Bonino for President

L’avvicinarsi delle dimissioni del presidente Napolitano (volontarie e nel momento – come ci ha tenuto a precisare – da lui scelto, ma comunque assai prossime) ha dato il via al toto-presidente. Un’attività che può apparire di mero divertimento popolar-giornalistico, ma che è tale solo in parte. In effetti dipende da chi li lancia e dall’eco che suscitano, ma molti nomi vengono gettati sul tavolo non a caso, ma per tastare il terreno e cominciare a costruire una base di consensi oppure (al momento più spesso) per metterli definitivamente fuori gioco. E’ quest’ultimo il caso di Amato, vecchio marpione dell’età craxiana, recordman delle pensioni d’oro e attuale giudice costituzionale, che per la sua anguillesca abilità di destreggiarsi fra destra e sinistra potrebbe coltivare qualche aspirazione, pur essendo uno dei principali responsabili dell’attuale crisi economica italiana (dopo tutto un altro responsabile della crisi, Carlo Azelio Ciampi, è già salito al Quirinale). Grazie alla sponsorizzazione di Berlusconi dovrebbe essere, nonostante il patto del Nazareno, definitivamente out.

Opposto il caso di Romano Prodi, che si mostra recalcitrante, ma a cui favore viene messa in ballo la riparazione per i 101 voti che gli sono stati fatti inopinatamente mancare quando la sua elezione sembrava sicura e avrebbe evitato il secondo mandato di Napolitano e, di conseguenza (così si sostiene), aperto la strada a una situazione politica che avrebbe risparmiato all’Italia i disastrosi governi Monti e Letta (e magari anche Renzi).

Le candidature di personaggi come il   musicista Muti e l’architetto Piano evidentemente sono state fatte balenare non perché a qualcuno importi qualcosa di Muti o di Piano, ma per saggiare il terreno in vista della nomina di un non-politico, di un rappresentante della cultura, della cosiddetta società civile (non si ancora chi).

Senza escludere che simili manovre approdino a risultati concreti ( i fattori in gioco sono tanti e vi è la mina vagante dei cinquestelle e relativi transfughi), è probabile che in buona parte si tratti di fumo negli occhi, per non attirare troppo l’attenzione sul risultato che si sta preparando e confezionando “là dove si puote ciò che si vuole” o quasi: il conferimento della presidenza della Repubblica a Emma Bonino. Non sono pochi a pensare che si tratti della soluzione vagheggiata dal presidente Napolitano, che, assieme a Mario Monti (un patrocinio questo che potrebbe risultare controproducente) ne sarebbe il massimo sponsor come lo fu della sua nomina a ministro degli esteri nel governo Letta.

Adesso a Monti non fa più caso nessuno, ma tanto Napolitano quanto la presidente della Camera Laura Boldrini sopperiscono, lasciando intendere che è ora di affidare ad una donna la più alta carica della Repubblica. Se si va in questa direzione e si rimane nel parterre della politica, né la Boldrini, né (altro nome gettato sul tavolo) Rosy Bindi (anche se non si può escludere che ci abbiano fatto un pensierino) hanno concrete possibilità di elezione. Dal momento che la Finocchiaro, di cui pure si parla, è troppo partiticamente contrassegnata, non resta che la Bonino. che, pur essendo in realtà la meno adeguata ad un ufficio   che dovrebbe garantire la massima rappresentatività dell’intero popolo italiano, gode invece, oltre che degli sponsor di cui si è detto,   di appoggi politici “bipartisan” e perfino di vasti consensi nell’opinione pubblica..

Difficile capire come questo sia possibile per un personaggio non solo decisamente schierato a favore di una delle pratiche tuttora più controverse e divisive per le coscienze, l’aborto, ma che a suo tempo si è vantata di avere praticato, direttamente o indirettamente, migliaia di aborti, quando in Italia l’aborto era ancora un delitto. Sembra addirittura dimenticata (nonostante gli sforzi di chi si adopera per ravvivare la debole memoria degli italiani) l’intervista rilasciata nel 1975 dalla Bonino al settimanale “Oggi” per descrivere le modalità delle proprie prestazioni abortive eseguite “con una pompa di bicicletta, un dilatatore di plastica e un vaso dentro cui si fa il vuoto e in cui finisce il contenuto dell’utero”. Il vaso utilizzato era “un barattolo da un chilo che aveva contenuto della marmellata” tanto “alle donne non importa nulla che io non usi un vaso acquistato in un negozio di sanitari, anzi è un buon motivo per farsi quattro risate“.

Contro l’eventualità di questa nomina Danilo Quinto, che la conosce bene essendo stato per un ventennio, fino al 2003, uno dei massimi dirigenti (con funzioni anche di tesoriere) del partito radicale,   ha pubblicato il libro “Emma Bonino. Dagli aborti al Quirinale?”. Dati i precedenti sembrerebbe un’ipotesi impossibile, ma Danilo Quinto e i pochi giornalisti che hanno ripreso il suo allarme conoscono troppo bene gli ingranaggi di potere che i radicali sono in grado di mettere in moto per non sapere che si tratta di un’eventualità tutt’altro che remota in un paese come l’Italia, dove parlamentari che si dicono cattolici a fine dicembre 2011 (in tempi, quindi, di ristrettezze economiche e spending review) hanno votato per il rinnovo della convenzione, che attribuisce a Radio radicale un finanziamento annuo (a carico dello Stato) di dieci milioni di euro.

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