IL SACRAMENTO DELL’ORDINE GRANDE DONO ALLA CHIESA 3 Vi ho insegnato riconoscenza e gioia

4 Luglio 2012

Questa notte ho sognato Sua Santità il Beato Sommo Pontefice Giovanni Paolo II. È stato un fatto impressionante e confortante.

Certo non penso che sia venuto Lui stesso a visitarmi, ma i semi di grazia che il Signore pone in noi hanno lavorato e si sono così manifestati. Ecco il sogno.

Un fratello sacerdote era andato in udienza da Lui (io stesso?) ed il Santo Padre gli chiedeva: «Perché sei triste?». Rispondeva il sacerdote: «Sono venuto fin qui per sentirmi dire questo?». E il Papa: «Non hai motivo di essere triste. Io vi ho insegnato riconoscenza e gioia!». Queste parole furono illuminanti.

Ho pensato: non dobbiamo solo ricordarci di quanto non abbiamo fatto, o che abbiamo fatto male, e che dobbiamo riparare. Ma dobbiamo anche pensare a quanto di bene possiamo fare ancora. La miglior riparazione è fare bene il bene.

Cosa diceva sempre San Giovanni Bosco dei suoi cari ragazzi? Quando un ragazzo è triste, o è malato, o è in peccato. Così dei sacerdoti. Quando sono tristi e stanchi, o sono malati, o sono in peccato. L’unica medicina, allora, è tornare alla fonte della gioia, al Signore e a coloro nei quali Lui soffre. Allora si ritroverà riconoscenza per i doni ricevuti nella fede e la gioia di essere suoi discepoli e apostoli.

Il Beato Giovanni Paolo II è stato esempio di fortezza sacerdotale ed umana e, nonostante i numerosi motivi di sofferenza, che potessero affliggerlo, ha vissuto nella gioia di Dio.

Anche noi sacerdoti, che abbiamo lasciato il ministero, dobbiamo vivere la riconoscenza per il dono ricevuto

e valorizzarlo per come ci è possibile in questo nuovo stato, irradiando gioia, quella gioia che viene dalla fede perché, come ci ricorda il nostro Assistente Spirituale, che ci segue nelle adorazioni eucaristiche, «sulla fede saremo giudicati!» su una fede gioiosa.


Penso in particolare a quei sacerdoti, che hanno lasciato il ministero senza chiedere la dispensa alla Santa Sede, ma quasi sbattendo la porta, insofferenti e forse senza un gesto di umiltà. Non so cosa potesse agitarsi nel loro cuore: ogni storia è particolare e merita considerazione. Se qualcuno di loro leggesse, miracolosamente, queste parole, provi a rientrare in se stesso, a vedere nella Chiesa una Madre sollecita e non una matrigna odiosa. Credo che essi soffrano molto, che le loro illusioni da tempo si siano infrante. Ma non è mai troppo tardi per venire con umiltà dal proprio Pastore a chiedere luce e perdono. Anche per i sacerdoti “disobbedienti” è possibile tornare in seno alla Chiesa, pienamente. Nessuno vi giudica, come nessuno giudica noi, che abbiamo aspettato il giudizio della Chiesa. La Chiesa ci incoraggia. Siamo solo noi che giudichiamo noi stessi, ergendoci a terribile tribunale di noi stessi, senza usarci misericordia. Poiché ci siamo a volte lasciati fuorviare dall’orgoglio di Satana. Ma come Gesù, nel deserto, rispondiamo: «A Lui solo devo servire».
Scrivendo queste righe ad un sacerdote molto malato, gli dicevo. Caro Padre, tu, con la tua paresi, che da anni ti inchioda alla carrozzina, sei l’esempio per noi sacerdoti di come vivere il sacerdozio nel silenzio, eppure, operosamente. Intercedi, caro Padre, per tutti i sacerdoti sbandati.
Nelle nostre adorazioni siamo ancora pochi, anche se devo ricordare la Comunità di Clarisse che prega con noi e diversi laici e alcuni sacerdoti, che, in quel momento, si uniscono a noi nella preghiera. Certo fatica ad allargarsi il gruppo. Nella nostra diocesi vi sono almeno cinquanta sacerdoti che potrebbero aderire a questa salutare azione spirituale. Ti chiedo di pregare perché, in silenzio, si diffonda il messaggio e numerosi accorrano a Lui.

Ave Maria, R. D.

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