Fecondazione, quello che si tace della scienza

eterologadi Carlo Bellieni (Fonte: www.avvenire.it)

Con l’apertura alla fecondazione eterologa, cadono i paletti messi dalla legge 40. Ma la scienza ci dice che tanta smania nel chiedere maglie più larghe nella fecondazione in vitro (FIV) non è giustificata, e per questo, per un corretto diritto alla salute, bisognerà riformulare la legge. Vediamo alcuni punti taciuti che possono aiutare il legislatore.

Joelle Balaisch-Allart dirige la ginecologia di Sevres in Francia; sulla Revue du Praticiendi gennaio mette in guardia contro la faciloneria con cui si parla di FIV: «Contrariamente a quel che si pensa, la FIV non permette di lottare contro il crollo della fertilità. Non è la bacchetta magica che ripara l’invecchiamento delle ovaie».
Infatti, il successo della FIV cala catastroficamente tanto maggiore è l’età della donna; ma non sarà che magnificare tanto la FIV senza limiti di età farà invece il servizio opposto, illudendo di poter rimandare all’infinito il concepimento («tanto c’è la FIV»)?
Ma il problema non è solo qui. Proprio in questi giorni esce un lungo studio sui rischi neurologici per i bambini nati da FIV, pubblicato sulla rivista Seminars in Fetal and Neonatal Medicine: fortunatamente i rischi riguardano un piccolo numero di nati, ma questo è un altro indizio per dire che non è tutto oro quel che luccica. Lo afferma anche lo stesso laicissimo comitato nazionale francese di Bioetica, che chiedeva nel 2002 di ridurre il ricorso alla tecnica fecondatoria detta ICSI, per i rischi che mostravano i bambini nati ricorrendo ad essa, così come il prestigioso centro di bioetica Hastings Center metteva in guardia per bilanciare i diritti dei genitori con quelli dei concepiti.
Perché a mettere le mani nel “blue print” della cellula, cioè nel suo DNA, si rischia: del DNA, della sua fragilità e della sua funzione sappiamo ancora poco, nonostante tanti proclami. Così si esprimeva il professor Enzo Tiezzi, chimico di fama e noto per le sue posizioni molto critiche sulla fecondazione in vitro. La base della sua critica non era morale, ma biologica: la vita umana al suo esordio è così fragile e sensibile ai cambiamenti dell’ambiente che basta poco per alterare qualcosa. La recente evoluzione della ricerca non ha fatto che confermare le previsioni di Tiezzi. Si tratta dell’epigenetica, una nuova branca della genetica, che studia da vicino non più solo il DNA ma il modo in cui il DNA “parla”. E l’epigenetica è il modo in cui l’ambiente influisce sul DNA: un ambiente diverso da quello uterino come un terreno in una provetta potrebbe influenzare in maniera diversa il DNA dell’embrione. Così come potrebbe influenzarlo l’asportazione di cellule per fare la diagnosi preimpianto. Alcuni esempi in questo campo ci faranno riflettere.
È stato pubblicato nel 2013 un riassunto della letteratura scientifica in questo campo sulla rivista <+CORSIVOIDEE_BAND>Journal of Human Genetics<+TONDOIDEE_BAND>, scritto dal genetista giapponese Takashi Kohda. Lo studioso ricorda che i bambini nati da fecondazione in vitro avranno alte possibilità di essere sani. Tuttavia, «resta la possibilità di alterazioni epigenetiche indotte da queste tecniche». E continua: «Il codice epigenetico negli stadi precoci dello sviluppo può essere alterato da stimoli ambientali; perciò gli effetti della manipolazione embrionale e delle tecniche di coltura sull’embrione sono un argomento importante per l’epigenetica». L’autore riporta gli studi in cui si mostra un aumento di alcune malattie rare proprio legate all’alterazione dell’imprinting epigenetico nei nati da FIV, così come mostra che sia il terreno di coltura dell’embrione oppure come il tempo che l’embrione vi trascorre possono esercitare azioni sull’espressione epigenetica del DNA. E allora, domandiamo, è davvero prudente allargare le maglie della fecondazione a tecniche alcune delle quali ancor più invasive delle altre?

Un paragrafo dell’articolo è dedicato infatti alla tecnica ICSI (in cui lo spermatozoo viene fatto entrare con un ago nell’ovulo), in cui l’autore riporta studi del suo gruppo ove mostra che l’espressione del DNA è differente nella ICSI se paragonata a «animali concepiti con tecnica FIV normale o naturalmente».
È questa una delle ragioni per la presenza di alcune rare ma reali differenze riportate in letteratura riguardo la salute perinatale dei nati da FIV? Perché poi si vede che i rischi della FIV non sono limitati né ai casi di nascita di gemelli, né alle tecniche più invasive. Già nel 2002 usciva un articolo critico su Science intitolato «semi di dubbio» sui rischi cui la FIV espone i concepiti. Dopo quel lavoro, che illustrava alcuni dati emersi in quell’anno, molti si sono susseguiti, e la conclusione è un richiamo alla prudenza.
Lo scorso febbraio su Human Reproduction è stato riportato che il terreno di coltura in cui si fa nascere l’embrione influisce sul peso alla nascita. Ma la rivista Fertility and Sterility, nel marzo 2013, ha una serie di articoli proprio su epigenetica e FIV. Gli autori, Vermeiden e Bernardus, vi concludono che le malattie legate all’epigenetica sono più frequenti nei nati da FIV; mentre altri due ricercatori, Haji e Haaf, spiegano che «quando si considera la sicurezza della FIV da un punto di vista epigenetico, la nostra principale preoccupazione non deve essere se aumentano rare malattie dell’imprinting, ma essere consapevoli di un legame tra l’interferenza con la riprogrammazione epigenetica e lo sviluppo di alcune malattie dell’adulto». Anche sulla rivista Lancet e sull’American Journal of Human Genetics vennero riportati esempi che mostrerebbero il legame tra malattie dell’imprinting genomico e fecondazione in vitro.

L’epigenetica non è la sola chiave dei rischi della FIV, perché ad essa si deve aggiungere anche il rischio dato dalla frequente gemellarità, dalla prematurità, dalla possibilità maggiore di trasmettere anomalie che sarebbero bloccate da una sterilità dei genitori.
Ricordiamo allora questo termine: epigenetica; perché è una delle chiavi della biologia dei prossimi decenni, per spiegare alcuni rischi per la salute. Ma contemporaneamente ricordiamo un’altra parola-chiave: prevenzione. Già, perché le cronache annotano «le file davanti alle cliniche per accedere alla fecondazione in vitro» che sarebbe stato più prudente evitare per scongiurare i suddetti rischi, lavorando sulla prevenzione della sterilità; ma la parola prevenzione in un mondo miope sembra un’illustre sconosciuta.
Tra tanto parlare di “diritto al figlio” si scorda che il primo diritto è la salute, e dunque la tutela della fertilità; ma forse è più modaiolo fingere di salvare la situazione quando è troppo tardi; la prevenzione della sterilità – oggi possibile ma non attuata – non fa così tanta audience quanto le corse alle ultime tecniche di uteri in affitto, di analisi dell’embrione, tutte azioni che seppur controllate manipolano in maniera insolita l’embrione. Insomma, viene prima la prevenzione e dopo, solo dopo, la corsa ai ripari, ma spesso sembra che questa consequenzialità sia invertita; il legislatore che metterà mano alla regolazione della fecondazione deve integrare le aperture alla FIV con una tutela della salute fatta di informazione dei rischi e soprattutto di reale prevenzione della sterilità.
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Autore: Libertà e Persona

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