattie? Una volta che un soggetto sarà marchiato da una diagnosi di questo genere, sarà più facile che venga ad integrarsi con la comunità o che prenda la strada del progressivo isolamento?

Del resto non è in discussione proprio in questi mesi, nel nostro paese, lo psico-reato di omofobia? Non è chiaro a tutti quanto l’etichetta preventiva di “omofobo” non sia finalizzata all’isolamento di chiunque abbia qualcosa da obiettare rispetto alle attuali politiche omosessualiste? A dirla tutta sembra in realtà che si tratti di una tendenza emergente in tutto il mondo occidentale, dove a) qualunque critica al movimento omosesssualista viene percepita eo ipso come “omofobia”; b) l’omofobia è vista come una malattia da curare, oltre che c) un reato da perseguire (va ricordato che in Italia una legge contro l’omofobia è ferma al Senato dal 19 settembre 2013 e tra i numerosi emendamenti ce ne sono anche alcuni che propongono, in caso di condanna, l’obbligo di lavorare da sei mesi a un anno in un’associazione che tutela omosessuali, bisessuali, transessuali o transgender. “Obiettivo: far capire meglio il mondo contro il quale si è provata tanta avversione“). Qui è visibile l’altra faccia del processo di disgregazione: quello dell’omologazione coatta al pensiero unico dominante.

Ultima tappa del nostro agghiacciante carosello. L’Europa ha appena condannato l’utero in affitto(definito dalla neo lingua con l’acronimo asettico di “gpa”, ovvero “gestazione per altri”), ma nel contempo non lo ha vietato. Il mercato ed il conseguente traffico di bambini si calcola sia milionario [14], con l’aumento di offerte, perfino apposite fiere del mercato. I bambini si producono, gli essseri umani si commissionano su ordinazione. Siamo sempre nel mondo delle monadi-animali: la riduzione dell’umano ad oggetto del diritto altrui sta facendo passi da gigante. Aumentano ogni giorno gli uomini che non sanno né sapranno mai chi sono: né da dove vengono, né perché sono al mondo, né conoscono chi li circonda, né sanno cos’altro fare in questa vita se non consumare e lasciarsi consumare. Rubo le parole a Claudio Risè: «l’essere umano non viene più considerato come una persona con un suo corpo, ma solo come un oggetto prefabbricato. Qui si sta organizzando la produzione di bambini come adorabili oggetti di consumo».

Weltanschauung: ma come si esce da questo stato?

Per una rappresentazione del mondo, della vita, e per una presa di posizione di fronte all’accadere.

La carrellata di orrori ed apparenti stranezze dovrebbe essere sufficiente per tentare una sintesi unitaria e per delineare un sguardo d’insieme. Un primo elemento sembra emergere in modo incontrovertibile: rispetto ai temi e ai problemi indicati non ci sono stati non ci sono, da parte dei poteri istituzionali, sufficienti sforzi per arginare, contenere, limitare i danni. Anzi. L’impressione è che ormai questi dati siano stati digeriti, assimilati, metabolizzati: ci siamo abituati all’idea che non ci sia niente da fare, è così. E basta: le cose oggi vanno peggio di ieri. E lo stesso sarà domani. Capire chi e come esercita davvero il potere è a questo punto un passo essenziale, prima che sia davvero troppo tardi. Ma se tutto sta davvero come abbiamo visto, significa una cosa sola: siamo destinati a ridurci a monadi-animali isolate, impoverite, incapaci di relazionarci e non solo impotenti nel progettare il futuro ma anche inefficaci nel criticare l’esistente. La monade-animale è un essere che subisce, per definizione: la sua unica opzione è consumare e lasciarsi consumare. L’immagine complessiva che esce dai fattori che abbiamo elencato è quella di una civiltà stanca, indebolita, che ha perso la bussola. Morente. Giovani (e meno giovani) sempre più fermi, chiusi in casa, completamente assorbiti da media elettronici. Una pasticca per studiare. Una per lavorare. Una canna – di Stato – per rilassarsi. La coca per il sabato sera. Sempre e comunque rivolti al consumo isolato e isolante (anche se in gruppo), un consumo elevato all’ipertrofia più alienante, che diventa perfino consumo di se stessi. Sempre meno in grado di comunicare, di relazionarsi. Divisi. Impauriti da cambiamenti massicci, rapidissimi ed (apparentemente) incontrollabili (penso all’immigrazione, al welfare[15], alle dinamiche dell’occupazione e ai tagli pensionistici che si sono accumulati negli anni, a tutto quel mare di elementi che non ho citato in questa micro-rassegna).

Una domanda. A chi giova la distruzione della famiglia, unica struttura-strutturante sopravvissuta? A chi giova l’equiparazione dello status di famiglia a qualsiasi tipo di gruppo sociale, a prescindere dalla composizione e dalla finalità?

A me sembra che sia evidente un grave senso di malessere, alimentato da scelte sbagliate (daccapo: di chi? o indotte da chi? e a quali scopi?) sotto il profilo economico sociale, oltre che da una pseudo-cultura dilagante basata sulla contraddizione radicale, sulla disgiunzione sociale e sull’esasperazione della debolezza individuale, reale o percepita che sia. L’impressione è quella di una sorta di ipnosi collettiva, dalla quale sembra impossibile emergere. Chi ci prova, viene immediatamente isolato, divorato, digerito e metabolizzato dal sistema.

Quali, allora, le possibilità di resistenza? A mio parere occorre, come sempre, cercare di ripartire dalla ragione. Quindi prima di tutto restare fermi all’evidenza e cercare di comprendere le ragioni di ciò che accade. Vedere che cosa è stato, perché è stato così e non cosà, ci aiuta pre-vedere i possibili scenari futuri: come sarà. E quindi a trovare – e non è detto che sia possibile – delle contro mosse che siano efficaci.

Una delle radici fondamentali di questo processo è a mio parere la convinzione inconscia ed incoinsapevole dell’omogeneità ontologica col mondo animale. Lo si vede chiaramente dagli esempi che ho portato. Siamo sempre più convinti – consciamente o inconsciamente per ora poco importa – di essere poco più che animali. E’ questo il punto. Non c’è da stupirsi, quindi, se interi gruppi sociali si danno al trans-specismo o se si manifestano interessi sessuali per le bestie. Se iBonobo vengono presi a modello di riferimento. L’uomo è ridotto a monade-animale, quindi dis-umanizzato, quindi non-pensante. Ridotto a schiavo dei propri istinti. Come un animale, per l’appunto.

Per il vantaggio di chi?

Al fondo di questa corsa verso il nulla sta una sorta di ideologia leggera, apparentemente innocua, che ha nello scientismo una delle sue fonti più evidenti. L’altra fonte originaria sarebbe, anzi è, lo gnosticismo, ma per ora limitiamoci a prendere in considerazione questo aspetto: l’idea che deve essere diffusa, capillarmente, l’immagine che deve prevalere su tutte è quella di un uomo qualitativamente assimilabile agli altri animali più evoluti. La scienza, la sperimentazione ci ha convinti di questo: funziona sui topi, funziona sulle scimmie. Funziona anche sull’uomo. Quindi dove starebbe la differenza?

Lo abbiamo visto con i bambini che possono essere prodotti, selezionati in laboratorio. Come i topi. Poi venduti, per soddisfare esigenze emotive di adulti benestanti. Come i cani da compagnia. Senza che nessuno muova un dito. Probabilmente già da ora commissionati con determinate caratteristiche (l’ingegneria genetica è già in grado di prestabilire molte opzioni possibili). Un fai-da-te veramente drammatico, un punto di svolta senza pari nella storia dell’umanità, che è scivolato via nella distrazione comune, come se niente fosse. E’ un passo di gravità epocale che basta da solo a segnare la nascita di un mondo nuovo, ideato a tavolino, di un uomo nuovo e la fine del vecchio, così come lo avevamo sempre inteso. Ma il controllo sociale è riuscito a vanificare per tempo tutte le voci contrarie. Oggi chi grida l’allarme è, come abbiamo visto, un omofobo: un malato da curare. Per chi si oppone c’è già pronta la nuova diagnosi. Segue il farmaco da prescrivere. Chi protesta per il degrado che si evince dalle storie orribili che abbiamo visto è un illiberale. O un fascista, e così via. Il dispositivo del controllo porta tutto sul piano pre-razionale dell’emotività, sfugge abilmente da qualsiasi piano razionale per convincere gli spettatori (di questo si tratta) di ciò che vuole. Voglio accoppiarmi con una bestia: che t’importa? Nel frattempo si patologizzano aspetti comuni della normalità, in modo costante. La “cura” porta, come si è visto, da una parte la speculazione delle case farmaceutiche, dall’altro il torpore mentale delle vittime (non dei malati). La precarietà del lavoro, il senso d’impotenza e di paura rispetto alle ondate d’immigrazione, per non parlare dalle tensioni geopolitiche in atto, fanno il resto. Non c’è poi da stupirsi se i tagli al welfare vengono subiti per lo più senza proteste o se un numero impressionante di giovani studenti tiene in tasca una confezione di psicofarmaci. Vogliono liberalizzare le droghe leggere. Non bastano alcol e mercato nero: occorre che siano ridotte a prodotto da banco o peggio consentite in un fai-da-te domestico. Tutti sanno che l’effetto delle droghe è la perdita di lucidità. Tutti sanno a cosa porta la cultura dello sballo. Eppure, anche questo, sembra un diritto inviolabile. Come non pensare che dietro la battaglia dei diritti ci sia un progetto di generale instupidimento delle popolazioni? Come vedere un globale impoverimento, un indebolimento indotto, io dico: una riduzione a monadi? L’argomento, anche qui, è lo stesso che sta a fondamento della fabbricazione e deportazione di bambini in coppie dello stesso sesso: a te, personalmente, che male fa? Io mi sento un cane: che cosa ti tolgo? Ci vogliamo sposare in due, tre, in un numero indefinito di persone dello stesso sesso (o di sesso diverso): a te cosa cambia? La vita è un self service di gioie e piaceri. Quando è difficile o impossibile consumarla in questo modo, meglio morire. A te che importa? Il corpo è mio e me lo gestisco io. Se voglio, posso terminare la vita di un altro essere umano – innocente, anche nel caso di violenza sessuale – solo perché si tratta di un essere piccolo. Così piccolo che non ne individuo chiaramente la forma, quindi pretendo di dire che non è un essere e non è umano. Se una donna vuole abortire, a te, cosa cambia?

A me cambia, eccome.

Perché è dell’umanità che si sta parlando. L’ho detto all’inizio, da pre-fazioso: è della mia famiglia, che si discute. Della sacralità della vita umana, quindi anche della mia, che si sta discutendo. Io non accetto di essere diviso, scisso, appiattito, imbruttito, degradato ad animale.

Ritrovare l’indipendenza

Con la ribellione e con la ricerca dell’indipendenza: dando ascolto alla stampa indipendente, alle ricerche indipendenti, alle voci indipendenti. Con il pensiero critico: quindi con lo studio, con il rigore della logica e la fermezza al piano dell’evidenza, lasciando i neo-linguaggi autoreferenziali a chi li ha inventati, per dominarci, ribellandoci non solo alla neo-lingua ma anche alla seduzione del pessimismo e dell’indifferenza politica.

Fondando nuove comunità e nuove reti sociali.

Ri-fondando i Monasteri.

Dandosi alla macchia.

Agendo in modo tale da diventare legislatori universali.

In prima persona.

Ora.

Non vedo altre strade: la tecnica della disgregazione è infatti potentissima.

Ma la tecnica della divisione e della contrapposizione va denunciata. «Divide et impera». Così recita una delle massime più conosciute dell’antichità romana. Ma non si tratta solo di una regola militare indicata per potenziare il dominio di un Impero: nel suo significato più profondo non si parla soltanto di governare un popolo dividendolo al suo interno e facendo scoppiare rivalità o incoraggiando discordie. Questa regola vale anche per i singoli, per ciascuno di noi. La divisione, la scissione interiore, la mancanza di unità nel proprio Io è fonte di disagio psichico. Oppure può essere anche opera del Divisore[16] per eccellenza, per chi ha fede. In entrambi i casi è sintomo di una debolezza, di una mancanza di sufficiente capacità critico-reattiva: è indice, a vari livelli di sudditanza.

E sudditi, possibilmente immersi nell’illusione di essere liberi, ci vuole l’Impero. Quello di sempre, ovvero quello dei nostri giorni. Quell’Impero che allunga i suoi tentacoli sul mondo e assume via via maschere diverse: può essere economico, mediatico, ideologico, e così via. Ma sempre, nella sua radice più intima, volontà di dominio, di controllo. Direbbe Nietzsche: volontà di potenza.

Quindi, daccapo: divide et impera. L’Impero – per esercitare a fondo il suo dominio – deve indebolire scindere, mettere in contrapposizione, frantumare. Prima di tutto: l’Io degli individui. I conti tornano: non è forse del bisogno di passare ad un’umanità uni-sex, indifferenziata nella sua identità più profonda (quella sessuale), che ci stanno convincendo? Non è forse un salto nel superamento di ogni legame individuante col proprio io che ci parlano le teorie del “gender fluid”?

Pensate che sia un fattore disgregante introdotto suolo sul piano dei media e dell’immagine del Sé?

Sbagliato. Sono intere nuove generazioni ad essere formate (e curate) in base a questo assioma:divide et impera.

Penso a quanto più che opportunamente rilevava Salvatore Settis (ex direttore della Normale di Pisa, dimessosi qualche anno fa dal Consiglio Superiore dei Beni Culturali in polemica coi tagli alla Cultura del governo Berlusconi), in merito all’artificiosa distinzione tra competenze econoscenze, ormai massimamente diffusa nelle scuole e tra gli insegnanti: “[…] è un’idea perversa sostituire la parola “conoscenza” con “competenza”, come è stato fatto dai pedagogisti alla nostrana, consultati da Berlinguer e dalla Moratti in poi per le loro pessime riforme scolastiche. Abbiamo bisogno di persone con uno sguardo generale. Non bastano le conoscenze specialistiche, approfondite quanto si vuole. Ci vuole una visione collegata col senso della comunità (come del resto è scritto nella nostra Costituzione, che stiamo via via dimenticando). […] La scuola ci insegna delle cose, ma dovrebbe soprattutto insegnarci a dubitare di quello che essa stessa ci insegna. […] Il modello dell’educazione di oggi è quello di Tempi moderni, di Charlot che fa l’operaio e esegue un solo gesto: prendere la chiave inglese e girare un bullone. L’ideale del nostro bell’ideologo-intellettuale-riformatore dell’educazione è proprio “formare” qualcuno che fa una sola cosa, e la fa senza pensare. Un modo di mortificare la ricchezza della natura umana”.

In una parola? La Scuola, così impostata, produce individui scissi. Proto-monadi. Che sanno fare una cosa sola, ma sono incapaci di una visione d’insieme. Detto in altri termini: di comprendere ciò che succede intorno. Dentro e fuori di sé.

Ma daccapo: un individuo scisso, una monade-animale, confuso sulla sua identità, a partire da quella sessuale, convinto che la realtà sia liquida e che non esista alcuna verità, per la quale valga la pena vivere, lottare, soffrire e magari anche morire, è un individuo incapace di criticare e di opporsi a qualunque potere costituito. Buono o cattivo che sia. Un ente infinitamente manipolabile, una forma perfetta di oggetto di consumo.

Mi fermo qui. A me sembra dunque chiaro che tutte queste forme diverse di nichilismo imperante riconducano ad una forma, precedente, di volontà di potenza che mira a disgregare l’uomo. A convincerlo che è un nulla, che può tranquillamente finire nel nulla (che anzi spesso è meglio così). Che dunque non vale nulla: non merita rispetto, non merita lavoro. Non merita la bellezza: che affondi, obeso, nel suo divano. In salotto a giocare al computer. Basta che consumi e non (si) faccia troppe domande. Qualcuno si stupisce che aumenti il consumo di psicofarmaci ed il tasso dei suicidi sia in crescita costante?

Alessandro BenigniOttobre 2016


Note

[1] Espressione tratta da Emmanuel Lévinas, in Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità.

[2] Cfr. Immanuel Kant, Critica della ragion pratica, secondo imperativo categorico «Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere come principio di una legislazione universale».

[3] Citiamo (solo come uno degli esempi possibili), il caso delle benzodiazepine. Le benzodiazepine costituiscono una classe di farmaci che vanta proprietà ansiolitiche, sedativo-ipnotiche, anticonvulsivanti, miorilassanti e anestetiche. L’uso quotidiano (anche limitato a dosi terapeutiche) di benzodiazepine porta ad una forte dipendenza fisica. La dipendenza può verificarsi già dopo 14 giorni di uso regolare (cfr. Tracey McVeigh, “Tranquilizers ‘more lethal than heroin,’” The Observer, 5 Nov. 2000). La crisi d’astinenza è simile a quella dell’alcol. Essa è “più prolungata e spesso più difficile di quella dell’ eroina” afferma il Dottor Conway Hunter, Jr. (Cfr. Matt Clark, Mary Hager, “Valium Abuse: The Yellow Peril,” Newsweek, 24 Sept. 1979). Le conseguenze tipiche dell’ astinenza sono ansia, depressione, sudorazione, crampi, nausea e perfino reazione psicotiche e convulsioni. Tentativi di suicidio (Cfr. Physicians’ Desk Reference, http://www.pdrhealth.com). Le benzodiazepine causano tra il 1990 ed il 1996 ben 1810 morti in Inghilterra: il che li rende più letali dell’eroina, della cocaina e del metadone, i quali insieme causano nello stesso periodo 1623 morti. (cfr. Tracey McVeigh, “Tranquilizers ‘more lethal than heroin,’” The Observer, 5 Nov. 2000). Nel Marzo 2005 la Commissione Sanità del Parlamento Inglese svela i risultati della sua inchiesta sulle benzodiazepine e riferisce “adesso si sa che gli effetti collaterali del trattamento con benzodiazepine includono una calma eccessiva data dai sedativi, difficoltà di attenzione, amnesia e a volte dipendenze incurabile. L’improvvisa interruzione può portare a gravi crisi d’ astinenza che includono convulsioni in alcuni pazienti. Per limitare questi rischi adesso si consiglia un trattamento a breve termine seguito da lunghi periodi di riduzione graduale del farmaco.” (Cfr. The Inluence on the Pharmaceutical Industry,” House of Commons, UK, Health Committee, Vol 1, March 2005, p. 65.)

[4] Interessante a questo proposito citare una quanto osservava sulla sua pagina Facebook Diego Fusaro: “Così disse espressamente Monti la mattina del 28 luglio 2015, nel corso della trasmissione Agorà in onda su RaiTre: «Quando c’è la casa di proprietà, c’è meno mobilità nel Paese, il mercato del lavoro è meno mobile […] e se noi vogliamo continuare ad avere una scarsa mobilità e giovani che vivono a lungo con i genitori e le caratteristiche che fanno dell’Italia un Paese poco competitivo, allora andiamo avanti a dare un trattamento privilegiato sulla casa». Più chiaro di così! Vogliono toglierci la casa di proprietà per renderci ancora più flessibili e disponibili per le dinamiche del capitalismo deeticizzato”.

[5] Celebre espressione della Mead. Come ricorda Alfredo Alietti, “Margaret Mead, una tra le più importanti antropologhe del secolo scorso, a partire dai suoi studi sui rapporti intergenerazionali evidenziava tre tipi di cultura: post-figurativa in cui i bambini apprendono soprattutto dagli anziani, cofigurativa in cui sia i bambini sia gli adulti apprendono dai loro pari e prefigurativa in cui gli adulti apprendono anche dai loro figli. Stante questa differenziazione, le società definite “primitive” risultano post-figurative poiché il concetto di autorità è derivato dal passato e dalla tradizione e, di conseguenza, i mutamenti sono assai lenti e impercettibili. Viceversa, le grandi civiltà all’interno delle quali si sono registrati dei profondi cambiamenti hanno sviluppato forme di apprendimento cofigurativo. Nell’epoca attuale, per la Mead le società occidentali sono entrate nel periodo pre-figurativo, dove i giovani assumo una nuova autorità nel dialogo tra le generazioni.” Cfr. Generazioni nomadi fra tradizione e mutamento di A. Alietti, disponibile su sito di Carocci editore (http://www.carocci.it)

[6] Si veda per esempio Zygmunt Bauman, La società liquida.

[7] Tendenza che si conferma a partire dagli anni precedenti: tra il 2001 e il 2012 la percentuale degli obesi è passata dall’8,5 per cento al 10,4 mentre il 45,8 per cento dei maggiorenni è sovrappeso, mentre tra bambini e adolescenti: il 26,5 per cento di loro è in sovrappeso

[8] Segnalo, a proposito della dimensione etica dell’alimentazione, un recente intervento del dott. Renzo Puccetti (Video della sua relazione al VII° Convegno Internazionale di Bioetica, 13 – 15 Ottobre 2016)

[9] Cfr. Dai transgender agli uomini cane su La Nuova Bussola Quotidiana.

[10] Qui il video di uno dei numerosi prototipi. Peraltro datato. Segnalo, su questo tema, questo articolo (dal titolo sintomatico: ”Could you fall in love with this robot?” ed una delle aziende più importanti del settore, il cui biglietto da visita recita: “We bring robots to life”. Da vedere. E da discutere, se non fosse pornografico, ci sarebbe anche l’intero mercato delle sex dolls artificialiche sulla scia delle innovazioni della robotica si sta aprendo. Per i meno abbienti, sono già da anni sul mercato bambole in silicone dal realismo estremo. Non ci vuole molto, dopo un attimo di smarrimento, a prefigurare il futuro di questo mercato.

[11] Cfr. Il DSM e le diagnosi inventate – Tratto da “Il marketing della psichiatria” di Marcello Pamio.

[12]  Nel 1973 l’omosessualità fu derubricata dai manuali statistici grazie a una votazione (5.816 voti a favore e 3.817 contro). Nel DSM IV rimase la voce “omosessualità egodistonica” (che fu tolta poi nel 1987), espressione che in generale designa soggetti spinti verso uno stato depressivo a causa di un conflitto con il proprio io. Il noto psichiatra Irving Bieber commentò così la votazione: “Non si può davvero sostenere che la nuova posizione ufficiale riguardo l’omosessualità sia una vittoria della scienza. Non è ragionevole votare su questioni scientifiche come se si trattasse di mettere ai voti se la terra sia piatta o rotonda”. A questo proposito è pure interessante ricordare la posizione di Robert Spitzer, che nel 1973 era presidente della “Commissione Nomenclatura” dell’APA. Egli, in seguito a una ricerca compiuta nel 2001 e confermata nel 2003 sull’efficacia della terapia riparativa, afferma di aver cambiato idea in merito alla possibilità di cambiamento dell’orientamento sessuale. In una dichiarazione rilasciata al “Wall Street Journal” il 23 maggio 2001, egli afferma: “Nel 1973, opponendomi all’opinione prevalente dei miei colleghi, appoggiai la rimozione dell’omosessualità dalla lista ufficiale dei disordini mentali. Per questo motivo ottenni il rispetto dei liberals e della comunità gay, anche se ciò fece infuriare molti dei miei colleghi […]. Ora, nel 2001, ho mutato opinione e questo ha fatto sì che venissi presentato come un nemico della comunità gay e così la pensano in molti all’interno della comunità psichiatrica e accademica. Io contesto la tesi secondo cui ogni desiderio di cambiamento dell’orientamento sessuale di un individuo è sempre il risultato della pressione sociale e mai il prodotto di una razionale motivazione personale”. Per una critica dell’affidabilità dell’Apa si veda qui.

[13] Segnalo a questo proposito Pedofilia: camminiamo verso una progressiva normalizzazione?

[14] Cfr. Marina Terragni, Temporary Mother: Utero in affitto e mercato dei figli. Interessante pure l’intervista alla Muraro, Intervista alla filosofa femminista Luisa Muraro e da vedere (per credere!) è l’articolo-pubblicitario di “Utero in affitto.com”, Eterologa, mani estere sul mercato italiano, in cui si legge tra l’altro: “Al centro Ivi della Capitale sono stati oltre mille (1.048 per la precisione) i pazienti che hanno solcato l’ingresso in appena otto mesi. E «se poco più di un quarto (264, pari al 25%) arriva da Roma, il resto copre l’intero stivale, da Milano (56, ovvero il 5%) a Firenze (46, ovvero il 4,4%) a Taranto (23, pari al 2,1%)» […] Anche la Eugin, altro colosso iberico che ha inaugurato una accattivante sede a Modena, promette di esaudire davvero ogni sogno: compreso quello di diventare mamma da sola, o con una partner femminile. Come? Effettuando i trattamenti a Barcellona, dove la legge spagnola li consente, ma con l’optional non trascurabile di un team italiano. E di un primo colloquio in Italia, di visite di controllo in Italia, insomma di un’assistenza quotidiana a un passo da casa anche per ciò che a casa non è consentito. Il sito della clinica da questo punto di vista è sbalorditivo, con un simulatore immediato che in meno di un minuto permette una diagnosi medica dettagliata e un preventivo preciso: per esempio, se si chiede di diventare madre da single, a 50 anni, viene prospettata «una fecondazione in vitro con ovuli da donatrice e sperma da donatore» a Barcellona e «una probabilità di gravidanza accertata e certificata che arriva al 94%» (percentuale unica al mondo, se confermata, visto che l’eterologa si attesta mediamente intorno al 55%-60% secondo gli esperti, 65% per i più ottimisti) e un costo «definitivo, senza sorprese» di 7.690 euro (esente da Iva, si specifica, e dai costi degli esami preliminari, ma compreso della «medicazione della donatrice», pari a 1.500 euro). Da definire il viaggio in Spagna: in due tranche oppure in una sola».

[15] Spesa pubblica e demografia: meno aiuti, meno figli. Il welfare italiano non aiuta le donne che lavorano a far nascere e crescere i figli. La spesa pubblica per la famiglia, pari a 16,5 miliardi, è appena l’1% del Pil, a fronte degli interventi per gli anziani che, tra pensioni e spesa per la salute, corrispondono al 20% del Pil. In pratica, per 1 euro speso a favore della famiglia se ne dedicano 20 agli over 65. I dati emergono dall’Osservatorio sull’imprenditoria femminile curato dall’Ufficio studi di Confartigianato ed è stato presentato alla Convention di Donne Impresa Confartigianato, che rappresenta le 359.500 imprenditrici artigiane attive in Italia.

[16] “Diavolo”, dal greco “dia”, attraverso e “ballo”, metto. Propriamente, separare, metter in mezzo, frapporre una barriera, creare fratture, dividere.

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