Intervista, Renzo Puccetti – Combattere l’aborto per difendere cosa c’è di buono

Conf.Aids_DirittiUmaniIn occasione della Giornata Mondiale dei Diritti Umani, il Movimento per la Vita di Trento ha organizzato per venerdì 5 dicembre una conferenza che vedrà come relatore il Dottor Renzo Puccetti, medico e docente di Bioetica presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, nonché autore di diversi libri, tra i quali il recentissimo Vita e morte a duello (Ed. Fede&Cultura).

Noi di Notizie ProVita lo abbiamo contattato per avere qualche anticipazione sui temi dell’incontro.

Dottor Puccetti, per prima cosa potrebbe spiegarci perché il diritto alla vita è catalogabile quale diritto fondamentale?
Perché senza vita non può esserci nessun altro diritto riconosciuto a una persona. Proviamo a fare un test: privato della vita, ciascuno di noi diventa un cadavere; lei conosce qualche cadavere che abbia potuto esercitare il diritto alle cure, alla libertà di pensiero, di espressione e di religione, o alla libera circolazione sul territorio? Per questo la vita è riconosciuta quale diritto primario, perché viene prima degli altri diritti e li rende possibili. È la vita che fonda l’intera trincea posta a difesa della dignità della persona.

Madre Teresa di Calcutta, nel corso della cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace nel 1989, affermò che “la pace oggi è minacciata dall’aborto”. Potrebbe spiegarci il senso di questa affermazione, soprattutto alla luce della portata sociale delle pratiche abortive?
In quell’occasione Madre Teresa aggiunse: se una madre può uccidere il proprio figlio in grembo, che cosa mai impedirà a me di uccidere te e a te di uccidere me? L’aborto è la quintessenza del male nella misura in cui viola il principio cardine della nostra civiltà, ossia la pari dignità di ogni essere umano a prescindere da ogni attributo. La pari dignità si fonda su un fatto: l’appartenenza al genere umano. Fu questo principio che mosse al rifiuto morale della schiavitù e all’abolizione delle leggi schiaviste. Scardinato questo principio si può fare tutto, basta che ve ne sia un’utilità e i mezzi per imporsi. Se una donna può sopprimere il proprio figlio per interesse, che cosa potrebbe impedire che uno Stato, ricevuta la delega ad agire secondo le procedure politiche vigenti, si faccia interprete dell’interesse generale imponendo la soppressione delle persone socialmente improduttive, dei malati, dei soggetti che abbiano raggiunto una determinata età?

Oggigiorno le modalità per abortire sono molteplici e possono essere praticate nelle più diverse fasi della gravidanza, dai primi giorni fino agli ultimi mesi. Potrebbe fornirci un rapido quadro della situazione, soffermandosi soprattutto sulla cosiddetta “pillola del giorno dopo”?
La parola “aborto” deriva dal latino e significa “non nato”. Già da questo si capisce il soggetto al centro della questione sulla quale dobbiamo dare un giudizio morale: il concepito. Usare l’espressione “interruzione di gravidanza” è un modo insincero, intellettualmente disonesto, per svicolare dal confronto. Su questa linea di slealtà razionale si pone l’avere cambiato il concetto di “concepimento”, identificando con esso non più il momento della formazione di un nuovo essere vivente (momento che la scienza identifica nell’unione dello spermatozoo con la cellula uovo), ma in una fase successiva, con l’annidamento nell’utero materno dell’embrione formatosi ormai da 6-10 giorni. Questo cambiamento semantico, proposto per la prima volta nel 1959 in un convegno promosso da alcune organizzazioni abortiste americane, fu rapidamente accolto dalle organizzazioni per il controllo delle nascite affinché la soppressione dell’embrione prima dell’annidamento nell’utero, un vero e proprio cripto-aborto, divenisse socialmente accettabile chiamando anche questa pratica “contraccezione”.
Abbiamo strumenti contraccettivi, come la spirale, che indiscutibilmente esercitano in parte il proprio effetto con un meccanismo cripto-abortivo agendo sull’endometrio, la mucosa interna dell’utero deputata ad accogliere l’embrione. Vi è poi la possibilità che anche la pillola estroprogestinica (assunta 21 o 24 giorni al mese) possa agire in un modo analogo quando fallisce l’azione antiovulatoria: fallimento che si ha nell’1-2% dei cicli, attraverso l’atrofia indotta dell’endometrio. Vi sono quindi le pillole post-coitali, da prendere in un’unica assunzione dopo il rapporto sessuale. La “pillola del giorno dopo” è costituita da un progestinico, il levonorgestrel. Che essa possa agire con un meccanismo cripto-abortivo è un sospetto che ha serio fondamento, dal momento che induce il blocco dell’ovulazione in una percentuale molto bassa dei casi (in uno degli studi più significativi in merito gli autori hanno registrato l’ovulazione nell’80% di casi ma, nonostante questo, non si è verificata nessuna gravidanza). Com’è possibile una tale efficacia se il meccanismo è, come si dice, soltanto antiovulatorio? Poi esiste la “pillola dei cinque giorni dopo”, un anti-progestinico, l’ulipristal acetato, così detta perché la si può assumere entro cinque giorni dal rapporto sessuale. Anche in questo caso l’effetto antiovulatorio, seppure lievemente maggiore rispetto alla precedente molecole, non appare tale da giustificare interamente l’efficacia del prodotto. Si deve inoltre aggiungere che la “pillola dei cinque giorni dopo” esercita in modo acclarato effetti endometriali che ostacolano l’annidamento. Infine esiste la RU486, un altro anti-progestinico, che è una delle due molecole impiegate nell’aborto farmacologico entro le prime sette settimane di gestazione.
Questo è campionario in cui non vi è chimicamente soluzione di continuità tra contraccezione e aborto.

I bambini che vengono abortiti provano dolore?
Questa è una questione molto dibattuta: vi è chi parla di immaturità del sistema nervoso centrale che rende incapace il bambino di elaborare le sensazioni veicolate dalle fibre nervose come sensazione di dolore, mentre altri considerano questo un meccanismo che intensifica il dolore perché manca, prima di una certa epoca gestazionale, il sistema atto a modulare in senso inibitorio le sensazioni di dolore. Il neonatologo Carlo Bellieni ha condotto studi, pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche, che tendono ad abbassare l’epoca in cui il bambino comincia a provare dolore. Benché si tratti di un argomento empatico, lo ritengo comunque periferico, circostanziale, rispetto al giudizio morale. Se qualcuno mi uccidesse nel sonno con il monossido di carbonio, è certo che non avrei provato dolore, ma da questo non dedurrei che sopprimermi in questo modo sia stato un atto moralmente buono.

Negli ultimi tempi si è discusso molto del diritto all’obiezione di coscienza di medici e farmacisti. Qual è la situazione oggi in Italia, quali sono le motivazioni adottate da chi vorrebbe eliminare – o quantomeno limitare – questo diritto professionale e quali sono le prospettive per il futuro?
In Italia è legalmente riconosciuto per tutti gli operatori sanitari il diritto all’obiezione di coscienza all’aborto, alla fecondazione artificiale e alla sperimentazione animale. Stranamente chi vorrebbe l’abrogazione per le prime due non pronuncia mai una parola sulla terza, perché evidentemente si ritiene un male il rifiuto di ammazzare esseri viventi umani embrionali e fetali, ma non di uccidere esseri viventi non umani. Inoltre noi medici abbiamo anche il vantaggio di avere una protezione deontologica che ci riconosce il diritto di rifiutare prestazioni che violino la nostra coscienza.
Da più parti si sente dire che il diritto all’obiezione di coscienza viola l’autodeterminazione della donna e si sente affermare che un medico, per il solo fatto di fare il medico, dovrebbe essere pronto a eseguire tutte le prestazioni legalmente esigibili. Personalmente ho seri dubbi sulla bontà di tali argomentazioni. Un campione del liberalismo, J. Stuart Mills, sosteneva che ciascuno è sovrano della propria mente e del proprio corpo, quindi perché una donna dovrebbe poter essere sovrana sulla mia mente e sul mio corpo di un medico, obbligandolo a fare una cosa che lo ripugna? Avere un medico disposto ad alienare ad altri la propria coscienza può a prima vista sembrare vantaggioso per il paziente, ma alla lunga non è così, perché se un medico diventa capace di agire contro coscienza quando obbligato dal paziente, perché non dovrebbe farlo quando a obbligarmi è qualcun altro, per esempio lo Stato con la forza della legge? È già accaduto un evento storico simile: sul banco degli imputati a Norimberga finirono ventitré medici, sette dei quali furono condannati all’impiccagione e altri nove furono condannati a pene detentive, ma si deve ricordare che il 50% dei medici della Germania aveva la tessera del partito nazista. Accade in forma diversa oggi, quando noi medici, senza che siano informati i pazienti, subiamo la pressione a mettere in atto determinati comportamenti clinici sulla base di input che provengono dal settore amministrativo della sanità.
In realtà la lotta per il diritto all’obiezione di coscienza è una lotta per vivere da uomini liberi, e non da schiavi di uno Stato etico. La sentenza della Corte Suprema americana sul caso Hobby Lobby contro l’Obamacare infonde un briciolo di speranza, ma non dobbiamo illuderci: sarà una guerra con molte battaglie, condotta su un fronte molto vasto. Dall’estero abbiamo visto come l’ideologia gender stia minando la libertà di insegnanti, religiosi, artigiani, commercianti e degli stessi genitori nell’educazione dei figli. Quell’onda sta arrivando con velocità impressionante anche nel nostro Paese. Sarà una lotta furibonda per difendere l’evidenza sull’ideologia e sarà una lotta che dovrà vedere gli uomini di buona volontà unirsi anche politicamente per difendere un nucleo fondamentale: il buono che c’è in questa nostra bella terra.

Fonte: Notizie ProVita – http://www.notizieprovita.it/filosofia-e-morale/intervista-renzo-puccetti-combattere-laborto-per-difendere-cio-che-vi-e-di-buono/

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