Madre Teresa e il fertility day

Cattura 

di Davide Zanelli e Marina Bicchiega, associazione Casa Betlemme, Arezzo

Fertility awareness: la consapevolezza della fertilità. Abbinata all’esercizio della virtù, nella certezza che l’uomo è educabile. Tra scienza, fede e cultura: la ricetta della dottrina cattolica messa in pratica da Madre Teresa nelle periferie esistenziali, con risultati straordinari (e poco conosciuti). A tutela della donna, della famiglia e della “salute riproduttiva”.

Quando morì Giovanni Paolo II, noi eravamo tra coloro che dicevano: “santo subito, ma santo tutto!”. La medesima riflessione ci pare oggi opportuna per la canonizzazione di Madre Teresa. Esistono alcuni aspetti importanti della sua opera ancora sconosciuti al grande pubblico e poco divulgati. Probabilmente perché un po’ scomodi e meno orecchiabili dal pensiero unico dei nostri tempi. Lo ha ricordato anche il cardinale Parolin durante l’omelia della Messa di ringraziamento il 5 settembre scorso, riconoscendo a Madre Teresa «quella franchezza di parola e linearità d’azione che è il segnale più luminoso della presenza dei Profeti e dei Santi, i quali non si inginocchiano a nessuno tranne che all’Onnipotente, sono interiormente liberi perché interiormente forti e non si inchinano di fronte alle mode o agli idoli del momento, ma si specchiano nella coscienza illuminata dal sole del Vangelo». Nella piccola grande suora albanese, proseguiva Parolin, «scopriamo quel felice e inseparabile binomio tra esercizio eroico della carità e chiarezza nella proclamazione della verità, vediamo la costante operosità, alimentata dalla profondità della contemplazione». Ciò a cui si riferiva il Segretario di Stato Vaticano è la difesa della vita nascente e la lotta contro l’aborto. E’ noto infatti che Madre Teresa considerava il bambino non ancora nato «il più povero tra tutti i poveri», in quanto – per eccellenza – indifeso e senza voce. Gesù ha detto: «ogni volta che l’avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Quella dell’essere umano appena concepito è la vita umana più piccola, invisibile se non al microscopio: così fragile che per distruggerla, spiegano i medici, è sufficiente il gesto di rovesciare una provetta nel lavandino. Nel difendere la dignità di ogni essere umano, la Mother insegnava che ciascuno di noi, dall’inizio della propria esistenza, porta con sé un progetto di vita che il Signore ha pensato fin dall’eternità per una grande missione da compiere, quella di «amare ed essere amato». E’ con questa convinzione che lei, nel ricevere il premio Nobel, ebbe il coraggio di proclamare a tutto il mondo che «il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto» (Oslo, 11 dicembre 1979), argomentando questa affermazione in varie altre occasioni ufficiali. Occasioni che lei concludeva puntualmente con il celebre appello alle gestanti in crisi: «dateli a me».

I poveri che non hanno bisogno di contraccezione, perché sanno gestire la fertilità.

Fin qui il pensiero e l’azione di Madre Teresa sono abbastanza noti. Ciò che tanti non sanno è che lei si è spinta molto oltre sul piano della prevenzione, entrando nel terreno – ancora più scottante – della contraccezione. Il capitolo più incompreso e contestato della dottrina cattolica, lei è riuscita infatti ad incarnarlo tra la povera gente coniugando in modo formidabile la scienza con la fede, la morale e la cultura. Nel trentesimo anniversario dell’Humanae vitae Angelo Montonati pubblicò un libro-intervista ai coniugi Billings, dove è riportato questo intervento di Madre Teresa: «noi pratichiamo la pianificazione naturale della famiglia con i mendicanti della strada, coi lebbrosi, con la gente che vive nelle baracche; e certamente vi sorprenderà apprendere di che cosa è capace questa gente buona. […] Uno di essi mi spiegò che pianificazione familiare non significa altro che il controllo di se stessi mediante l’amore reciproco. […] Devo aggiungere una cosa: noi lavoriamo negli slums da quasi trent’anni e da quando le suore hanno portato la gioia di questo amore reciproco mediante l’autocontrollo, ho visto tanti coniugi più premurosi uno per l’altro, più innamorati, più capaci di comprensione. E oggi dobbiamo ringraziare Dio di avere tanta gente come il dottor Billings e sua moglie, i quali hanno ricevuto da Dio il grande dono di proclamare al mondo questa buona novella, che cioè si può condividere la gioia di pianificare la propria famiglia con grande amore, senza commettere peccato. E ciò è talmente bello, da indurci a ringraziare questa coppia, che ha consacrato la propria vita ad affermare che Dio ama il mondo, la famiglia, e vuole che la famiglia sia il centro della vita, della gioia, della pace, dell’amore» (A. Montonati, Lyn e John Billings. Due vite per la vita. La pianificazione naturale delle nascite con il Metodo dell’Ovulazione, ed. San Paolo 1998, pagg. 118-119). La riflessione di Madre Teresa su questo campo dell’intimità coniugale compariva già in alcuni suoi scritti precedenti: «i poveri sono persone assolutamente straordinarie e sono in grado di insegnarci molte belle cose. L’altro giorno uno di essi venne a ringraziarci e disse: “Voi siete persone che vi siete votate alla castità e siete perciò le più qualificate ad insegnarci la pianificazione familiare, poiché non c’è niente di più dell’autocontrollo che provenga dell’amore reciproco”. E penso che abbia detto qualcosa di molto bello. Queste sono persone che potrebbero anche non aver nulla da mangiare, ma sono persone degne della massima stima» (Madre Teresa di Calcutta, Le mie preghiere. Pensieri e meditazioni per ogni giorno dell’anno, ed. Rizzoli 1988, pag. 35). In un altro suo libro leggiamo queste parole: «Abbiamo pregato Dio di mandarci qualcuno che aiutasse le donne ad affrontare i loro problemi con una coscienza pulita, un corpo sano e in una famiglia felice. Dall’isola di Mauritius è arrivata una suora che aveva frequentato un corso sulla pianificazione familiare. Oggi ci sono più di tremila famiglie che usano la pianificazione naturale, metodo che si è rivelato efficace nel 95% circa dei casi. Quando le persone vedono i buoni risultati vengono a ringraziarci. Alcuni dicono: “La nostra famiglia è rimasta unita, in buona salute e abbiamo un figlio solo quando lo desideriamo”. Penso che nelle famiglie vi sarebbero più pace e più amore tre genitori e figli se riuscissimo a diffondere questo metodo tra i poveri di tutti i paesi» (Madre Teresa. Non c’è amore più grande. Pensieri di una vita, ed. Rizzoli 1997, pag. 116).

Nell’intervista di Angelo Montonati (pag. 90), la dottoressa Evelyn Billings ricorda la concretezza dei risultati raggiunti da Madre Teresa in questo ambito sul piano sociale e sanitario. Negli anni ’70 riuscì ad ottenere dal governo di Indira Gandhi che fosse evitata la sterilizzazione a quelle coppie che, pur avendo già due o più figli, avessero dimostrato di conoscere e di praticare il Metodo dell’Ovulazione: «ci fu un periodo, definito dal governo come “stato di emergenza”, in cui tutti i maschi – giovani e vecchi – venivano sterilizzati a forza. Il “trattamento” veniva praticato addirittura ai bordi della strada, una cosa spaventosa. Madre Teresa ottenne dal governo l’esenzione per coloro che dimostravano, in base ad uno speciale certificato, di praticare la pianificazione naturale delle nascite. In tal modo migliaia di persone furono sottratte all’iniquo e antiumano provvedimento».

Il professor Billings racconta un episodio significativo sulla determinazione con cui la santa suora di Calcutta portava avanti questo tipo di lavoro: «Negli Stati Uniti insieme a Madre Teresa fui intervistato in televisione da una donna, molto giovane e intelligente, la quale mi fece un sacco di domande. Io cominciai a parlare del Metodo e lei, che si era preparata con cura, mi interrompeva con domande acute, alle quali rispondevo puntualmente. A un certo momento si rivolse a Madre Teresa dicendole: “Naturalmente questo Metodo non può essere usato dalle persone con le quali lei lavora”. “Al contrario – rispose Madre Teresa – funziona benissimo anche con loro”, e raccontò che girando per Calcutta di notte, si potevano vedere delle donne sedute lungo il marciapiede, impegnate a disegnare nella polvere della strada gli schemi essenziali del metodo per insegnarlo alle altre. A quel punto l’intervistatrice incalzò: “Sì, ma come la mettiamo con i lebbrosi?”. E Madre Teresa: “Insegniamo il Metodo ad una coppia di lebbrosi, che a loro volta lo insegnano agli altri lebbrosi”. Con grande tranquillità lei demolì tutte le obiezioni lasciando profondamente stupita l’intervistatrice, la quale era convinta che persone analfabete non potessero utilizzare il Metodo» (pag. 102). Scorrendo il lungo racconto del professor Billings sulla collaborazione con Madre Teresa, si scopre la fatica da lui incontrata nel far emergere questi risultati nelle riviste mediche specialistiche: «spesso è molto difficile far pubblicare su tali riviste un articolo che parli del nostro lavoro e soprattutto del successo del nostro Metodo, quale che sia lo scopo per il quale viene utilizzato (esso serve, infatti, sia a distanziare le gravidanze sia a superare l’infertilità). Molto spesso gli articoli vengono cestinati. Un caso del genere si è verificato recentemente in India. In cinque stati dell’Unione Indiana è stato condotto un esperimento, con risultati estremamente positivi, dall’Indian Council of Medical Research, un’organizzazione assai prestigiosa con sede a Nuova Delhi, sovvenzionata dal governo e composta da ottimi scienziati, che hanno aiutato la dottoressa Catherine Bernard – una suora di grande talento – affinché li aiutasse a preparare gli insegnanti. L’esperimento ha dato risultati eccellenti: si sono verificate meno dell’1% di quelle che noi chiamiamo “gravidanze legate al metodo”, sebbene gran parte delle coppie coinvolte fosse analfabeta e molto povera […]. Ebbene è stato estremamente difficile far pubblicare un articolo su questo esperimento: alla fine i promotori l’hanno spuntata, ma ciò ha comportato parecchie discussioni e litigi. E questo è solo un esempio. Il professor Brown ha avuto lo stesso problema con molte sue ricerche che dimostravano, grazie ai suoi studi sugli ormoni, che le donne capiscono il proprio ciclo e sono in grado di definirne tutte le fasi con assoluta accuratezza. Questo dimostra che una certa stampa finisce sempre per subire sempre di più l’influenza delle industrie farmaceutiche» (pag. 59-60).

Una lezione per la pastorale occidentale.

Rileggere le parole di Madre Teresa e la sua grande lezione, ci suggerisce alcune riflessioni. Anzitutto notiamo che la lezione ci arriva non tanto da Madre Teresa ma direttamente dai poveri, come sottolineava lei stessa. I miserabili delle periferie esistenziali insegnano a noi benestanti occidentali la bontà, la verità e la praticabilità di ciò che afferma da sempre la Chiesa cattolica in materia di “procreazione responsabile”. Ovvero che non c’è bisogno di contraccezione perché esiste già in natura l’alternativa autentica, fatta di conoscenza profonda di sé (e del proprio corpo) da abbinare all’esercizio della virtù dell’autocontrollo (astinenza periodica) praticata per amore nella reciproca fedeltà. E’ uno stile di vita salutare e moderno dove tanti coniugi di ogni livello culturale hanno trovato la «vera felicità» – di cui parlava il beato Paolo VI al n. 31 di Humanae vitae – incamminandosi seriamente nel sentiero che il Creatore ha tracciato con sapienza nella nostra natura umana (disegnando la fertilità in modo ciclico), dove ci è essenzialmente chiesto di utilizzare «intelligenza e amore» cioè incarnare le conoscenze scientifiche in una ragionevole apertura alla vita. E’ un sentiero fatto certamente anche di fatiche e di attesa (c’è dietro tutta una pedagogia di Dio) ma lì la gioia della sessualità è completamente diversa dall’autostrada dritta e senza salite che l’homo technologicus ha voluto costruirci sopra. Per spianare il sentiero di Dio, la creatura s’ingegna di correggere il Creatore, facendosi anche del male. La cosa sarebbe lunga da spiegare. Possiamo sintetizzare con un paio di passi biblici: «Egli ci indicherà le sue vie, e cammineremo per i suoi sentieri» (Michea 4,2), «tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia»” (Salmo 25). E l’antico avviso rivolto agli uomini dal Creatore: «le vostre vie non sono le mie vie» (Isaia 55,8). Usando sempre l’immagine biblica, possiamo tradurre la mentalità contraccettiva con quest’altro passo: «non ebbero fiducia nel Suo disegno» (Salmo 106).

Osservando bene i risultati concreti di Madre Teresa, crollano le prime due obiezioni tipiche rivolte dall’immaginario collettivo all’insegnamento dell’Humanae vitae: inaffidabilità scientifica dei cosiddetti “metodi naturali” e loro presunta impraticabilità. La narrazione comune infatti, talvolta anche ai piani alti del mondo ecclesiastico, spesso li considera una proposta “di nicchia”: un bell’ideale astratto, adatto soltanto ad un ristretto numero di coppie “speciali”, improponibile per la vita concreta della maggioranza delle persone, tanto meno nei paesi in via di sviluppo. Per superare definitivamente questo stereotipo basterebbe andare oltre la disinformazione e il silenzio mediatico. Allargando lo sguardo si scoprono risultati sorprendenti anche nei paesi musulmani: ne parlò abbondantemente anni fa il dottor Mounir Farag (consulente OMS) sul quotidiano dei vescovi italiani (L. Liverani, Il medico egiziano: la via naturale piace anche all’islam, Avvenire 31.10.2004). Raccontava che, grazie alla sua iniziativa, è nato in Egitto l’Istituto San Giuseppe per la famiglia e ai loro corsi vanno anche fidanzati musulmani per imparare la regolazione naturale della fertilità (importata là anni prima da un gesuita americano). Mentre le agenzie dell’Onu ancora snobbano questa proposta, il centro del dottor Farag, con il sostegno dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ha intessuto una rete di rapporti con i patriarcati dell’area mediterranea e mediorientale: la regolazione naturale della fertilità «è un punto di riferimento anche per il dialogo ecumenico e interreligioso». Quando il medico egiziano la illustrò al Governatore del Cairo, musulmano, questo rispose così: «voi cattolici avete delle perle nascoste sottoterra. E’ un dovere per voi portarle alla luce a sostegno dei valori familiari».

Una cosa ancora più grande è avvenuta nella Cina comunista dove – grazie all’iniziativa australiana dei Billings negli anni ‘80 – la regolazione naturale della fertilità fu accolta con grande interesse dal mondo medico e venne addirittura adottata dal ministero della salute come valida alternativa all’aborto e all’uso della spirale, che là andava per la maggiore ma senza riscuotere il gradimento delle donne (Cfr. E. Billings, La Cina ci prova col Billings, Mondo e Missione, ottobre 2004, pagg.10-13; A.S. Lazzarotto, Una rivoluzione a piccoli passi. La testimonianza del missionario, Mondo e Missione, ottobre 2004, pagg.14-15). Ciò che fa riflettere non è tanto questa singolare sensibilità ad un concetto nuovo di “salute riproduttiva” ma soprattutto le parole con cui la popolazione cinese ha manifestato il suo entusiasmo. La traduzione in lingua italiana della loro gioia è «finalmente una buona notizia!». L’espressione fu riferita a Roma durante un congresso internazionale alla Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (La donna di oggi e la sua identità: femminilità, fecondità e procreazione, Roma 8 settembre 2000), mentre ascoltavamo illustrare i risultati statistici dal professor Zhen Qian (Farmacologia Clinica, Shanghai Institute of materia Medica, Accademia delle Scienze). Quelle parole di letizia sono la conferma impressionante di come la Chiesa cattolica, ben lungi dalla sessuofobia di cui viene accusata, sia in realtà portatrice di un “vangelo della sessualità” che viene riconosciuto dai popoli più lontani e dai semplici, mentre viene ancora rifiutato (o deriso) dalla nostra evoluta cultura occidentale.

L’osservazione di queste esperienze reali sparse per il mondo dovrebbe portare certi teologi e pastori mitteleuropei ad interrogarsi e riconoscere che sono molti più di quanto si pensi i casi in cui la teoria è diventata prassi. Casi in cui la “sana dottrina” ha dimostrato la capacità di diventare perfino letteratura medica. Ne ha parlato anche l’ostetrica Flora Gualdani in un saggio che ha pubblicato come contributo personale per i recenti lavori sinodali (Occidente, procreazione e Islam. Testimonianza per il Sinodo sulla famiglia).

Nel mondo medico occidentale ci si sta accorgendo che «cambiamenti efficaci nei paesi del terzo mondo avvengono solo quando non piovono sulla testa della popolazione ed hanno come scopo principale l’interesse altrui. Questo vale in modo particolare per la pianificazione familiare. I progetti di pianificazione familiare hanno, se mai, una probabilità di successo solo quando sono legati a piccoli progetti economici di base che vengono sostenuti dalla popolazione stessa e se sono inseriti nell’ambito della difesa della salute nel suo complesso». La regolazione naturale della fertilità, infatti, in quanto metodo di cooperazione e comunicazione, «può favorire la struttura familiare basata su partecipazione. Essa permette alle donne di prendere personalmente in mano una parte importante della loro vita, di acquisire un pezzo di istruzione, di migliorare il senso del proprio valore e la loro posizione nei confronti del partner. Un ulteriore vantaggio è il fatto che la RNF viene trasmessa secondo il principio dei gruppi di iniziativa personale attraverso insegnanti addestrate provenienti dallo stesso ambiente». (P. Frank, E. Raith, G. Freundl, La regolazione naturale della fertilità oggi, II ed. italiana CIC Internazionali, Roma 1997, pagg. 204-205).

Il punto di contatto tra il piano scientifico-accademico e quello pastorale è dato dagli operatori sul territorio, adeguatamente preparati. Nell’ambito di una vasta rete mondiale che collega diverse organizzazioni, anche nel nostro paese sono presenti centinaia di insegnanti qualificate e distribuite in ogni regione (www.confederazionemetodinaturali.it), le quali portano avanti sulla fertilità un capillare servizio di consulenza e sensibilizzazione, tanto silenzioso quanto prezioso. San Giovanni Paolo II, con grande riconoscenza, evidenziava di queste figure anche «il sacrificio personale e la dedizione spesso misconosciuta» (Evangelium vitae n. 97). Spiegando, nel 1996, che «è ormai maturo il momento in cui ogni parrocchia e ogni struttura di consulenza della famiglia» possano averne a disposizione, con il supporto e l’assistenza del vescovo locale.

SPUNTI DI RIFLESSIONE per il fertility day.

Madre Teresa è riuscita a realizzare, nel campo della procreatica, una di quelle che qualcuno definirebbe “utopie concrete”. Come abbiamo visto, alla base di questo straordinario successo, il punto di partenza è aiutare la gente in una conoscenza profonda della propria corporeità, insegnando in particolare la auto-consapevolezza della fertilità come dimensione importante della persona. Un approccio nuovo e liberante con cui la donna, lentamente espropriata della potenza riproduttiva che porta in sé, torna protagonista di una gestione tradizionalmente delegata alla chimica e alle aziende farmaceutiche: dovremmo infatti «prendere atto che la nostra cultura ci ha pesantemente condizionate a diffidare del corpo, a credere che non sia possibile controllarlo senza l’aiuto esterno degli ormoni» (C. Northrup, Guida medica da donna a donna. Noi donne, il nostro corpo, la nostra mente, ed. Red 2000, pag. 361). Con la conseguenza che «incontriamo ancora donne, anche di alta scolarità, che non conoscono il loro “ciclo”, che confondono la durata del ciclo con la durata delle mestruazioni» (Franco Del Zotti, Società Italiana di Medicina Generale, in S. Girotto – G.C. Stevanella, ed., La Regolazione naturale della fertilità. Il metodo sintotermico di Roetzer, II ed. italiana Libreria Cortina, Verona 1995, pag. X).

Dopo mezzo secolo di esperienza sul campo, anche Flora Gualdani, fondatrice dell’opera “Casa Betlemme”, si è convinta dal suo confessionale ostetrico che «la contraccezione è una proposta vecchia» e il futuro è della natural family planning: «da lì passa la qualità dell’amore e la qualità della generazione». Dopo la de-medicalizzazione del parto e della gravidanza, e dopo aver riscoperto l’allattamento al seno – afferma l’ostetrica toscana – «la prossima tappa riguarderà la gestione della fertilità» (A. M. Cosentino, Testimoni di speranza. Fertilità e infertilità: dai segni ai significati, ed. Cantagalli 2008, pagg. 65-69. Premio letterario “Donna, verità e società” «per aver mostrato il valore umano e sociale del talento naturale della femminilità», Scienza & vita, Pontremoli 2009). Coniugando sull’esempio di Madre Teresa la carità con la verità, Flora si è specializzata in un’opera di misericordia spirituale che considera tra le più urgenti dei nostri giorni: istruire gli ignoranti. Che significa, su questo campo, insegnare alla popolazione i fattori di rischio per la fertilità, «ma ancor prima i meccanismi della sua meravigliosa fisiologia».

Tutto questo è il concetto di fertility awareness, che da un pò di anni pare diventato caro anche alle femministe. Le prime significative aperture risalgono ad una ventina d’anni fa, quando apparve un clamoroso articolo su una rivista femminista (Noi donne, maggio 1996), di fronte al quale la stampa cattolica titolava: «Le femministe si pentono: i metodi naturali sono i migliori. La svolta: ci fanno guardare con rispetto alla sessualità» (Avvenire, 12.5.1996). Negli anni seguenti leggevamo su Repubblica.it: «Un nuovo slogan negli spazi cyberfemministi: fertility awareness per una riproduzione libera. La sapienza del corpo cultura del terzo millennio».

Il famigerato “fertility day”, recentemente promosso dal ministro Lorenzin e finito nell’occhio del ciclone, aveva sostanzialmente lo scopo di sensibilizzare proprio in questa direzione. Non ci pareva una campagna “per incrementare le nascite”, come è stata sbrigativamente marchiata dalla sollevazione mediatica, dove le persone si sono sentite offese denunciando addirittura rigurgiti fascisti. Anche se, a dire il vero, l’inverno demografico nostrano ha già raggiunto la soglia di guardia e s’imporrebbe una riflessione molto seria sul piano del Welfare più che della morale (la Danimarca lo ha già fatto, mettendo in campo uno spot per fare figli, che pare si stia rivelando efficace).

La campagna informativa del ministro Lorenzin forse voleva semplicemente invitare la gente a porre attenzione alla fertilità come dimensione da conoscere e da custodire, un bene prezioso perché sempre più raro. I disturbi della fertilità sono infatti ormai un fenomeno sociale crescente. La sterilità di coppia oggi interessa, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, «tra il 15% ed il 20% delle coppie nei paesi industrializzati, computandosi così quasi 100 milioni di coppie infertili nel mondo» (A. Lanzone, Il futuro della fertilità, in L. Leuzzi – E. Giacchi, Scienza ed etica per una procreazione responsabile, Libreria Cortina Verona, Verona 2008, pag. 57). Durante il XIV Congresso mondiale di endocrinologia ginecologica svoltosi a Firenze nel marzo 2010, è emerso che «una coppia italiana su sette è infertile» (La Repubblica.it, 5.3.2010). Negli ultimi decenni c’è stato un incremento esponenziale delle cause che influiscono negativamente sull’apparato riproduttivo, specialmente quello maschile che è più vulnerabile. Oltre alle cause congenite o acquisite, oggi sono quelle ambientali e lavorative i nuovi nemici della fertilità, prevalentemente legate ai composti inquinanti utilizzati nell’industria o nell’agricoltura. Fattore determinante è quello comportamentale, cioè gli stili di vita moderni: dalle abitudini voluttuarie agli eventi stressanti tipici della nostra vita quotidiana e professionale. L’altro elemento chiave è lo spostamento in avanti della prima gravidanza, tipico della nostra società occidentale: il diventare genitori viene spesso rinviato al raggiungimento di traguardi professionali considerati prioritari. Ma questa strategia esistenziale va a cozzare contro “l’orologio biologico” impresso nella nostra natura umana. La fertilità infatti, come è noto, inizia a calare dopo i trent’anni crollando intorno ai quaranta, per poi spengersi.

Seguendo lo sguardo dell’encliclica Laudato sì, di fronte alla ridotta capacità riproduttiva dell’uomo contemporaneo e alla crisi della fertilità, potremmo ben dire che anche questa rappresenta un particolare importante del creato, una risorsa naturale da custodire perché “non rinnovabile”. Un capitolo che meriterebbe più spazio nella grande questione dell’ecologia umana.

Molti non ricordano che nel 2008 l’Istituto Superiore di Sanità ed il Ministero della Salute promossero già un’analoga campagna informativa di sensibilizzazione il cui slogan era “Proteggi la tua fertilità, ora!”, abbinato all’immagine di una lattina verde di bibita con la scritta “mantenere con cura”. L’allora sottosegretario al Welfare con delega ai problemi bioetici, Eugenia Roccella, spiegava che «la fertilità è un bene che si può proteggere, sappiamo che non durerà all’infinito, e ci sono comportamenti che la minano, altri virtuosi. Oggi c’è l’idea che la tecnica possa risolvere tutto, ma non è così» (Avvenire, 4.10.2008).

Viene da chiedersi per quale motivo la campagna ministeriale di allora non venne altrettanto attaccata nei mass media. Qualcuno ha osservato che dietro la rivolta dei nostri giorni c’è un ampio e potente progetto culturale, un’operazione strategica su scala mondiale che tende sempre più ad introdurre nuovi “paradigmi riproduttivi”. Cioè a rottamare progressivamente concetti come creaturalità, differenza sessuale, natura umana e suoi limiti.

Nei nuovi “paradigmi riproduttivi” i due capisaldi sono fecondazione artificiale e gender. Per quanto riguarda il primo, ha introdotto la logica che vede il figlio non più come un dono da accogliere ma come un diritto che chiunque (rivolgendosi alla tecnoscienza) potrà esigere, anche per via giudiziaria, senza essere discriminato per la propria condizione di sterilità, di anzianità, o di essere una coppia dello stesso sesso. E’ ovvio che in questa logica il concetto di “orologio biologico” viene superato e considerato un residuato medioevale di stampo cattolico. Da qui la rivolta scatenata sulla rete, con l’imponente reazione allergica cui abbiamo assistito.

Se nel 2008 la pressione culturale era ancora agli inizi, oggi evidentemente l’agenda internazionale ha fatto passi in avanti di gran carriera nell’intento di modificare l’opinione pubblica. Data ormai per scontata la fecondazione extracorporea, ne discende adesso il tentativo di normalizzare altre pratiche collegate: dall’utero in affitto al social freezing. E nuove ci attendono all’orizzonte, finalizzate a separare definitivamente la maternità dalla natura femminile. Stiamo così entrando in una nuova era della procreazione in cui «a dettare legge non è più la natura, ma la scienza e la tecnologia che offrono agli individui una libertà di scelta finora impensabile» (A. Prasad, Storia naturale del concepimento. Come la scienza può cambiare le regole del sesso, Bollati Boringhieri, 2014).

Filosofi e scienziati del mondo nuovo sostengono dunque che le “leggi di natura” non esistono e continuare a parlarne risulterebbe offensivo. A loro avviso, la natura stessa è un concetto da rivedere, e l’unica legge che deve esistere è il desiderio (tecnoesaudibile degli adulti). Eppure soltanto pochi anni fa il professor Genazzani, presidente dell’Associazione Italiana Ginecologia Endocrinologia, affermava che mentre l’emancipazione femminile ha spostato in avanti i tempi della maternità, «la biologia continua, pur con gli enormi progressi della medicina, ad imporci le sue leggi» (www.larepubblica.it, 5.3.2010). E qualche anno prima ascoltammo al telegiornale questo autorevole monito: «il paese deve progredire, ma si deve progredire rispettando le regole della natura. Sta a noi capire meglio quelle che sono le leggi della natura». Non era il Papa a parlare, ma il Presidente della Repubblica. Era il 9 ottobre e Carlo Azeglio Ciampi ci ricordava la catastrofe del Vajont (www.repubblica.it, 9.10.2003).

Ci sembra curioso, in altre parole, che le “leggi di natura” esistano per i geologi, gli idraulici e gli ingegneri, e non debbano esistere per i biologi e i medici della riproduzione. Perché valgono per il creato fatto di terra e non valgono per il creato fatto di carne?

L’ETICA DELLO STUPORE E LA CIFRA DELLA BELLEZZA: LA FERTILITÀ COME “PORTA DELLA VITA”.

Nella sua bimillenaria antropologia, la Chiesa cattolica rimane ancorata al concetto di creaturalità, che vede la fertilità come un dono grande da amministrare, una dimensione dell’umano affascinante e meravigliosa, potente e delicata. Che si alza e si abbassa da sola, a lasciarci passare senza bisogno di farle guerra con la contraccezione (non a caso gli addetti ai lavori parlano di “arsenale contraccettivo”). Una dimensione che si può imparare a conoscere, a gestire e a proteggere, confrontandocisi quotidianamente e osservandola nel suo andamento. Ciò nella consapevolezza che la fecondità del cuore dell’uomo è comunque qualcosa di più grande della sua fertilità biologica.

San Giovanni Paolo II spiegava che nel sistema riproduttivo scopriamo «un’indicazione del disegno del Creatore» (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 18 novembre 1994). I sintomi e gli indicatori della fertilità sono infatti come dei segnali. Fanno parte di quelle «istruzioni per l’uso» inscritte da Dio «in modo oggettivo e indelebile nella sua creazione» (J. Ratzinger, Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, ed. San Paolo 1985, pagg. 91 e 98). La nostra civiltà tecnica, osservava il cardinale Ratzinger, pare invece aver perduto la capacità di «ascoltare le direttive della creazione»: un pericolo che deriva dall’aver «tagliato i ponti con questo sapere originario, nella saccenteria di una scientificità malintesa» (J. Ratzinger, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, ed. Lindau 2006, pag. 43-47). Anche Francesco, appena divenuto pontefice, spiegava che siamo custodi della Creazione e «del disegno di Dio inscritto nella natura» (Omelia per l’inizio del ministero Petrino, Roma 19 marzo 2013). Riferendosi alla figura del Santo d’Assisi, ci invitava ad un atteggiamento di amore «per tutta la creazione, per la sua armonia», suggerendoci il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e «come lo ha creato» (Omelia durante la Messa per la visita pastorale ad Assisi, 4 ottobre 2013).

Nel mistero della trasmissione della vita, la fertilità rappresenta “la porta”: le cui chiavi sono affidate dal Creatore alla donna. Una porta che si apre e si chiude attraverso meccanismi grandiosi, incredibilmente stupendi e complessi: «the cervix is a precision organ as complex as the eye» (prof. Erik Odeblad, biofisico emerito dell’Università di Umeå). Poiché il linguaggio di Dio si svela all’uomo, la ricerca scientifica è riuscita lentamente a decifrare anche il linguaggio di questa “porta” e noi siamo la prima generazione nella storia dell’umanità – osserva il ginecologo ambrosiano Michele Barbato – cui è stata data la possibilità di vivere in pienezza la relazione coniugale con questa consapevole bellezza del significato della corporeità (M. Barbato, La maternità e paternità responsabile, in L. Melina – E. Sgreccia – S. Kampowski, ed., Lo splendore della vita: Vangelo, scienza ed etica. Prospettive della bioetica a dieci anni da Evangelium vitae, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006, pagg. 236-244).

Il magistero della Chiesa cattolica, in definitiva, si fonda sui risultati e sui progressi della ricerca scientifica, ma li arricchisce con quello «sguardo contemplativo» che secondo san Giovanni Paolo II «urge coltivare» in noi e negli altri (Evangelium vitae n. 83). Si tratta cioè di recuperare un’etica dello stupore la cui importanza è emersa anche in letteratura medica: «una sorgente di rinascita sia morale che intellettuale per il medico moderno sta nel ricogliere il senso di stupore per il corpo umano, il suo posto nel regno naturale e la sua miracolosa funzione come fonte e mezzo di esperienza umana incarnata» (Evans – Greaves 2001, editoriale del Journal of Medic Ethics, cit. in C.V. Bellieni, L’alba dell’«io». Dolore, desideri, sogno, memoria del feto, Società Editrice Fiorentina, 2004, pag. 55).

Nel 1986 a Parigi, nell’ambito del IX Congresso Internazionale per la Famiglia, il dottor Etienne Lezy spiegava: «in questo modo, la donna si sarà resa conto di quanto noi stimiamo il tesoro della sua fertilità, ben al di là del fatto di averla come cliente o no. Vi posso dire che questa è la verità, ho visto negli occhi delle mie pazienti quanto una donna sia sensibile all’omaggio reso alla bellezza della loro dignità femminile» (L. Trujillo – E. Sgreccia, ed., Metodi naturali per la regolazione della fertilità: l’alternativa autentica, Vita e Pensiero, Milano 1994, pag. 442).

E’ esattamente ciò che aveva capito Madre Teresa: ovvero che non si tratta di moralismo, biologismo e neppure di “contraccezione ecologica”, ma di un messaggio di bellezza universale inscritto nella Creazione, alla portata di qualunque donna. Un messaggio che non conosce confini ideologici o confessionali. A meno che qualcuno abbia mai visto un’ovulazione cattolica (rispondeva così la dottoressa Evelyn Billings ad un’altra obiezione tipica).

Poiché tra santi si capiscono bene, forse tutta la teologia del corpo elaborata magnificamente da san Giovanni Paolo II (e basata sulla convinzione che l’uomo è sempre educabile, poiché redento da Cristo) la santa suora di Calcutta l’avrebbe riassunta con questa sua frase: «ho bisogno di coprirmi, non soltanto di vestiti ma della meravigliosa dignità del corpo dell’uomo e della donna». Per questo lei voleva che tutte le suore del suo ordine imparassero obbligatoriamente a conoscere bene la propria fertilità per insegnare poi i moderni metodi naturali, ovunque andassero, alla gente più povera. Per apprendere tale formazione specifica le inviava quindi periodicamente a Roma dalla ginecologa Anna Cappella, ex missionaria in Pakistan e pioniera nella regolazione naturale della fertilità, direttrice del Centro Studi e Ricerche all’interno del Policlinico Gemelli (divenuto poi Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI di Ricerca sulla Fertilità e Infertilità Umana per una Procreazione Responsabile – ISI). Di questo incontro tra la Mother e la Facoltà di medicina dell’Università Cattolica, ne è testimone anche Flora Gualdani. L’ostetrica aretina ricorda che nei primi anni ’80, frequentando il Policlinico Gemelli per aggiornarsi alla scuola di Anna Cappella, si trovò seduta a lezione accanto alle suore di Madre Teresa: «la dottoressa Cappella aveva ricevuto una telefonata dalla Madre, che le chiedeva di accettare anche le sue suore tra gli studenti del corso. Alla domanda su quando volessero cominciare – racconta Flora – Madre Teresa aveva risposto: “domattina”».

 

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Autore: Libertà e Persona

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