Note da un matrimonio: l’amore al centro

Quando due giovani si sposano, per loro è riservato un posto d’onore. Il centro della chiesa. E’ una collocazione che nei cambiamenti avvenuti con la riforma liturgica di Paolo VI, non è mutata. E’ la medesima, prima e dopo la riforma. Al centro. Con la liturgia scaturita dal Concilio Vaticano II, è modificato lo spazio di Gesù, del tabernacolo, collocato ora, in una qualche cappella laterale; al poso dell’antico altar maggiore e del tabernacolo, è stato posta la sede del Presidente dell’Assemblea (questo è termine corretto, manco fossimo in CDA di un’azienda) e comunque si è data ad essa, o meglio al prete si è data una visibilità

che l’antica liturgia non prevedeva. Lo stesso altare, da luogo imponente, solenne, posto in rilievo, al vertice di qualche gradino, ora è divenuto un tavolo, appoggiato, se va bene, su una predella. Insomma, tante cose sono mutate nella riforma liturgica tra il prima e il dopo, ma non la centralità di due giovani che giungono davanti all’altare, dando le spalle alla gente, ma guardando Dio in faccia per chiedere supplichevoli una benedizione sul loro amore. Il motivo di tale rilievo sta nel fatto che la Chiesa reputa gli sposi i ministri del sacramento.
Potremmo dire con uno slogan che “l’amore è al centro”. Lo è plasticamente con la centralità liturgica degli sposi. Gli occhi sono tesi a guardarli. E’ uno sguardo curioso quello dei presenti. Ricordo che da ragazzo, noi maschi volevamo vedere la sposa (e si attendeva anche l’inizio della Messa successiva per vederla) e fare i propri commenti, quasi ad approvare solidali la scelta del nostro. Le ragazze pure. Il loro sguardo era, probabilmente, ma non l’ho mai chiesto, rivolto a vedere e giudicare l’abito. Dello sposo non c’era traccia, almeno all’inizio. Spesso non si riusciva a capire neppure quale fosse. I più grandi li guardano per cogliere l’emozione, la tensione del momento…e poter dire, magari durante il giro dei tavoli “eri emozionata” (wow, che fantasia). Ognuno li guarda perché sono loro al centro. Eppure questo sguardo mi pare qualcosa di più. E’ uno sguardo pieno di desiderio. Non solo perché i due abbiano benedizione dal cielo e vivano felici e contenti, ma perchè ciò che accade a loro, accada anche a me. Si accenda in me, il fuoco, la passione, il coraggio dell’amore che oggi vedo in loro.
Loro sono al centro, ma per rivelare che al centro, in realtà, c’è il mio cuore desideroso d’amore.
L’amore come densità del vivere.
Gli occhi li fissano, ma il cuore desidera, per loro certo, ma anche, per sé, l’amore.
Al centro c’è l’amore atteso.
C’è una preghiera, a questo proposito, molto bella e semplice che possiamo imparare a recitare al mattino quando ci svegliamo. E’ un’invocazione desiderosa dello Spirito di Dio: “Vieni (cioè affrettati!!) Santo Spirito e accendi in me il fuoco del Tuo amore”.
L’amore è al centro perché è al centro delle intenzioni divine. E’ – come dice Dante nella parola che chiude la Divina Commedia – “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. Tutto ciò che vedo, in questi giorni d’inizio estate, il cielo, le stelle, i campi di grano, i baloni d’erba medica, la frutta negli orti, i girasole…tutto ciò che c’è, esiste per l’amore di Dio.
Per dirla, come dice Leopardi, rivolto alla luna immortal: “Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore rida la primavera”. Tutto gioisce e colora per far risplendere questa rivelazione: Dio è amore.
Il Santo Padre, da due anni a questa parte, sta ripetendo questo pensiero che è al centro delle confidenze di Cristo ai suoi discepoli perché il popolo di Dio nutrendosene possa riscoprire il senso vero di questa parola – amore – così troppo facilmente “sciupata, consumata e abusata che – sono parole del Papa – “quasi si teme di lasciarla affiorare sulle proprie labbra. Eppure è una parola primordiale. Noi non possiamo semplicemente abbandonarla, ma dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario, perché possa illuminare la nostra vita”.
Gli sposi sono, evidentemente, al centro, ma per mettere al centro non loro stessi, ma l’amore.
Noi li guardiamo e un po’, senza troppa retorica, guardiamo all’amore di cui sono un sacramento. Guardiamo a loro e facciamo il tifo per loro. Non tanto quel giorno nuziale, tutto sommato giornata facile, ma nel logorante, apparentemente banale e ripetitivo quotidiano vivere (anche se apparecchiare, stirare, lavare…non sono mai gesti banali), questi due giovani ci mostrino che vivere così è possibile. Noi adulti, noi amici, noi giovani li guardiamo, come gli adolescenti, traboccanti di desiderio, guardano per poter sperare, per loro e per sé, che “un amore così, un amore per sempre, è possibile”.
L’amore è al centro perché tutti vedano. Tutti si sentano responsabili. Tutti si sentano provocati. Tutti si muovano a rinnovarsi nel desiderio d’amare.
Non siamo ingenui. La fragilità e la debolezza nostra la conosciamo. Anzi, il tremore che accompagna gli sposi è l’evidenza che ciascuno di loro due non presume di essere immune dal peccato, dalla miseria del tradimento, dallo spegnersi di un certo sentimento. Anzi. Questa consapevolezza, in tante occasioni, frena il nostro cuore nell’osare ad amare, imbriglia il nostro “eccomi” nel donarci. Lo so perché prima di diventare prete ho avvertito pienamente l’inconsistenza delle mie forze.
In alcuni casi, è stato importante il sentirmi dire “non aver paura”. Mai. Non aver paura dell’amore di Dio. Non aver paura di te, delle tue menzogne, delle tue meschinità. Il Signore è più grande di questo.
Ecco il punto. Al centro, infatti, non ci sono soltanto due giovani trepidanti d’affetto e di speranza. Non c’è neppure soltanto l’amore, di cui essi sono segno e provocazione. Al centro c’è Dio. O meglio. Al centro, di questi cerchi concentrici, c’è la consistenza dell’amore di Dio che è Cristo, figlio di Maria e di Dio. Come dice l’apostolo Giovanni “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16)
Non siamo ingenui. Siamo così coscienti del male che abita in noi, da essere presuntuosi nell’amarci per sempre. E la nostra presunzione è Cristo. Non io, non noi, non il nostro impegno, ma Cristo è la nostra presunzione. Solo perché al centro c’è l’amore di Dio fattosi carne (perché se l’amore di Dio non fosse divenuto tra noi, come avrebbe potuto essere al centro?), l’amore desiderato e atteso è possibile e gli sposi possono baldanzosamente dire l’uno all’altro e ai presenti che a distanza li osservano: “ti amo per tutta la vita”.
Basta, tuttavia, che Cristo sia al centro in un’occasione? No, è evidente.
Amare Dio, nella concretezza delle scelte che gli sposi faranno, vuol dire lodarlo, benedirlo, adorarlo, servirlo. L’appuntamento domenicale che Dio ci riserva è la possibilità che Lui regala loro per attingere alla sorgente del suo amore: il sacrifico della croce di Gesù. E’, al medesimo tempo, la possibilità che la Chiesa, nelle relazioni, nell’amicizia delle persone, nell’incontro con altre famiglie, regala alla nuova famiglia per sostenerla e circondarla della sua premura. E’, anche, per gli sposi, il regalo più bello che l’uno all’altro, possono farsi: la possibilità, cioè, di fare memoria di ciò accadde un giorno.
La famiglia che custodisce la Messa nella propria vita, riceverà dalla Messa la custodia della propria vocazione sponsale.

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