No alle riforme Boschi-Renzi: parla il sociologo Renzo Gubert

gubert

Renzo Gubert, classe 1944, è stato compagno di studi, negli anni Sessanta, presso la facoltà di sociologia di Trento, di personalità così diverse dalla sua come Mauro Rostagno e Renato Curcio. 

E’ divenuto poi professore di Sociologia, ed è stato parlamentare di centro per alcune legislature. Abbiamo voluto intervistarlo per conoscere la sua storia, così connessa con quella della città di Trento, e il suo competente giudizio su alcune questioni di attualità, in particolare sui governi Monti, Letta e Renzi e sulla riforma costituzionale Boschi-Renzi.

[…]

Qual è la sua valutazione dei governi Monti, Letta e Renzi?

 

La crisi del Governo Berlusconi, del 2011, fu propiziata dalla secessione di Fini e dei suoi amici e dal clima di scarso accordo interno (specie tra Berlusconi e il ministro Tremonti), ma il colpo decisivo fu senz’altro un’azione combinata di paesi stranieri (Germania in primo luogo) e forze interne (Presidente della Repubblica Napolitano, grandi giornali nazionali, esponenti del mondo economico) che hanno creato le condizioni per le dimissioni di Berlusconi. A quel tempo mi era chiaro come fosse stato un sopruso (la nomina di Mario Monti a senatore a vita è stato un sintomo di evidenza unica), ma più tardi giunsero confessioni e prove.

Per questo non mi convinse la nascita del Governo Monti, che qualcuno vedeva come inizio di una ripresa di forza centrista post-berlusconiana, ma che di fatto erala manifestazione della capacità delle élites legate al mondo finanziario internazionale

(con forte presenza massonica) di condizionare le politiche nazionali, nello specifico italiane. Monti riuscì a far rientrare nella “normalità” la situazione finanziaria dello stato italiano, assecondando le richieste della tecnocrazia finanziaria europea. Forse non era possibile fare altro, come il caso della Grecia avrebbe più tardi dimostrato. Tuttavia quando Monti ha voluto fondare un suo proprio partito per le elezioni nazionali, tra l’altro con l’eccessivo appiattimento su di esso dell’UDC, non ho trovato motivazioni convincenti per apprezzare l’iniziativa. Sembrava l’uomo delle grandi banche, dei grandi interessi internazionali, più che l’uomo che avrebbe ridato espressione politica al popolarismo di ispirazione cristiana.

Il fallimento della formazione politica di Monti alle elezioni nazionali e i non riusciti tentativi di coalizione di Bersani del PD portarono al Governo Letta, persona squisita sul piano personale, che avevo conosciuto fin dai tempi delle riunioni del PPI che Nino Andreatta teneva, nel 1994-95 presso un suo centro studi a Roma. Era espressione dell’Ulivo lanciato allora, ma caratterizzato non dal settarismo degli inizi, bensì dalla razionalità capace di affrontare i problemi. Era pur sempre un Governo di centro-sinistra a trazione PD (ultimo erede del PCI-PDS con innesti dei DC di sinistra-Margherita), ma la componente centrista sembrava aver guadagnato peso. Non fu lasciato governare a lungo, e non solo per l’arroganza di un Matteo Renzi vincitore delle primarie nel PD, ma anche per l’appoggio a Renzi dei maggiorenti del partito del PD.

L’incostituzionalità della legge elettorale denunciata dalla Corte Costituzionale per alcuni aspetti cruciali, quale ad es. le regole del premio di maggioranza, avrebbero dovuto indurre le istituzioni, specie la Presidenza della Repubblica, a limitare i compiti del Parlamento all’approvazione di una nuova legge elettorale. Il Presidente Napolitano scelse diversamente e investì di fatto il Governo Renzi di tutti i poteri.

Il venir meno, nella maggioranza post-elettorale che aveva sostenuto Letta e poi Renzi, del Popolo delle Libertà a seguito di insufficiente considerazione del peso politico del partito di Berlusconi (applicazione retroattiva di leggi penalizzanti Berlusconi, elezione del Presidente della Repubblica) non ha costituito alcun impedimento a proseguire nell’attività parlamentare e di Governo anche se la maggioranza residua (con il Nuovo Centro Destra di Alfano e poi del gruppo di Verdini, ex FI) tale era solo in virtù di un premio di maggioranza dichiarato illegittimo:. Non solo la nuova legge elettorale e i documenti di programmazione finanziaria dello Stato, ma anche le larghe parti riformate della Costituzione sono state approvate solo grazie a presenze parlamentari esito di norme proclamate incostituzionali. Sorprende che neppure il nuovo Presidente, Sergio Mattarella, che pur ha alle spalle una tradizione politica diversa da quella di Napolitano e aveva fatto parte della Corte Costituzionale che aveva giudicato la legge elettorale, faccia rilevare tali violazioni dei principi democratici.

Indubbiamente il Presidente Matteo Renzi ha una capacità affabulatoria non comune, con la sua “rottamazione” ha dato pane per i denti di quanti denunciano le inadeguatezze della classe politica, ma non ha dimostrato di tenere in conto il valore della democrazia partecipativa, che valorizza i corpi sociali intermedi, architrave del pensiero sociale cristiano. Il piglio è decisamente populista (appello diretto al popolo via mezzi di comunicazione di massa), nelle parole a favore della gente comune e nei fatti attento a favorire le classi dirigenti delle imprese medie e grandi (vedi abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, vedi il sostegno a Marchionne che sposta la sede legale e fiscale della FIAT-Chrysler all’estero, ecc.), delle banche private (specie se amministrate da “amici”), mortificando banche popolari e cooperative.

La nuova legge elettorale ripete i difetti della precedente, aggiungendone di altri. Circa due terzi dei nuovi deputati saranno dei “nominati” e il premio di maggioranza potrà andare a una lista che, in prima votazione potrebbe aver avuto poco più del 20% dei voti (se concorrono tre – quattro formazioni maggiori e altre minori), senza che al ballottaggio abbia ottenuto più voti in assoluto. L’azione sull’economia non riesce a far diminuire in modo significativo la disoccupazione. Sui temi etici relativi a vita e famiglia c’è chi, nel mondo cattolico, sperava in Renzi; ha imposto una legge sulle unioni civili degli omosessuali che di fatto equipara queste al matrimonio di uomo e donna. Ma è la modifica della Costituzione fatta approvare con maggioranza ristrettissima che evidenzia il tipo di ideologia cui Renzi si ispira.

Il suo giudizio sulla riforma costituzionale che a ottobre sara’ sottoposta a referendum confermativo e’ quindi negativo?

Certamente e come Centro Popolare abbiamo aderito al Comitato Popolare per il No presieduto dall’on Giuseppe Gargani, della Federazione Popolare, e che è in via di costituzione a livello regionale in tutta Italia con Nuovo CDU di Mario Tassone, Popolari per l’Italia di Mario Mauro, e con l’adesione di molti altri.

I motivi della valutazione negativa vanno ricercati nella mortificazione che la combinazione di nuova legge elettorale e nuovo assetto del Parlamento produce a danno della democrazia; i poteri sono pieni per la Camera dei Deputati, che però è poco rappresentativa perché formata per due terzi o più da nominati dai capi-partito e perché viene gravemente alterato il principio della giusta rappresentanza (e pensare che il PCI aveva giudicato “legge truffa” quella di Degasperi che dava un piccolo premio di maggioranza alla coalizione che già l’aveva). Il premio di maggioranza dato a una lista, escludendo che tra primo turno e ballottaggio si possano formare coalizioni, peggiora l’esito del processo elettorale.

I senatori, ridotti a 100, saranno scelti tra sindaci e consiglieri regionali (provocando un inefficiente cumulo delle cariche) e il Senato potrà intervenire nel processo di formazione delle leggi in alcuni casi per competenza propria pari a quella della Camera e in altri provocando un riesame da parte della Camera delle leggi sulle quali ha proposte emendative da fare; la conflittualità tra Camera e Senato sulle competenze aumenterà. La semplificazione proposta nella legge costituzionale del 2001 approvata dal centrodestra era certamente più efficace; questa, vantata da Renzi,creerà solo complicazioni.

Altro motivo di valutazione negativa concerne la revisione delle competenze di stato e regioni: la nuova proposta ritorna a un centralismo statale che smentisce tutti i passi avanti verso una struttura di regionalismo avanzato che si avvicinava al federalismo; si vogliono giustamente evitare troppi conflitti di competenza tra stato e regioni, rendendo più semplici le attribuzioni, ma lo si poteva fare mantenendo e rafforzando le autonomie. Renzi, invece, non solo ha ricentralizzato molte competenze, ma ha reintrodotto un concetto di “interesse nazionale” che, creando mille contenziosi come in passato, consente allo stato di sovrapporsi anche alle residue competenze autonome regionali. E’ la negazione del principio regolativo della “sussidiarietà” verticale, altro architrave del pensiero sociale cristiano e patrimonio della tradizione di Sturzo.

Infine anche le istituzioni di controllo (Corte Costituzionale, Presidenza della Repubblica) sono più esposte ad essere controllate da chi vince la competizione elettorale. Sono limitati i poteri del Presidente della Repubblica.

In sintesi, nessun paese democratico d’Occidente, neppure a regime presidenziale, ha una Costituzione che dà poteri così forti al vincitore di un’elezione, pur in un sistema formalmente ancora parlamentare. Rischio autoritario e centralismo sono in definitiva i gravi difetti che inducono molti a sostenere il NO al prossimo referendum. E che non si tratti di mera propaganda politica lo dimostrano anche le prese di posizione per il NO di molti autorevoli costituzionalisti.

In Trentino-Alto Adige si aggiunga l’obbligo di conformare a tali mutamenti costituzionali, pur se attraverso un processo negoziale, anche lo Statuto di speciale autonomia.

per l’intervista intera (con la storia politica di Renzo Gubert: http://www.lavocedeltrentino.it/index.php/breaking-news-trentino/26117-renzo-gubert-riforma-costituzionale-grave-danno-alla-democrazia)

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

1 × tre =