La misteriosa forza delle martiri, di ieri e di oggi

Perpetua

Per quello che riesco, con enormi limiti, mi accade di seguire quello che accade oggi, nel mondo, ai cristiani. Che sia in atto una persecuzione inaudita, senza precedenti, è ormai sotto gli occhi di tutti. Sotto molti cieli, dai paesi islamici, a quelli comunisti, a quelli induisti, fede cristiana fa rima con martirio. Ben più che nei primi secoli del cristianesimo. Allora un terremoto, un incendio, una battaglia persa, potevano significare, per centinaia

di seguaci di Cristo, non solo il disprezzo, la derisione feroce, come in tempi tranquilli, ma anche la morte. Nei circhi, in pasto ai leoni, bruciati vivi per illuminare le notti. Riprendiamo in mano alcune di quelle storie lontane, e vediamo quanto assomigliano a quelle di oggi.

E’ interessante farlo, perché il passato rischia di diventare leggendario, e si finisce spesso per apparire inverosimile, eccessivo. Davvero le donne e i bambini cristiani morivano “serenamente”? Davvero affrontavano le peggiori umiliazioni e torture con una forza sovraumana? Sembra non vi sia dubbio. Perché le fonti antiche, che ce lo raccontano, non sono solo quelle cristiane, ma anche quelle pagane. Perché non mancano le pagine di autori pagani, magari stoici, che notano il disprezzo della morte dei cristiani e si interrogano sulla sua origine. Nell’armamentario culturale del cattolico medio di oggi, i santi sono spesso sostituiti dai sociologi, e san Francesco da Martin Luther King; i martiri, invece, sono addirittura imbarazzanti. Non erano forse dei fanatici? Morire per non tradire la propria fede, suvvia!
Eppure accadeva proprio questo, così, e a noi uomini di poca fede non resta che constatarlo. La giovane Vibia Perpetua, messa a morte un giorno di marzo del 203 d. C nell’anfiteatro di Cartagine, non è leggenda, ma storia, ben conosciuta e documentata. A lei e ai suoi quattro amici era stato chiesto di sacrificare all’imperatore. Il rifiuto costò la damnatio ad bestias. Dal diario di Perpetua apprendiamo le sue angosce, le sue visioni, i suoi incontri con il padre e con i familiari. Fu vestita prima da sacerdotessa pagana, poi, per spettacolarizzare ulteriormente la sua morte, fu avvolta in una rete trasparente perché il suo corpo fosse umiliato, come si faceva con le prostituite. Morì, in un giorno che abbiamo dimenticato, ma che rimane scolpito nel cielo.

asia bibi

Oggi possiamo vedere che Perpetua non è una storia passata. Che ancora oggi la forza dei deboli confonde la superbia dei forti. Ancora oggi Dio agisce nella storia. Asia Bibi è una donna del popolo, come Perpetua, di circa 40 anni, pakistana, che per la sua fede vive, oggi, in una cella, accusata falsamente di blasfemia. Che sente sulla sua pelle l’odio di tanti connazionali, che vorrebbero farla a pezzi con le loro mani. Che nella sua cella, con quell’odio sulla pelle, seguita a vivere la sua fede, e a redigere, direbbe Ungaretti, “lettere piene d’amore”. Due anni fa, tra le altre cose, scriveva: “Dio sa che è una sentenza ingiusta e che il mio unico delitto, in questo mio grande Paese che amo tanto, è di essere cattolica. Non so se queste parole usciranno da questa prigione. Se il Signore misericordioso vuole che ciò avvenga, chiedo di pregare per me e intercedere presso il presidente del mio bellissimo Paese affinché io possa recuperare la libertà e tornare dalla mia famiglia che mi manca tanto. Sono sposata con un uomo buono che si chiama Ashiq Masih. Abbiamo cinque figli, benedizione del cielo: un maschio, Imran, e quattro ragazze, Nasima, Isha, Sidra e la piccola Isham. Voglio soltanto tornare da loro, vedere il loro sorriso e riportare la serenità. Stanno soffrendo a causa mia, perché sanno che sono in prigione senza giustizia. E temono per la mia vita”.

meriam

 

Come Perpetua, come Asia Bibi, c’è anche Meriam, una donna nera sudanese, incinta, condannata a morte per la fede nel gennaio 2014. Durante la galera, le pressioni affinché si convertisse all’Islam, e la sua decisione di non abiurare, di resistere. Perché, gli hanno chiesto i giornalisti, dopo la sua liberazione, avvenuta grazie alle pressioni internazionali? “Non sono l’unica a soffrire per questo problema – ha risposto Meriam- in Sudan ci sono moltissime altre Meriam, e così pure nel mondo”. E alla domanda: “Credeva che l’avrebbero uccisa?”, la risposta sconcertante: “Fede significa vita. Se non si ha fede, non si è vivi” (Repubblica, 19/9/2014).
Non c’è nulla da fare, Cristo ha scelto la croce, per sé, e per i suoi. Lo aveva detto 2000 anni fa, e il fatto che la storia si ripeta, stupisce fino a un certo punto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Ma nello stesso discorso, aggiunge: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla…”. Con Lui, Perpetua, Asia Bibi, Meriam, possono sfidare il terrore, l’odio degli uomini, la morte. Senza odio. Con una serenità miracolosa, che lo spettatore può vedere, non comprendere. Il Foglio, 21/11/2014

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.