Dove vivono i politici che hanno votato il “divorzio breve”?

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Dove vivono i quasi quattrocento parlamentari che, alla Camera, l’altro giorno hanno votato definitivamente il “divorzio breve”? Non in Italia, non è possibile. Se vivessero qui saprebbero bene che invecchiamento e denatalità ci stanno ormai affossando, che da un lato siamo gente sempre meno giovane e, dall’altro, la popolazione italiana, di questo passo, «potrebbe ridursi nel 2099 a livelli compresi tra i 30 e i 40 milioni» (“Popolazione e Storia”, 2002;(2):105-122); soprattutto saprebbero, gli incoscienti onorevoli, che fra la diffusione del divorzio e calo dei matrimoni – come il demografo Roberto Volpi, vox clamantis in deserto, da anni segnala –, e fra calo dei matrimoni e culle vuote, il legame è chiaro: dunque saprebbero che, dopo aborto e divorzio old style, il “divorzio breve” sarà solo un altro passo verso il declino.

Magari l’intenzione, fra qualche anno, è quella di organizzare le campagne elettorali fra ospizi e cimiteri: in quel caso i tempi ridotti per porre fine a un matrimonio si collocano, senza dubbio, nella giusta direzione. Sorprende solo che, oltre a non sapere dove vivono, i nostri parlamentari ignorino pure la storia e non sappiano che, giusto qualche anno prima dei cinguettii virtuali del cattolico Renzi, a rallegrarsi per una «legislazione assolutamente libera sul divorzio» era un certo Lenin (1870-1924). Per varie ragioni, non ultime lo spopolamento e la frammentazione sociale, l’Unione sovietica fu qualche decennio più tardi costretta a ripensarci e, per sopravvivere, a scommettere proprio sulla famiglia. Ma l’Italia, in effetti, non è l’Urss: e da questo punto di vista è pure peggio, nel senso che per certi provvedimenti si esulta tutti insieme.

Provvedimenti per criticare i quali – urge sottolinearlo – non occorre consultare il Vangelo, ma solamente dati che descrivono al di là di ogni di ragionevole dubbio come la famiglia, non avendo equivalenti funzionali ed essendo per davvero la cellula della società, sia insostituibile e l’offuscamento di questa consapevolezza, comunque la si pensi, risulta letale. Per tanti, troppi anni il nostro Paese è campato grazie alle risorse religiose, familiari e demografiche della mitica Italietta del Dopoguerra, ma ora la benzina sta finendo e che fa la politica? Finge che il problema non esista. Tentenna. Anzi no, peggio: preme sull’acceleratore velocizzando il declino. Non è chiaro fino a quando la filastrocca dei “nuovi diritti” e dell’autodeterminazione assoluta tanto cara alla classe dirigente suonerà divertente. Speriamo solo che quando ci si sveglierà scoprendo che a destrutturare la famiglia si scherza col fuoco non sia troppo tardi.

giulianoguzzo.com

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