La bufala dell’estensione dei diritti

omofobiaUno dei “leitmotiv” dominanti nella propaganda pro matrimonio “same-sex”[1] consiste nell’affermare che si tratterebbe di un’estensione di un diritto e non di togliere qualcosa a qualcuno.
Posta in questi termini, peraltro analoghi a quelli di un’altra diffusissima pseudo teoria, che io chiamo la “tesi dell’ininfluenza”[2], la questione sembrerebbe già risolta e parrebbero giustificate le accuse di omofobia, arretratezza culturale, bigottismo, etc. rivolte agli oppositori del matrimonio “per tutti”.

Peccato che a ben vedere la questione in questi termini non solo è mal posta, ma tradisce anche una precisa e consistente volontà di manipolazione dell’opinione pubblica, attraverso la diffusione di slogan ad alto impatto emotivo ma dallo scarso se non inesistente valore logico[3].
Logicamente, infatti, perché  si possa parlare in modo sensato di “estensione dei diritti” occorrerebbe che ci fossero effettivamente dei diritti da estendere, ovvero che qualcuno degli aventi diritto ne fosse effettivamente privato.  Ed è chiaro che non è questo il caso, in quanto il matrimonio “same sex” è vietato per tutti, non solo alle persone omosessuali[4]. In seconda battuta, è necessario che la natura stessa del diritto sia rispettata: occorre quindi che dalla estensione di un diritto al numero più ampio possibile di cittadini nessuno venga danneggiato o peggio privato di un suo diritto positivo già acquisito e socialmente riconosciuto o peggio ancora privato di un suo diritto naturale, in virtù del quale sono pensabili ed applicabili tutti gli altri diritti possibili[5]. Ed è chiaro che in questo caso estendere a tutti il diritto al matrimonio comporta la negazione di un diritto naturale già esistente: essendo infatti il matrimonio condizione indispensabile per accedere alla possibilità di adozione, diventa impossibile immaginare un matrimonio “same sex” che non leda il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre,  preferibilmente i propri genitori, e a non essere deprivato della figura patria o di quella materna al solo scopo di accontentare le pretese di due adulti dello stesso sesso[6].

Detto questo, c’è da ribadire che nel divieto del matrimonio “same sex” non c’è alcuna discriminazione nei riguardi delle persone omosessuali: questo tipo di unione non può essere “matrimoniale” nemmeno per due eterosessuali che per i motivi più diversi volessero accedervi (magari sulla base di una interesse economico o di un legame affettivo, o altro). Questo ci porta a riflettere sulla “ratio” stessa dell’istituto matrimoniale, che consiste nel proteggere e riconoscere socialmente la “forma” generale dell’alleanza uomo donna come unica in grado di procreare e di consentire in questo modo la prosecuzione della società tramite la generazione.
Da questo punto di vista il matrimonio appare non un diritto per pochi privilegiati, al quali tutti dovrebbero poter ambire senza alcuna discriminazione[7], ma piuttosto una forma di riconoscimento pubblico dalla quale derivano (o dovrebbero derivare) delle specifiche forme di protezione, di salvaguardia, di garanzia e di assistenza per i coniugi che si impegnano in questo patto pubblico e in questa sfida di preziosissimo ed imprescindibile valore sociale.

La contro-replica a questa definizione di matrimonio, basata sul concetto di “forma” generale dell’alleanza uomo-donna, l’unica in grado di procreare, consiste di solito nel far osservare che per gli sposi non esiste alcun obbligo di procreazione e d’altra parte l’istituto è previsto anche per chi figli non può averne (si pensi al caso di due ottantenni che intendono sposarsi, etc).
Questa obiezione è però molto debole.
Logicamente, infatti, il fatto che il matrimonio non obblighi alla procreazione non comporta che venga meno la funzione sociale per cui è stato istituito: quella di proteggere marito e moglie, come si è detto: i coniugi, tutti i coniugi, in quanto è dalla loro pubblica promessa che deriva la costituzione della cellula sociale più idonea (e più rispettosa) per la generazione di una vita umana: quella in cui la persona si vede iscritta fin dal concepimento in una relazione non fluida ma strutturata e strutturante, che vede presenti il padre e la madre, ovvero una famiglia completa. Il riconoscimento di questo vincolo ha quindi come oggetto – daccapo – la “forma generale” di quest’alleanza, in quanto forma universale maggiormente idonea per pretendere riconoscimento e protezioni socialmente condivise. Dunque non importa se qualche coppia di sposi decide di non avere figli, se non può averne per disfunzioni, sterilità, o per età avanzata. Il riconoscimento giuridico e sociale per uomo e donna che vogliono unirsi in quel patto viene infatti “a priori”, prima e non dopo la generazione di figli, in quanto da una parte ha lo scopo di rendere possibile, legittimare e proteggere la vita nascente fin dal concepimento, con il necessario rispetto per i coniugi e per quella libertà che l’atto generativo richiede, e dall’altra deve mettere i genitori nella condizione di operare una scelta del genere in modo non solo libero ma anche in qualche protetto e socialmente garantito: proprio in quanto riconoscimento della validità di questa forma universale con cui un uomo si lega ad una donna l’istituto matrimoniale non può discriminare quelle coppie che – a priori o a posteriori, per i motivi più vari – non generano figli.
La logica dell’estensione dei dritti a fondamento della pretesa di matrimonio per tutti è quindi fallace e provoca non solo lo snaturamento della funzione sociale del matrimonio, ma conduce più o meno direttamente ad una serie di aporie irrisolvibili. Se infatti ammettessimo che la funzione sociale del matrimonio non è più quella di garantire l’alleanza speciale tra uomo e donna, l’unica in grado di procreare, nella forma universale di famiglia naturale, allora dovremmo fondare il matrimonio su altro.

Ma su cosa?
Forse sul un sentimento? Se fosse così, dovremmo allora estenderlo anche al di là dell’amore. Non meno alto è infatti il sentimento dell’amicizia. Ma possiamo concedere il matrimonio agli amici? Chi ha concesso il matrimonio “same sex” è stato poi costretto a farlo[8]. Poi dovremmo estenderlo ad ogni tipo di amore, sempre “per non discriminare”[9]. Perché, a questo punto, non potrebbero sposarsi adulti consenzienti legati da rapporti di parentela? Che ne so: padri e figlie, nonni e nipoti, fratelli, etc.? Anche questo si sta puntualmente verificando[10]. Oppure perché mai non concedere matrimoni poligamici o poliandrici, basati sul consenso? Se basta l’amore, chi mi dice che non posso amare donne già sposate, o uomini o e donne insieme, in un numero indefinito (e indefinibile)? E con quali ragioni, una volta concesso il matrimonio poniamo a tre donne[11], tutte insieme, non dovremmo concedere loro l’adozione? Anche questo sembra un salto antropologico alle porte, là dove si è perso il senso della ragione e si è proceduto alla distruzione della famiglia naturale.
Potremmo andare avanti a lungo con esempi di questo tipo, ma non è evidentemente questo il punto. Il fatto è che una volta oscurato il senso originario ed evidente dell’istituto del matrimonio è molto, troppo facile parlare di diritti, pretendere che siano fatti i propri comodi, senza pensare alle conseguenze sociali che assurdità di questo genere comportano.

Speriamo che torni il tempo in cui tutti concordano sul verde delle foglie d’estate, prima che sia troppo tardi. Per tutti.

 

[1] Uso qui l’espressione di Nicla Vassallo, sulla cui posizione ho già espresso qualche critica: parte prima, parte seconda, parte terza.

[2] Ne avevo già accennato qui: La tesi dell’ininfluenza.

[3] Di questo ne abbiamo già discusso sulle pagine di Notizie Pro Vita: Gender, slogan, diritti e libertà, parte prima e parte seconda.

[4] Ne avevamo già accennato qui: Matrimonio omosex, perché no, senza discriminare; e qui: Il matrimonio non è per tutti.

[5] Segnalo, sulla questione del diritto naturale, l’ottima sintesi di Giovanni Stelli: Il diritto naturale: non se ne può fare a meno.

[6] Rimando, a questo proposito, ai seguenti articoli: Famiglia “omogenitoriale” (o “omoparentale”) da tutelare?; E’ omofobia difendere i diritti dei bambini?; I bambini hanno diritto ad una famiglia vera; Diritti (?) LGBT , diritti dei bambini e diritti umani.

[7] A questo proposito segnalo: Tonino Cantelmi, Differenziare non è discriminare; Bufale Gender, cap. 1: “Gli omosessuali sono discriminati perché non possono sposarsi”; L’unione tra un uomo e donna è un bene per la società; e L’importanza della discriminazione.

[8] In Australia, infatti, due amici si sono sposati. Suscitando l’ira del mondo Lgbt.

[9] Impressionante a questo proposito l’idea dell’on. Sibilia: legalizzare i matrimoni di gruppo e tra uomini e bestie. Purché consenzienti, dice lui.

[10] Lascia a bocca aperta la notizia che si sia già verificato.

[11] Per le donne, vedi qui; per gli uomini, qui.

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