Con la Cirinnà “matrimonio” per tutti?

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di Simona Muzzo

La legge sulle Unioni civili, licenziata alla Camera la scorsa settimana, introduce un’altra grande “anomalia” giuridica, quella della regolamentazione di tutte le convivenze di fatto.

Al fine -così si legge nel preambolo- di <<recepire nell’ordinamento legislativo le evoluzioni giurisprudenziali già consolidate nell’ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi>>, anche l’unione libera per antonomasia della cd famiglia di fatto viene omologata alla famiglia “costituzionale”(art. 29), in quanto i suoi componenti -con riferimento esclusivo a quelli di stato civile libero- si ritrovano, paradossalmente, ad essere titolari dei diritti/doveri nascenti da quel matrimonio che hanno sempre evitato, proprio per non assumerne (soprattutto) i doveri che ne scaturiscono. Sì, perché di fatto il testo normativo appena approvato non si limita a normare situazioni giurisprudenzialmente consolidate (successione nel contratto di locazione, risarcimento danni procurati dalla morte del convivente, assegnazione case popolari, nomina del convivente come tutore ecc) ma introduce ex novo diritti/doveri che sono propri dell’istituto matrimoniale.

Viene ad esempio stabilito il diritto di permanenza del convivente superstite nella casa di residenza comune di proprietà del convivente deceduto per <<due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni>>. Se poi il convivente superstite ha figli minori o figli disabili allora potrà rimanere nella casa <<per un periodo non inferiore a tre anni>>. Tale diritto viene meno solo se il convivente superstite lasci la casa, si sposi o inizi una nuova convivenza.

Ma il comma più “pesante” del maxiemendamento, a mio parere, è il 65 che introduce il diritto agli alimenti del convivente più debole in caso di cessazione della convivenza, con esplicito richiamo dell’art. 438 codice civile “Misura degli alimenti” e precisazione che <<l’obbligo alimentare del convivente ..è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle>>.

Insomma, convivenza e matrimonio, due situazioni ontologicamente diverse, finiscono per essere regolamentate in maniera uguale, in spregio ai principi di cui all’art. 3 della Costituzione. Ma soprattutto in violazione della libertà di autodeterminazione della persona.

Eh sì, perché nel 1998 la Corte Costituzionale con la sentenza n.166 ha affermato che <<la convivenza more uxorio rappresenta l’effetto della scelta di libertà delle regole costruite dal legislatore per il matrimonio, donde l’impossibilità pena la violazione della libera determinazione delle parti di estendere alla famiglia di fatto, per le diversità delle situazioni raffrontate, le regole anche processuali connesse all’istituto del matrimonio>>.

Concetto poi ribadito anche nel 2000 con la sentenza n.352: <<la convivenza more uxorio rappresenta l’effetto di una scelta di libertà dalle regole costruite dal legislatore per il matrimonio, (…) la convivenza è diversa dal vincolo coniugale e a questo non meccanicamente assimilabile al fine di desumere l’esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento: essa (…) manca dei caratteri di stabilità e certezza del vincolo coniugale essendo basata sull’affectio quotidiana liberamente ed in ogni istante revocabile>>.

Che dire? Non solo lo Stato è venuto meno al proprio dovere costituzionale di tutela della famiglia fondata sul matrimonio, ma addirittura ne ha celebrato il funerale.

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Autore: Libertà e Persona

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