Il gioco delle bocce e la morte

bocce

Sono rapidi nel pensiero ma lenti nelle movenze, come felini pronti a colpire, il loro spazio di gioco è un rettangolo lungo di terra rossastra e compatta, levigata come la pelle di un bambino. I giocatori, sono uomini, padri e nonni, zii ed amici, volti conosciuti da tutti in paese.

Generalmente a vederli giocare trovi il solito gruppo di “esperti” che si guardano bene dal partecipare. Il loro gioco consiste nel commentare, nel suggerire, nel dire, sempre dopo, “io non avrei fatto così”.

In paese come nel mondo i ragazzi sono rapidi, pervasi da una strana ebetudine, vestono identici ma si credono diversi

Sanno di appartenere al mesto corso di un gregge che bela, imprecano e si muovono appesi ai telefonini, sono ossessionata dall’aspetto e dall’amore. Così li vedo, troppo spesso, i giovani, hanno voglia di eccessi, voglio di divorare la vita, si sentono immortali. C’è chi studia, chi lavora, ma tutti, hanno fame di oggi, quasi il domani non ci fosse, e forse, non hanno grandi torti. Cosa possono sperare? Il lavoro per i più è un miraggio e la vita affettiva sovente la misurano sul fallimento dei loro genitori.

Ma questa sera sono diversi, seduti su quella panca sembrano assorti, quasi come in una visione irreale. Osservando la saggia arte del gioco delle bocce sembrano privi di voce, o forse l’han persa durante una notte di eccessi. O forse.. è per gli amici…

Perchè non corrono per bar e balere sulle loro rumorose automobili dove ossessiva rimbomba la musica? Cosa fanno radunati e silenziosi davanti a questo gioco da vecchi?

Le bocce sono una passione, l’hanno sempre praticata gli adulti, gli anziani, i padri di famiglia, o i vecchi. Guardarli è come partecipare ad un rito; si muovono con passi leggeri sulla polvere mattone, lanciando con cura il boccino, osservandolo rotolare, ammirandolo mentre si ferma come il confine di un regno da avvicinare.

Giocano scrutandosi, fermandosi, meditando di traiettorie, compitando i passi di ogni rincorsa. Misurano a spanne, con l’occhio addestrato, i colpi degli avversari, meditano se sbocciare o aspettare.

Parte una boccia e tutti la seguono in religioso silenzio mentre rotola dolce verso il boccino, oltre la meta…prima di essa…chissà è solo questione di secondi.

Questa mattina il paese si è svegliato avvolto nel gelo di una notizia che è piombata dritta sui tetti delle case, le ha scoperchiate, lasciando ciascuno nudo e senza una parola.

Mattia e i suoi amici, tutti, sono piombati come un proiettile cieco in un burrone. Cinque di corpi ne hanno raccolti infondo alla scarpata. Corpi di ragazzini che giocavano al calcio, suonavano nella banda, facevano i catechisti. Figli di tutti, figli nostri.

Ecco cosa pensano i ragazzi muti mentre corrono le traiettorie delle sfere, pensano alla morte, così semplice, così ultimativa, così inutile davanti alla vita che sentono vibrare nel sangue. Vorrebbero allontanare il pensiero chiamando in causa i destino, ma non possono, quando muore chi ami senti solo il vuoto, ci fosse il destino. Questo sembrano dire i loro occhi identici.

Per un tempo, unico per ciascuno, quei ragazzi sono usciti dal gregge, forse non vi torneranno più, si faranno uomini saggi o perdigiorno impenitenti, forse saranno genitori preoccupate che scruteranno gli orologi di notte, in attesa. Perchè la vita si ripete.

Tutti però domani saranno in chiesa, e ci sarà la banda, e ci saranno i gagliardetti, e i costumi locali, qualcuno leggerà un ricordo, qualcuno dispererà perchè i caduti erano bravi ragazzi, perchè il destino, perchè Dio, se la prende anche con loro. Altri imprecheranno senza più lacrime perchè quel figlio, per quanto pazzo era carne del loro ventre.

Il giorno dopo il cielo sarà bellissimo, di un azzurro mai visto. Non resterà che il ricordo, negli anni, sempre più lieve, nell’attesa di una fine che a tutto restituisca un senso.

 

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