Card. Parolin le canta all’ONU

parolindi Sandro Magister

Nel discorso che ha rivolto il 29 settembre all’assemblea generale dell’ONU su quel “pezzo di guerra mondiale” (copyright Bergoglio) che insanguina l’Iraq e la Siria, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha accuratamente evitato le parole tabù “islam” e “musulmani” e ha pagato l’obbligatorio tributo al mantra che nega l’esistenza di quel conflitto di civiltà che è sotto gli occhi di tutti.

Ma per il resto ha detto chiaro ancora una volta qual è la posizione ufficiale della Chiesa di Roma – anche in aperta polemica con la “irresponsabile apatia” fin qui dimostrata dall’ONU – riguardo a ciò che ha definito “un fenomeno totalmente nuovo”: “l’esistenza di un’organizzazione terrorista che minaccia tutti gli Stati promettendo di scioglierli e di sostituirli con un governo mondiale pseudoreligioso”.

“Questa sfida – ha detto Parolin – dovrebbe spingere la comunità internazionale a promuovere una risposta unificata su due ambiti importanti”.

Il primo:

“Affrontare le origini culturali e politiche delle sfide contemporanee, riconoscendo il bisogno di strategie innovative per far fronte a questi problemi internazionali in cui i fattori culturali svolgono un ruolo fondamentale”.

Il secondo:

“Un ulteriore studio dell’adeguatezza del diritto internazionale oggi, vale a dire l’efficacia della sua attuazione da parte dei meccanismi utilizzati dalle Nazioni Unite per prevenire la guerra, fermare gli aggressori, proteggere le popolazioni e aiutare le vittime”.

A proposito di questo secondo ambito, il cardinale segretario di Stato ha così proseguito:

“La situazione attuale esige una comprensione più incisiva di questo diritto, prestando particolare attenzione alla ‘responsabilità di proteggere’. Di fatto, una delle caratteristiche del recente fenomeno terrorista è che ignora l’esistenza dello Stato e, di fatto, dell’intero ordine internazionale. Il terrorismo non mira solo a portare cambiamenti ai governi, a danneggiare le strutture economiche o a commettere semplicemente dei crimini. Cerca di controllare direttamente aree all’interno di uno o più Paesi, di imporre le proprie leggi, che sono distinte e opposte rispetto a quelle dello Stato sovrano. Inoltre mina e rifiuta ogni sistema giuridico esistente, cercando di imporre il dominio sulle coscienze e il controllo completo sulle persone”.

E ancora:

“La natura globale di questo fenomeno, che non conosce confini, è esattamente la ragione per cui il quadro del diritto internazionale offre l’unica via percorribile per affrontare questa sfida urgente. […] Le nuove forme di terrorismo compiono azioni militari su vasta scala. Non riescono ad essere contenute da un solo Stato, e intendono esplicitamente dichiarare guerra alla comunità internazionale. In tal senso, abbiamo a che fare con un comportamento criminale non previsto dalla configurazione giuridica della Carta delle Nazioni Unite. Ciononostante, bisogna riconoscere che le norme vigenti per la prevenzione della guerra e l’intervento del Consiglio di Sicurezza sono ugualmente applicabili, su basi diverse, nel caso di una guerra provocata da un ‘attore non statale’. […] Considerato che le nuove forme di terrorismo sono ‘transnazionali’, esse non rientrano più nelle competenze delle forze di sicurezza di un solo Stato: riguardano i territori di diversi Stati. Pertanto, saranno necessarie le forze combinate di diverse nazioni per garantire la difesa di cittadini disarmati”.

In quanto rappresentante della Santa Sede, il cardinale ha così concluso, non risparmiando un severo rimprovero alla stessa ONU:

“Come soggetto rappresentante una comunità religiosa mondiale che abbraccia diverse nazioni, culture ed etnicità, la Santa Sede spera seriamente che la comunità internazionale si assuma la responsabilità riflettendo sui mezzi migliori per fermare ogni aggressione ed evitare il perpetrarsi di ingiustizie nuove e ancor più gravi. […] È deludente che finora la comunità internazionale sia stata caratterizzata da voci contraddittorie e perfino dal silenzio riguardo ai conflitti in Siria, in Medio Oriente e in Ucraina. […] Talvolta tale apatia è sinonimo di irresponsabilità. È questo il caso oggi, quando un’unione di Stati, creata con l’obiettivo fondamentale di salvare le generazioni dall’orrore della guerra che porta dolore indicibile all’umanità (cfr. Preambolo della Carta delle Nazioni Unite, 1), resta passiva dinanzi alle ostilità subite da popolazioni indifese”.

 fonte: Settimo Cielo

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Autore: Libertà e Persona

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