Il “male minore” porta Male (7° parte: droga libera)

01 droghe

7) MALE MINORE e DROGA LIBERA

Secondo le tesi degli antiproibizionisti, la droga legale avrebbe il vantaggio di prevenire, non un solo e unico “male maggiore”, ma molti, creando benefici a livello sanitario, economico, di pubblica sicurezza, di contrasto alla criminalità individuale e organizzata, di salute personale… insomma, un insieme corposo di risultati talmente positivi da far apparire l’ostinazione proibizionista ingiustificata e ottusa. Tuttavia, quando le teorie si calano nella realtà dei fatti, la fermezza proibizionista riacquista tutta la sua credibilità e attendibilità, e le tesi antiproibizioniste si rivelano, invece, per quello che sono: idee campate in aria prive di fondamento scientifico.


INDICE:

1 ) “Male minore”, nuovo nome della barbarie?

Male minore e “nuovi diritti” legalizzati

2) Male minore e aborto

3) Male minore e fecondazione extracorporea

4) Male minore e divorzio

5) Male minore e contraccezione artificiale

Male minore e “nuovi diritti” reclamati

6) Male minore e matrimonio gay

7) Male minore e droga libera

8) Male minore, eutanasia e suicidio assistito

9) Male minore, eutanasia passiva e Testamento biologico

10) Conclusione

Bibliografia, Filmografia, Articoli e Studi

7) MALE MINORE e DROGA LIBERA

Tra i “nuovi diritti” da legalizzare, nella nostra società sottomessa all’anarchia dei desideri, non poteva certo mancare il sacrosanto diritto a drogarsi. La “ginnastica” dei bassi istinti (quelli dalla cintola in giù), derivante dalla promozione di ogni forma di contraccezione artificiale, non è sufficiente da sola a distrarre e addomesticare le nuove generazioni, ad ammansire la loro capacità di pensare affinché sia facilitata l’adesione al pensiero unico dominante, ad affievolire il desiderio di “lottare per un mondo migliore”, a indebolire, domare, anestetizzare la forza di volontà e l’energia degli ideali alti. Tutte le dipendenze (sesso, droga, alcool, gioco d’azzardo…) producono schiavitù, una volta divenuti schiavi di una o più dipendenze, l’intera vita sarà sottomessa alla loro soddisfazione compulsiva e tutto il resto non avrà più nessuna importanza.

La promiscuità sessuale è già stata sdoganata, l’alcool e il gioco d’azzardo sono già stati liberalizzati, è arrivata l’ora di passare a qualcosa di più forte, qualcosa che rincretinisce di più e meglio, è arrivato il tempo di legalizzare le droghe.

Secondo le tesi degli antiproibizionisti, la droga legale avrebbe il vantaggio di prevenire, non un solo e unico “male maggiore”, ma molti, creando benefici a livello sanitario, economico, di pubblica sicurezza, di contrasto alla criminalità individuale e organizzata, di salute personale… insomma, un insieme corposo di risultati talmente positivi da far apparire l’ostinazione proibizionista ingiustificata e ottusa. Tuttavia, quando le teorie si calano nella realtà dei fatti, la fermezza proibizionista riacquista tutta la sua credibilità e attendibilità, e le tesi antiproibizioniste si rivelano, invece, per quello che sono: idee campate in aria prive di fondamento scientifico.

Gli alfieri del diritto a drogarsi sanno che se proponessero la liberalizzazione delle droghe tout court non avrebbero alcuna possibilità di successo, visto il persistere di una forte disapprovazione sociale nei confronti delle cosiddette droghe “pesanti” (eroina, cocaina, anfetamine,…). Per questo motivo hanno adottato la linea di procedere un passo per volta promuovendo, tanto per iniziare, la legalizzazione delle droghe “leggere” (hashish e marijuana). A quel punto basterà ribaltare in chiave liberale l’obiezione ribadita dai contrari alla legalizzazione, secondo i quali “la distinzione tra droghe leggere e pesanti è fallace, perché tutte le droghe fanno male”, che rovesciata diverrebbe “la distinzione tra droghe leggere e pesanti è fallace, perché tutte hanno gli stessi effetti psicoattivi, se la cannabis è legale non possono non esserlo anche la cocaina e l’eroina”.

Tuttavia, visto che anche la legalizzazione delle droghe “leggere” incontra resistenze e ostacoli, costoro hanno affinato ancor più la strategia, puntando a far leva sull’uso della cannabis a “scopo terapeutico”, piuttosto che sul consumo per motivi voluttuari. Infatti, se riesce a passare l’idea che la marijuana è un presidio medico curativo, una sostanza in grado di curare gravi malattie, non solo la gente penserà che farne uso non nuocerà alla salute ma che, anzi, le farà persino bene. Ciò accrescerà il consenso da parte dell’opinione pubblica, agevolando perciò l’approvazione anche nei confronti del consumo a scopo ricreativo.

Nella relazione del 2011 del Dipartimento Politiche Antidroga (DPA), si legge:

“Sempre più spesso fonti informative non accreditate da un punto di vista scientifico propagandano le supposte e numerose proprietà terapeutiche della cannabis e dei farmaci a base di THC. Organizzazioni orientate alla legalizzazione utilizzano impropriamente spesso articoli scientifici riportanti risultati positivi di trials clinici su tali farmaci per far percepire e promuovere il concetto dell’innocuità dell’uso della cannabis e dei suoi poteri medicamentosi per curare (in realtà produrre effetti sintomatici e non eziologici) patologie molto gravi che impressionano l’immaginario collettivo quali il cancro, la sclerosi multipla, il morbo di Crohn, ecc. La US National Multiple Sclerosis Society a tal proposito ha affermato che non vi è nessuna evidenza scientifica che provi l’efficacia della marijuana sulle persone affette da Sclerosi Multipla.

Pur essendo concordi ad approfondire questi aspetti con studi scientifici, è chiara la demagogica intenzione di far percepire tale sostanza stupefacente, attraverso la pubblicizzazione ed esagerazione delle sue qualità ed applicazioni mediche, come ‘positiva, utile e salutare’ ottenendo così una diminuzione della percezione del rischio e dei danni che essa può produrre se usata anche per scopi voluttuari. Oltre a questo non si considera né tantomeno si esplicita la profonda differenza che esiste tra i farmaci a base di THC prodotti dall’industria farmaceutica e i prodotti artigianali e non controllati provenienti dalla produzione fraudolenta.

Chiaramente l’equazione ‘se il THC va bene per tante malattie allora vuol dire che fa bene alla salute e non c’è problema ad usarlo’ non può essere accettata e va contrastata. Niente in contrario a sperimentare e studiare le potenzialità mediche del THC attraverso le tradizionali e severe metodologie della ricerca ma non è accettabile fare della demagogia per sostenere la bontà della legalizzazione e dell’uso a scopo voluttuario. A conferma di ciò, basti ricordare che negli USA il Marinol, il farmaco in cui viene isolato ed utilizzato in modo sicuro il principio attivo del THC, è stato approvato come medicinale prescrivibile dalla Food and Drug Administration (FDA). La DEA [Drug Enforcement Administration] ha supportato e facilitato la ricerca sul Marinol ma fumare ‘marijuana da strada’ non ha alcun beneficio medico comprovato e non ha niente a che vedere con il farmaco Marinol” (p. 16).

Giovanni Serpelloni, medico chirurgo ed ex Capo del DPA, osserva:

“Quello che non può essere accettato dalla medicina moderna è che si possa pensare che ogni malato possa prodursi il proprio ‘farmaco’ a domicilio, senza alcun controllo sul tipo di pianta coltivata e la percentuale di principio attivo, la qualità dei prodotti destinati a uso umano e medico in particolare, la quantità di autosomministrazione che verrebbe decisa esclusivamente dal paziente. Senza contare i problemi di dipendenza […] Né è accettabile che [la cannabis] venga dipinta come una sostanza ‘positiva, utile e salutare’ anche per l’uso voluttuario e ricreativo, dimenticando i danni che produce nell’organismo umano e in particolare sul cervello degli adolescenti”.

03 Arizona marijuana card2La promozione della cannabis per fini terapeutici è, in sostanza, solo la via per arrivare alla legalizzazione delle droghe per uso voluttuario. Emblematico in tal senso è il caso dell’Arizona, che ha reso legale la coltivazione, la vendita e l’utilizzo di marijuana a fini “medici” per le persone che dichiarano determinate patologie. John Kavanagh, deputato Repubblicano, ha denunciato che “la gente è stata indotta in errore nel credere che i suoi destinatari sarebbero stati solo pazienti oncologici in chemioterapia e chi soffre di glaucoma, mentre ora questi rappresentano solo una frazione degli utenti”. Si è infatti scoperto che, dei 34mila cittadini ad aver ottenuto il permesso di fumare o coltivare marijuana subito dopo l’approvazione della legge, solo il 3,76% ne giustifica l’uso per alleviare i sintomi del cancro, e meno del 2% sono coloro che citano il glaucoma: la stragrande maggioranza (il 90%!) adduce come motivazione un generico dolore grave e cronico. Inoltre, fatto ancora più grave, un’indagine condotta dall’Arizona Criminal Justice Commission, ha scoperto che i bambini delle scuole elementari riescono a entrare in possesso di cannabis, proprio grazie ai titolari di carte di accesso alla marijuana medica, i quali prima la ottengono per fini curativi e poi la rivendono agli scolari.

04 danni cerebrali cannabisI danni della marijuana sulla salute in generale e sul cervello dei giovani in particolare, sono innumerevoli e scientificamente provati. La cannabis provoca alterazioni e danni cerebrali, invecchiamento precoce fisico e mentale, disturbi psicotici (ansia, depressione, schizofrenia, psicosi, sindrome amotivazionale, delirio, abulia, panico, allucinazioni…), fenomeni di dipendenza e astinenza (tremori, sudorazione, nausea, agitazione, disforia, aggressività, iperriflessia, irrequietezza, alterazione dell’appetito, disturbi del sonno…), patologie dell’ambiente orale (xerostomia, leucoedema, micosi da candida albicans), problemi all’apparato riproduttivo (disfunzioni sessuali, problemi di fertilità, cancro ai testicoli), problemi alle vie respiratorie (irritazioni, broncocostrizione, malattie polmonari ostruttive croniche, infezioni pneumotoraciche e respiratorie, tubercolosi, rischio doppio di sviluppare cancro ai polmoni rispetto ai fumatori di solo tabacco). Inoltre, se assunta in gravidanza anche per un breve periodo, la cannabis può influire negativamente sulla crescita e sviluppo del feto e del neonato, determinando: basso peso alla nascita, parto pretermine, ritardo nella crescita, ricovero in terapia intensiva neonatale.[1]

La supposta innocuità della cannabis è propagandata, oltre che facendo leva sui “prodigiosi” effetti terapeutici, anche con la constatazione del fatto che “nessuno è mai morto per fumare uno spinello”, nel senso che non esistono persone che siano decedute dopo un sovradosaggio della sostanza, come avviene per esempio con l’overdose da eroina. Si tratta tuttavia di una motivazione molto debole, poiché – come sostiene la stessa comunità scientifica – per dimostrare la pericolosità di una sostanza non basta prendere in considerazione la mortalità diretta, ma bisogna tener conto anche della mortalità correlata e indiretta come: incidenti stradali, lavorativi, domestici provocati dal calo di attenzione e di riflessi, fatali per se stessi e/o per i terzi coinvolti; problemi medici da uso di droghe; capacità della sostanza di alterare importanti funzioni cerebrali o danneggiare le cellule neuronali, con compromissione dello sviluppo e della maturazione cerebrale; evoluzione verso forme più gravi di dipendenza (da cocaina, eroina, ecc.).

Scrive il DPA nel documento già citato:

“Per comprendere la reale pericolosità di una sostanza va considerata la ‘mortalità droga correlata’ e i rischi incrementali aggiunti di patologie quale quelle cardiache, polmonari e vasculo-cerebrali (es. infarto miocardio, cancro del polmone, ictus, etc.) rispetto alla popolazione normale non consumatrice. Nel novero della cosiddetta tossicità, vanno anche valutate le conseguenze non mortali ma altamente invalidanti sulle funzionalità neuropsichiche in grado di alterare e far perdere capacità estremamente importanti per il futuro dell’individuo quali la memorizzazione, l’attenzione, l’apprendimento e la motivazione, funzioni cognitive fondamentali per lo sviluppo della persona e per la sua realizzazione e autonomizzazione sociale.

Altri fattori da valutare come criteri di pericolosità di una sostanza (e la cannabis ne è il classico esempio) sono anche la facile accessibilità, la grande disponibilità, il basso costo e la bassa percezione del rischio ad essa correlata da parte della popolazione vulnerabile. Tutto questo in relazione soprattutto al fatto della capacità della sostanza di far iniziare percorsi evolutivi verso forme gravi di addiction proprio per questa sua parvenza e percezione di innocuità. Queste caratteristiche fanno sì che il numero di persone che utilizzano queste droghe sia molto alto, proprio come nel caso della cannabis e dei suoi derivati.

È provato che i cervelli di persone vulnerabili, sensibilizzati in giovanissima età con cannabis, spesso evolvano con più facilità, in età più avanzate verso forme di addiction da eroina o cocaina… Non è un caso che circa il 95% delle persone in trattamento per dipendenza da eroina abbiano iniziato il loro percorso con la cannabis.

La ‘tossicità’ quindi va valutata anche con questi criteri oltre che con le evidenze derivanti dall’applicazione delle moderne tecniche di neuroimaging e spettroscopiche, in grado di cogliere danni che prima non potevano essere documentati”. (pp. 20, 21).

Lo psichiatra Giuseppe Ducci, direttore del reparto di psichiatria dell’ospedale San Filippo Neri di Roma, denuncia:

“Se magicamente si potesse cancellare la cannabis dal mondo, avremmo una diminuzione dei casi di schizofrenia del 40%. Oggi registriamo disturbi psicotici gravi sempre più precoci. Abbiamo persone di 24-25 anni che, dopo anni di abuso, hanno il cervello di un novantenne e un futuro di lungoassistiti… Insomma, definire la cannabis una droga leggere è una vera fesseria”.

L’abuso di cannabis, quindi, non causerà direttamente la morte, ma ritrovarsi a 24 anni con il cervello di un novantenne e un futuro da malato psichiatrico, non sembra una prospettiva così allettante!

06 Global Comm on Drug PolicyArriviamo ora all’argomento di questo scritto: il “male minore”. Secondo le linee guida contenute nel rapporto “War on drugs”, elaborato dalla Global Commission on Drug Policy, e consegnato alle Nazioni Unite nel giugno 2011, le politiche antidroga “devono essere improntate a criteri scientificamente dimostrati”, devono avere come obiettivo “la riduzione del danno”, e devono essere “basate sul rispetto dei diritti umani”, mettendo fine alla “marginalizzazione della gente che usa droghe” o è coinvolta nei livelli più bassi della “coltivazione, produzione e distribuzione”.

La nuova parola d’ordine della guerra alle droghe è, in parole povere, “legalizzazione”, peccato però che essa contrasti proprio con i criteri scientificamente dimostrati invocati dalla Commissione Globale per le Politiche sulle Droghe. Infatti, se esaminiamo una per una le tesi antiproibizioniste volte alla “riduzione del danno”, cioè i vari “mali maggiori” che la droga libera (male minore) dovrebbe prevenire, si scopre che sono proprio le evidenze scientifiche a demolire la validità delle tesi che dovrebbero ridurre il danno.

Vietare le sostanze stupefacenti – dicono i favorevoli alla legalizzazione – non ne scoraggia l’utilizzo, poiché il divieto li rende frutti proibiti e affascinanti. Secondo questa tesi, potersi drogare alla luce del sole e senza subire sanzioni, farà perdere alla droga la sua ritualità segreta e trasgressiva, portando a una riduzione del numero di assuntori e di conseguenza dei consumi. Ma questo ragionamento non sta né in cielo né in terra, non essendoci una sola evidenza scientifica che ne attesti la validità. La realtà e le ricerche empiriche dimostrano, infatti, che avviene esattamente il contrario. Lo abbiamo già visto molte volte e qui lo riaffermiamo: legalizzare una pratica illecita significa normalizzarla, questo determina la perdita di disapprovazione sociale nei confronti di quella pratica e, nel caso delle droghe, la perdita di percezione dei rischi per la salute, con conseguente incentivazione e incremento della pratica stessa. La legalizzazione del divorzio ha portato all’esplosione dei divorzi in tutti gli strati sociali, la legalizzazione dell’aborto ha incrementato, e non ridotto, il numero 07 incrementodegli aborti. Il tabacco e l’alcool sono le sostanze d’abuso più legalizzate al mondo, ma sono anche quelle più utilizzate, che fanno registrare più persone dipendenti e che si trovano tra le prime cause di morte tra la popolazione. Dopo la legalizzazione del gioco d’azzardo si è verificata una vera e propria espansione sociale del fenomeno, parallelamente è aumentato il numero di persone che vi perde il controllo, fino a manifestare vere e proprie forme di dipendenza. Non si capisce pertanto quale sia il fenomenale meccanismo che, con la legalizzazione delle droghe, dovrebbe portare al verificarsi dell’opposto. Dire che la guerra alla droga si combatte legalizzando le droghe è un’assurdità! È come dire che i furti si riducono legalizzando il furto, o che l’evasione fiscale si sconfigge depenalizzandola e non punendo più gli evasori.

Gli studi e le ricerche condotte al riguardo, dimostrano che la maggior parte delle persone tende a rispettare un determinato divieto, adeguando a esso il proprio comportamento, ancor più se è condiviso della collettività o dal gruppo dei pari, e se è regolato con opportune sanzioni. Scrive il DPA:

“Alcune organizzazioni che promuovono la legalizzazione sostengono che il porre divieti e formali proibizioni all’uso di sostanze sarebbe in realtà incentivante i comportamenti trasgressivi e di consumo nella maggior parte dei giovani. Anche per questo motivo si giustificherebbe la legalizzazione. Non esistono però studi né ricerche che dimostrano in termini epidemiologici e scientifici che le proposte di cambiamento comportamentale dei giovani che vengano sostenute attraverso divieti fissati per legge, proibizioni e sanzioni producano sempre comportamenti reattivi di trasgressione e non di adesione al divieto in larghi strati di popolazione giovanile…

La disapprovazione sociale dell’uso delle droghe e dell’abuso alcolico, esplicitata anche attraverso una chiara legge sanzionatoria, è di fondamentale importanza ed è in grado di condizionare positivamente la maggior parte dei giovani nel loro stile di vita e nel comportamento di assunzione. Non è vero pertanto che la maggior parte dei giovani non rispetta le ‘proibizioni’ socialmente definite, non adattando il proprio comportamento di salute a tali divieti. In realtà, tutti i divieti o gli obblighi comportamentali posti dallo Stato, anche in altri ambiti, per ridurre comportamenti a rischio per la salute quali ad esempio non guidare una moto senza casco, non fumare negli ambienti pubblici, indossare i presidi antinfortunistica sul lavoro, non passare con il semaforo rosso, ecc., hanno sempre portato la maggioranza delle persone a conformarsi all’indicazione e a rispettare i divieti, ovviamente con le debite eccezioni che costituiscono comunque una forte minoranza.

La maggior parte dei giovani, in questi casi infatti rispetta i divieti e le proibizioni e non si comprende perché dovrebbe essere diverso per il divieto dell’uso di sostanze stupefacenti. A conferma indiretta di ciò va ricordato che attualmente la percentuale che almeno una volta nell’ultimo anno ha usato droghe in Italia nella fascia di età compresa tra i 15 e i 19 anni è di 22,1%, percentuale che sarebbe destinata a salire se il restante 77,9% di individui percepisse la possibilità di utilizzare droghe liberamente e in maniera legale. Siamo infatti convinti che una percentuale maggioritaria di giovani liberi dalle droghe venga mantenuta anche grazie alla legge che sancisce senza equivoci che usare droghe è un illecito, ne vieta esplicitamente il consumo. Questo divieto viene percepito ed elaborato cognitivamente dal singolo come norma sociale, producendo la realtà epidemiologica italiana che vede fortunatamente la percentuale di consumatori come minoritaria”. (pp. 11, 12)  

Nei Paesi in cui le droghe leggere sono state depenalizzate sono aumentati i consumatori, i consumi e i problemi di salute correlati. Nei Paesi Bassi, per esempio, tra il 1984 e il 1996 è avvenuta una rapida commercializzazione e promozione della marijuana, che ha avuto l’effetto di triplicare i consumi tra i giovani adulti (p. 24). Una crescita elevata dell’uso della sostanza si è verificata anche in quegli Stati USA che negli anni Settanta hanno attuato politiche di depenalizzazione per possesso di marijuana. In Alaska, nel 1975, una sentenza della Corte Suprema ha legittimato la marijuana per uso personale; ebbene, un’indagine condotta nel 1988 dall’University of Alaska, ha scoperto che l’uso di marijuana tra i giovani di 12-17 anni era il doppio rispetto alla media nazionale (p. 10). Anche in Inghilterra, per fare un altro esempio, dopo che il governo ha declassato il grado legale della cannabis in classe C, i consumi sono aumentati. Secondo i dati della NHS National Treatment Agency, il numero di giovani che ha avuto bisogno di cure mediche, per problemi correlati all’assunzione di cannabis, in un solo anno è quasi raddoppiato, passando dai 5.000 casi del 2005 ai 9.600 del 2006, e gli adulti che hanno dovuto ricorrere a trattamenti medici sono stati 13mila. Il professore Robin Murray, del London’s Institute of Psychiatry, ha stimato che almeno 25mila schizofrenici sui 250mila presenti nel Regno Unito, avrebbero potuto evitare la malattia se non avessero fatto uso di cannabis. “La società ha seriamente sottovalutato la pericolosità della cannabis” – ha affermato il professor Neil McKeganey, del Centro Universitario di Glasgow per la ricerca sull’abuso di droghe – “nei prossimi dieci anni potremmo ritrovarci con un numero crescente di giovani in gravi difficoltà”.

Osserva il DPA:

“Una semplice ma molto efficace considerazione epidemiologica che dovrebbe far riflettere su che cosa comporta la legalizzazione di sostanze psicotrope tossiche è quella relativa all’alcol e al tabacco: il più alto numero di persone tossicodipendenti da sostanze e decedute o rese invalide al mondo si registra proprio per quelle sostanze più legalizzate, per l’appunto l’alcol e il tabacco. L’Istituto Superiore di Sanità dice che ogni giorno si fumano 15 miliardi di sigarette, secondo l’OMS il tabagismo uccide 6 milioni di persone all’anno.

La loro legalizzazione, nel tempo, ha prodotto in prima istanza un calo della percezione della loro pericolosità nella popolazione ed un aumento esponenziale dei consumatori e quindi dei dipendenti, oltre che delle conseguenze mediche più macroscopiche ad esse correlate quali per esempio il cancro del polmone o la cirrosi epatica. Basti pensare inoltre che molti Stati in questi ultimi anni, constatato l’errore e le conseguenze di queste scelte nel lungo termine, stanno andando verso un nuovo ‘proibizionismo’ per il tabacco fatto di divieti ambientali, aumenti dei prezzi, incremento dei premi assicurativi se fumatore, penalizzazioni e sanzioni varie se trasgressore del divieto di fumo, divieto di pubblicizzare le sigarette anche nei film ecc. oltre che una forte e diffusa disapprovazione sociale” (p. 17).

Ecco a cosa porta il “male minore” della legalizzazione delle droghe: più persone che si drogano soprattutto tra i giovani, più persone che vi abusano e diventano dipendenti, più problemi di salute, più richieste di assistenza al servizio sanitario, più costi sociali.

Tra gli altri “mali maggiori” che – secondo le teorie antiproibizioniste – la droga legale dovrebbe prevenire, vi sono i morti per overdose e i danni per la salute causati dagli additivi usati dagli spacciatori. Questo perché le droghe “pesanti” sarebbero somministrate – da medici, strutture sanitarie o dispensari – allo stato puro, senza l’aggiunta di quelle sostanze nocive con cui di solito gli spacciatori tagliano la droga, ma anche questa tesi fa acqua da tutte le parti, osserva infatti il DPA:

“L’assunto che ‘se le sostanze fossero pure, come quelle distribuite dallo Stato, non sarebbero nocive per la salute’ è completamente da rigettare perché smentita dai fatti: nelle analisi chimicotossicologiche condotte su cadaveri di persone decedute per overdose mai è stata riscontrata una sostanza più tossica della droga stessa…

È noto infatti che si tratta di sostanze altamente tossiche, responsabili di molti decessi che, solo nell’immaginario collettivo e nelle notizie di cronaca, vengono tipicamente attribuiti alle ‘cattive sostanze da taglio’” (p. 21).

Anzi, questa tesi bislacca introduce anche un problema a livello di “responsabilità professionale”. Infatti, visto che la droga è una sostanza altamente tossica in grado di uccidere anche se non tagliata con “cattive sostanze”, quali ricadute si avranno, a livello di responsabilità del personale sanitario, se l’assuntore muore dopo aver preso gli stupefacenti che l’incaricato gli ha prescritto?

Se si vogliono prevenire le morti per overdose e i danni sulla salute delle sostanze stupefacenti, la strada non è la legalizzazione, ma il divieto e le sanzioni, affinché sia proclamata forte e chiara la pericolosità di tutte le droghe, e la maggior parte delle persone si tenga a debita distanza da esse e dai loro effetti devastanti.

MobileAltri due “grandi mali” che, stando alle teorie antiproibizioniste, la legalizzazione delle droghe dovrebbe prevenire, sono quelli relativi all’azione della criminalità e ai costi sostenuti per contrastarla. Secondo queste congetture, un mercato legale della droga avrebbe un doppio vantaggio: da un lato la criminalità organizzata si vedrebbe sottrarre mercato e guadagni, ritrovandosi così indebolita nella sua capacità di inquinare l’economia reale e di corrompere apparati dello Stato, determinando di conseguenza una vantaggiosa riduzione dei costi sostenuti per combatterla. Dall’altro lato si assisterebbe a una riduzione dei costi del sistema di giustizia penale, perché se è lo Stato a distribuire la droga e se il farne uso non è più illegale, i tribunali non saranno più inondati di cause per violazione dei divieti e per i reati commessi dai tossicomani nel tentativo di procurarsi illecitamente le sostanze. I trasgressori e i criminali che finiranno in carcere saranno perciò molti di meno, con grande beneficio per le casse dello Stato.

In parole povere, la liceità dell’uso di droga e la sua distribuzione da parte dello Stato avrebbe effetti molto positivi sia a livello economico che di contrasto alla criminalità organizzata e individuale. Tuttavia, se rapportiamo queste teorie ai “criteri scientificamente dimostrati” – come indicato nelle linee guida della Global Commission on Drug Policy e come è giusto che sia -, scopriamo ancora una volta tutta la loro fallacia, poiché sono proprio le evidenze scientifiche che le smentiscono.

Affinché la legalizzazione delle droghe sia efficace nel sottrarre mercato e guadagni alla criminalità organizzata, le sostanze stupefacenti dovrebbero essere garantite a tutte le persone, indipendentemente dall’età e dal tipo di lavoro svolto, per evitare che i gruppi criminali continuino la loro attività illecita con chi è rimasto escluso dalla fornitura di Stato in quanto non autorizzato a riceverla. Tuttavia, è del tutto evidente, che una così piena liberalizzazione sia impossibile da mettere in pratica, si pensi per esempio ai minori, alle donne in stato interessante, a coloro che svolgono particolari mansioni, come guidare mezzi pubblici, pilotare aerei, eseguire interventi chirurgici, azioni militari, ecc. Si tratta di un gruppo cospicuo di persone nei confronti del quale l’uso di droghe dovrà rimanere tassativamente vietato, rendendoli perciò clienti appetibili per il mercato illegale, che continuerà a realizzare con loro i suoi traffici e guadagni.

Le droghe andrebbero sicuramente vietate ad adolescenti e giovani fino ai 21 anni di età, poiché è scientificamente provato che fino a quell’età le sostanze stupefacenti possono provocare danni molto gravi al cervello e alla mente, essendo ancora in atto la maturazione cerebrale con i processi di mielinizzazione, sinaptogenesi e “pruning”. La legalizzazione delle droghe renderebbe perciò meno protetti proprio i soggetti più vulnerabili e più attratti dalle sostanze, con il richiamo del mercato illecito parallelo che eserciterebbe su di loro una pressione ancora più forte per via della loro esclusione dal mercato legale.

10 legalizzazione globaleInoltre, per indebolire sul serio la criminalità organizzata, non basterebbe concederne l’uso a tutte le persone, ma bisognerebbe legalizzare tutte le droghe, “leggere” e “pesanti”, a livello globale e in contemporanea in tutti gli Stati del mondo. Solo questo potrebbe impedire alle mafie di continuare i propri traffici con gli stupefacenti rimasti illegali e nei Paesi rimasti “proibizionisti”. Solo una legalizzazione di tutte le sostanze, in tutto il mondo, per tutte le persone, potrebbe intaccare il potere della criminalità organizzata, ma si tratta di una soluzione chiaramente utopistica e irrealizzabile dal punto di vista politico, organizzativo e sanitario.

Scrive il DPA:

“Non esiste alcuno studio né evidenza scientifica solida che dimostri che la legalizzazione in un contesto sociale industriale avanzato sia in grado di ridurre efficacemente gli introiti delle organizzazioni criminali… L’eliminazione di questa fonte di reddito fraudolento ad oggi è solo un’ipotesi.

È noto infatti che tali organizzazioni criminali trafficano e commerciano in vari tipi di droghe e che, legalizzando uno solo di questi prodotti quale ad esempio la marijuana, non si produrrebbero danni commerciali tali da mettere le organizzazioni in crisi, come dimostrato da studi statunitensi in merito, in quanto compenserebbero con altri introiti derivanti da mercati di altre sostanze e comunque da mercati sicuramente più competitivi con quelli legali anche sulla stessa sostanza. Pertanto, allo stato attuale, questa resta solamente un’utopica aspettativa di soluzione ‘chirurgica’” (p. 19).

Come osserva il DPA, bisogna anche considerare la questione di una maggiore competitività delle organizzazioni criminali rispetto allo Stato, per il quale la legalizzazione delle droghe si tradurrebbe nel dover sostenere costi doppi: quelli per regolamentare il mercato legale e quelli per combattere il mercato illegale tutt’altro che scomparso:

“In ambito organizzativo, legalizzare significherebbe sostenere i costi derivanti dall’attuazione di un gigantesco sistema statale di produzione, controllo, catena di custodia e distribuzione delle sostanze. Significherebbe insomma finanziare un apparato statale strutturato a gestire la legalizzazione e lo smercio, al fine di creare un mercato ‘competitivo’ per la vendita delle sostanze (rispetto a quello delle mafie e del crimine organizzato) estremamente costoso, complesso e in realtà affatto competitivo. Anche per questi motivi, il mercato nero è una realtà non sradicabile da una semplice politica di legalizzazione (p. 14).

I costi produttivi per le organizzazioni criminali, considerati i loro bassi standard di produzione utilizzati, saranno sempre più bassi e competitivi rispetto a quelli della produzione industriale professionale che deve garantire sicurezza, qualità e stabilità del prodotto, caratteristiche che devono essere assicurate non solo per la produzione ma anche per il packaging e la distribuzione.

Legalizzare la marijuana addosserebbe ad un governo l’onere di regolamentare un nuovo mercato legale, pur continuando a pagare gli effetti collaterali negativi associati a un mercato sotterraneo i cui fornitori hanno ben pochi vantaggi economici a farlo scomparire” (p. 19).

Ecco perché la legalizzazione delle sostanze porterà a un risultato diametralmente opposto da quello prospettato dai paladini della droga libera, cioè a favorire la criminalità organizzata invece che a contrastarla, ad arricchirla invece che a impoverirla, a renderla più potente invece che più debole. Infatti, l’aumento della domanda di droga, conseguente alla sua liberalizzazione, e i suoi cospicui profitti non finirebbero per la maggior parte nelle casse dello Stato, poiché i prezzi più concorrenziali che il crimine organizzato è in grado di applicare, attrarrebbero una buona fetta di consumatori, che con acquisti al mercato sotterraneo potranno spendere molto di meno. Tutto questo porterà maggiori profitti proprio alla criminalità, che rafforzerà così il suo potere e attività illecite:

“Anche se tutte le droghe fossero legali, tasse elevate sulle droghe provocherebbero violenti cartelli della droga per battere i prezzi legali e mantenere la propria quota di mercato. Con l’aumento della domanda che deriverebbe dalla legalizzazione, questi gruppi probabilmente si rafforzerebbero e le loro attività – estorsione, traffico di esseri umani, pirateria, ecc. – continuerebbero con la stessa violenza” (p. 19).

Legalizzazione, prezzi bassi, aumento della domanda sono strettamente collegati tra loro. Vari studi hanno dimostrato che il consumo di droga, così come quello di alcool e tabacco, è molto sensibile al prezzo, soprattutto da parte dei giovani e dei consumatori occasionali: se si applicano prezzi elevati a queste tre sostanze, il numero dei fruitori giovani e occasionali rimane basso. Questo è un altro motivo per cui la legalizzazione delle droghe non può portare alla riduzione del numero degli assuntori: legalizzare significa infatti crollo dei prezzi e, di conseguenza, maggiore facilitazione al consumo. Ciò è stato evidenziato in un rapporto della RAND Corporation – un think tank conosciuto e accreditato su scala internazionale -, che dimostra come sia proprio l’illegalità a mantenere i prezzi elevati e, di conseguenza, l’inibizione all’acquisto e bassi consumi (p. 10).

Ma il mercato legale sarebbe disincentivato anche per un altro motivo: la necessaria identificazione del cliente al momento dell’acquisto della droga che incoraggerà i consumatori occasionali e, in generale, tutti coloro che vorranno farne uso mantenendo anonimato e riservatezza evitando di finire nei registri dello Stato, a rivolgersi al mercato illegale. Da questo punto di vista lo Stato parte sfavorito rispetto alla distribuzione illegale

“che vede gli spacciatori utilizzare sempre tecniche personalizzate, ‘porta a porta’, di consegna a domicilio e senza richiedere alcun dato anagrafico al cliente (p. 14).

Esisterebbe sempre infatti un mercato parallelo illegale in quanto le persone che dovrebbero fruire di sostanze legali dovrebbero comunque accedere a sistemi di distribuzione controllati e formali, con identità del cliente ‘in chiaro’ per evitare abusi, duplicazioni di somministrazione o sfruttamenti impropri, un sistema pertanto che identifica e registra chiaramente il cliente. Molte di queste persone, pur di non essere identificate e/o registrate come consumatori ‘autorizzati’ di sostanze non si recherebbero presso questi ‘dispensari’ ma continuerebbero a preferire lo spacciatore, anche se più costoso (e che comunque avrebbe calato i prezzi vista la concorrenza e la loro capacità competitiva) mantenendo così un mercato parallelo illegale” (p. 19).

Ma gli acquisti al mercato statale sarebbero scoraggiati, oltre che dallo spaccio illegale “porta a porta”, anche dal già oggi molto fiorente commercio via internet, destinato a espandersi dopo la liberalizzazione delle droghe:

“La legalizzazione delle sostanze ed in particolare della cannabis e dei suoi semi per coltivazione va valutata anche alla luce del mercato ad oggi molto presente ed in espansione in internet e non solo dello spaccio territoriale. Tale forma di offerta e distribuzione infatti sta assumendo sempre di più dimensioni ragguardevoli e sarebbe sempre più competitiva di quella statale. Questo comporta un’ulteriore problematica per l’impossibilità materiale di controllare questi flussi commerciali e di poter mantenere un’unica distribuzione legalizzata controllata.

La legalizzazione comporterebbe un fiorire di siti internet che moltiplicherebbero le loro offerte in maniera iperbolica, con una ulteriore difficoltà di controllo del mercato e dell’offerta alternativa a quella legale” (pp. 15, 16).

13 buco nell'acquaChe ne sarà alla fine della tanto propagandata “riduzione dei costi per il contrasto della criminalità” che il “male minore” della droga legale dovrebbe ingenerare? Un enorme buco nell’acqua o, sarebbe meglio dire, nelle casse dello Stato, un fardello esorbitante sul groppone dell’intera collettività. Oltre agli ingenti costi per regolamentare e controllare il mercato legale delle sostanze, lo Stato dovrà continuare a sborsare denaro per contrastare sia i mercati illegali paralleli (territoriali e via web) che la criminalità organizzata, tutt’altro che indebolita. A queste spese si dovranno aggiungere i costi sanitari per far fronte alle pesanti ripercussioni sulla salute di un numero crescente di consumatori, e quelli per la riabilitazione e il recupero del numero dei tossicodipendenti destinato ad aumentare. Vi sono poi da considerare anche i costi dovuti alla perdita di produttività e redditività, che solitamente si computano in questi casi. Infine, non è da escludere la possibilità della nascita di una class action legale contro lo Stato, per aver liberalizzato il consumo di sostanze tossiche in grado di provocare gravi danni alla salute, che potrebbe innescare meccanismi di richieste di risarcimento, con costi considerevoli a suo carico nel lungo periodo. In definitiva, con le politiche di liberalizzazione delle droghe, i costi che graverebbero sullo Stato (e perciò sull’intera collettività) invece di ridursi, subirebbero un’impennata stratosferica!

E i costi del sistema di giustizia penale? Non pare proprio che il sistema di giustizia penale si ritroverà alleggerito nei costi dopo la legalizzazione delle droghe. Osserva, infatti, il DPA:

“I sostenitori della legalizzazione affermano che i costi del proibizionismo – principalmente attraverso il sistema della giustizia penale – sono un grosso fardello sulle spalle dei contribuenti e dei governi. Ci sono certamente costi per gli attuali divieti, ma legalizzare la droga in realtà non diminuirebbe le spese del sistema di giustizia penale in quanto i problemi correlati alla produzione illegale, al traffico, allo spaccio e alle altre attività criminali, non potrebbero essere concretamente ridotti. In Olanda dove si è legalizzata la cannabis all’interno dei coffee shop, si è comunque assistito nelle aree limitrofe ad un incremento delle attività criminali in relazione con la produzione illegale e chiaramente non autorizzata, su tutto il territorio nazionale, con un conseguente aumento delle attività della giustizia penale. Inoltre, nella maggior parte dei paesi al mondo, gli arresti per abuso di alcol come nei casi di violazioni delle leggi in guida in stato di ebbrezza sono di gran lunga superiori agli arresti per droga” (p. 22).

Sono cioè nettamente superiori i reati associati alle sostanze legalizzate rispetto a quelle che non lo sono. Amsterdam, per esempio

“è una delle città più violente su scala europea… La legalizzazione della marijuana non riduce l’impatto e le attività legate al drug trafficking e della malavita. Molti sono i coffee shops che vengono accusati nel rapporto dell’Advisory Comittee on Drugs Policy olandese di interagire con il crimine organizzato, raccomandandone un maggior controllo da parte delle forze dell’ordine, un allontanamento dalle zone limitrofe a scuole ed una riduzione del loro numero. Nei Paesi Bassi, il Report presentato dall’Advisory Comittee on Drugs Policy ha evidenziato la necessità di riconsiderare la legislazione in materia di drug policies a causa degli effetti negativi correlati alla legalizzazione” (p. 24).

Precisa, inoltre, il DPA:

“Chi è attualmente carcerato per reati inerenti allo spaccio e al traffico di droga, nella maggior parte dei casi non lo è per piccole quantità o per attività svolte occasionalmente o di poco conto ma per attività e reati di una certa consistenza che più che il bisogno dettato dalla dipendenza sono stati dettati dalla volontà di procurarsi denaro per assicurarsi facilmente redditi senza essere costretti a svolgere attività normali lavorative di solito molto a più basso rendimento finanziario rispetto alle attività criminali.

Chi sostiene che legalizzare snellirebbe il sistema di giustizia penale non considera però che la legalizzazione favorirebbe l’aumento del fenomeno della criminalità e dei reati compiuti sotto gli effetti dell’uso di sostanze (come rapine, scippi, violenze): in tal caso la legalizzazione non giustificherebbe di certo l’immunità o impunità rispetto ad atti illegali agiti sotto l’influenza delle droghe che implicherebbero comunque la detenzione… Per le persone con dipendenza e quindi uno stato di malattia che li costringe a procurarsi la sostanza stupefacente e di conseguenza a volte a delinquere per questo, in Italia come in tanti altri paesi esiste sempre la valida e facilmente ottenibile alternativa dell’entrata in terapia anche per ridurre i fabbisogni giornalieri di denaro per l’acquisto delle droghe” (p. 23).

Gli antiproibizionisti accompagnano spesso le loro tesi con l’affermazione  secondo la quale la tassazione sulle sostanze stupefacenti legalizzate porterebbe molto denaro nelle casse dello Stato, con grandi benefici per tutti, ma, ancora una volta, i fatti dimostrano che si tratta di un’affermazione falsa, perché i costi enormi che complessivamente lo Stato dovrà sostenere, lo porteranno a spendere assai di più di quello che incasserà con la tassazione, esattamente come avviene con alcool e tabacco, sostanze legali e tassate:

“Negli Stati Uniti, ad esempio, le entrate delle imposte federali sull’alcol incassate nel 2007 si aggiravano intorno ai 9 miliardi di dollari; gli stati riscuotevano circa 5,5 miliardi di dollari. Se si sommano, queste cifre sono inferiori al 10% dei 185 miliardi di dollari calcolati per le spese correlate all’alcol in termini di assistenza sanitaria, giustizia penale, e di una ridotta produttività lavorativa… Quindi l’affermazione che spesso le organizzazioni pro legalizzazione fanno e cioè: ‘lo Stato recupera ampiamente i costi di fabbricazione delle sostanze che verranno commercializzate ad un prezzo notevolmente ridotto’ risulta totalmente fuori luogo ed infondata perché nel computo dei costi, oltre a quelli produttivi, andranno inseriti quelli incrementali relativi alle cure degli effetti negativi sulla salute, all’apparato di controllo che dovrà essere aumentato e quello relativo alla distribuzione gestita delle sostanze, non che alla perdita di produttività e redditività di centinaia di migliaia di persone” (p. 23).

14 vietare tutte le drogheNel report del 2008 elaborato dal Centers for Disease Control and Prevention, si legge che tra il 2000 e il 2004 il tabagismo negli USA ha causato la perdita di 193 miliardi di dollari, di cui 96 miliardi per costi medici e 97 miliardi per perdita di produttività.

Il programma di controllo del tabagismo in California è costato 1,4 miliardi di dollari nei suoi primi 15 anni, e i 3,6 milioni di pacchetti di sigarette non fumati, nello stesso periodo di tempo, hanno ridotto le entrate dello Stato di 3,1 miliardi di dollari. Tra costi e mancate entrate lo Stato ha perso 4 miliardi e mezzo in 15 anni, ben poca cosa rispetto agli 86 miliardi di costi di assistenza sanitaria diretta che il programma gli ha invece permesso di risparmiare (p. 18).

In conclusione, se c’è qualcosa in grado di combattere la criminalità, contenendone i guadagni e le attività illecite; di tenere basso il numero dei consumatori di droghe e di coloro che ne diventano dipendenti; di tenere bassa l’insorgenza di malattie correlate all’uso di sostanze e i corrispondenti costi sanitari; di limitare i costi a carico dello Stato e della collettività… la strada è una sola: vietare le droghe e sanzionare i trasgressori.

L’approccio politico della “riduzione del danno” dimostra, anche in questo caso, tutta la sua fallacia e pericolosità, poiché non solo non riduce i danni di partenza, ma dei danni di partenza – e di nuovi e ulteriori danni a essi conseguenti – ne è addirittura l’artefice. Il risultato finale è sempre lo stesso: un “male maggiore” assai più grave ed esteso di quello che le politiche della “riduzione del danno” dovrebbero prevenire.

[1] Ho approfondito i problemi di salute associati alla cannabis nel seguente articolo: “A proposito di ‘le canne non fanno male’ e ‘uso terapeutico’”, Libertà e Persona, 1 luglio 2013.

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