La teoria del gender non è darwinianamente sostenibile

dodo

La teoria del gender oltre ad essere errata scientificamente è anche una scelta insostenibile per la popolazione. Se effettivamente adottata porterebbe ad un effetto “dodo” l’uccello che si estinse lentamente ma inesorabilmente nella seconda metà del XVII secolo.

Che la teoria del gender, secondo la quale l’identità sessuale è un fattore culturale sul quale il sesso biologico ha poca o nessuna influenza, sia una teoria errata lo abbiamo visto in “Gender: una teoria scientificamente infondata“, articolo che si è guadagnato anche una citazione su Wikipink (enciclopedia gay online), ma finora nessuno ha mai affrontato le conseguenze sulla popolazione di tale teoria qualora essa fosse realmente applicata.

Come è noto a chi si sia occupato di studiare dal punto di vista evoluzionistico l’omosessualità, essa ha rappresentato a lungo un paradosso evolutivo, in quanto, secondo le regole dell’evoluzionismo darwiniano, un carattere che porta a non riprodursi dovrebbe essere eliminato rapidamente ad opera della selezione naturale.

La questione è stata risolta negli ultimi anni dagli studi di  Andrea Camperio Ciani, Prof. di Etologia e Psicologia Evolutiva presso il Dipartimento di Psicologia Generale presso l’Università di Padova, il quale dopo aver individuato nel cromosoma X il gene Xq28 che predispone all’omosessualità, ha riscontrato un aumentato tasso di fertilità tra le donne portatrici dello stesso gene, tale aumento di fertilità sarebbe in grado di compensare la minore fertilità dei portatori maschi omosessuali.

Della cosa ci siamo occupati con un’intervista pubblicata nell’articolo “Il paradosso dell’omosessualità: intervista ad Andrea Camperio Ciani“, il quale proprio all’inizio chiarisce i termini  del paradosso:

“Se un gene esercita un’influenza, anche parziale, questo basta a sollevare una problematica evoluzionistica. Francisco Ayala afferma che basterebbe una riduzione della fecondità del solo 10% per portare ad estinzione una linea nel giro di 10 generazioni. Quindi il fatto che gli omosessuali storicamente si siano (anche per rispettare le convenzioni sociali ndr) riprodotti, anche se in modo molto minore, questo non basterebbe a giustificare che la loro linea non si sia estinta.”

Quindi la popolazione non risente negativamente della mancata riproduzione degli omosessuali nel caso in cui la fertilità delle donne portatrici del gene Xq28 compensi tale svantaggio, ma che accadrebbe se la popolazione che effettua una scelta omosessuale aumentasse?

Accadrebbe che il numero di omosessuali non geneticamente caratterizzati, e quindi non compensati dalla presenza di un gene Xq28 in parenti femmine, farebbero scendere il tasso di fertilità al di sotto della soglia di ricambio della popolazione, soglia tra l’altro già superata in Italia per via della bassa fertilità per donna (1,39 figli nel 2014). Quindi secondo le dinamiche  di popolazione, una società con un aumentato numero di coppie omosessuali maschi rispetto a quelle portatrici del gene Xq28 sarebbe insostenibile.

Questa dinamica di base spiega la scelta obbligata di far seguire alla diffusione della teoria del gender, e all’approvazione delle leggi sui matrimoni omosessuali, non solo l’adozione per le coppie omosessuali, ma anche, inevitabilmente, l’accettazione e la diffusione di massa della pratica dell’utero in affitto.

Questa implicazione mostra l’infondatezza di posizioni che vedono soluzioni di compromesso sulla diffusione del gender (e l’accettazione di matrimoni gay) e la negazione delle adozioni e della pratica dell’utero in affitto, su tale questione si tratta di una scelta del tipo “tutto o nulla”: il gender implica l’approvazione dell’omogenitorialità, e inevitabilmente dell’utero in affitto.

L’alternativa sarebbe darwinianamente fatale.

 

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