Le bufale di Ivan Scalfarotto

Ivan Scalfarotto, vice presidente del Pd, è relatore della legge sulla cosidetta omofobia; legge che, per sua esplicita ammissione, prepara il riconoscimento dei matrimoni gay.

Alla Camera, il 6 giugno 2013, a giustificazione della sua proposta di legge, accusata di incostituzionalità, perchè lesiva del diritto di opinione, Scalfarotto rispose cercando di far leva non sul diritto, ma sull’emozione: raccontò di due suicidi, quello di Matthew Sheparde quello del “ragazzo dai pantaloni rosa”, dovuti entrambi, a suo dire, all’omofobia

(http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/html/2013/06/06/02/indiceComunic.htm).

Quasi cinque mesi dopo possiamo dire che, ancora una volta, si è mentito.

Il sucidio di Matthew Sheparde è qui raccontato da Gianfranco Amato sulla Nuova Bussola:

 

Matthew Shepard

Quattro mesi fa, uno dei più autorevoli e accreditati istituti americani d’indagine demoscopica, il Pew Research Center di Washington (l’attuale presidente è Allan Murray ex vicedirettore del Wall Street Journal) ha pubblicato uno studio intitolato “A Global Divide On Homosexuality” contenente i risultati di un sondaggio sull’atteggiamento verso l’omosessualità nelle principali aree geografiche del mondo. Il dato davvero interessante è che l’Italia, secondo quello studio, si colloca nella top ten, tra le dieci nazioni più gay friendly a livello mondiale, con il 74 per cento della popolazione che dichiara la propria non ostilità all’omosessualità, ed un 18 per cento che, invece, professa la propria contrarietà. Il nostro Paese si colloca un gradino sotto la liberalissima Gran Bretagna (76% a favore e 18% contro), anch’essa appena sotto la laicissima Francia (77% a favore e 22%).

La percentuale italiana è esattamente opposta a quella russa che, con il 74 per cento della popolazione ostile all’omosessualità e solo il 16% tollerante, si conquista la maglia nera d’Europa. Quanto poi il clima italiano sia davvero gay friendly almeno in politica, lo dimostra anche un dato incontrovertibile. Nel mezzogiorno del nostro Paese, che l’immaginario collettivo dipinge come una terra culturalmente arretrata e sacca della più becera omofobia, ben due Presidenti delle due più importanti regioni, la Sicilia e la Puglia, sono omosessuali dichiarati e pubblicamente conviventi con i rispettivi partner. La circostanza, com’è noto, non ha impedito loro una brillante carriera culminata con l’elezione diretta da parte dei cittadini.

Davvero si fatica a rinvenire quel clima persecutorio e discriminatorio che viene agitato solo da una campagna d’opinione intrisa di falsità e mistificazione. E quanto sia pericolosa la falsità e la mistificazione in questa delicata materia lo dimostra il caso di Matthew Shepard, il giovane brutalmente ucciso nell’ottobre 1998 e divenuto, grazie a quella tragica fine, icona del movimento omosessualista internazionale. L’idea che fece il giro del mondo, infatti, fu che Shepard fosse stato torturato dai suoi assassini perché omosessuale. Le modalità crudeli del suo omicidio – fu legato ad un cancello nella linda cittadina di Laramie, nel Wyoming – furono addirittura paragonate alla passione di Gesù Cristo. Nel giro di pochi giorni da quel tragico fatto, Matthew Shepard divenne l’emblema dei movimenti per i diritti gay. Un editoriale del New York Times lo propose come icona dell’omosessualismo, avendone ravvisato tutti i requisiti: era giovane, bello ed innocente. Quell’immagine era troppo perfetta e troppo comoda per poter essere offuscata dai sospetti che legavano il giovane al mondo della droga, e dai dubbi sollevati dagli stessi investigatori dell’epoca che il movente dell’omicidio non fosse in realtà legato all’omofobia.

Dal due ottobre scorso, è disponibile il libro inchiesta sulla vicenda di Shepard scritto dal giornalista omosessuale Stephen Jimenez intitolato “The Book of Matt”, nel quale vengono finalmente svelati i retroscena di quell’oscuro omicidio. Jimenez, affascinato dal mito di Matthew Shepard, si recò a Laramie nel 2000 con l’intento di raccogliere alcune interviste, utili per la sceneggiatura di un film che avrebbe dovuto rendere omaggio al suo eroe. Quasi subito, però, lo stesso Jimenez si rese conto che i fatti da lui raccolti nell’indagine sembravano sempre più contraddire l’idea che Shepard fosse stato ucciso a causa del suo orientamento sessuale. A quel punto l’onestà intellettuale e l’indubbia professionalità del giornalista prevalsero sul pregiudizio ideologico. Così, dopo un’indagine durata tredici anni (viaggiando in più di venti stati degli USA e intervistando un centinaio di fonti), Jimenez ha avuto il coraggio di dare alle stampe “The Book of Matt”, nel quale ricostruisce un’identità di Shepard che i suoi concittadini conoscevano bene, e che mal si concilia con l’aurea di innocenza artatamente creatagli dall’abile macchina mediatica omosessualista. Si scopre, tra l’altro, che Matthew Shepard era seriamente convolto nel torbido ambiente della droga che girava a Laramie, al punto da arrivare lui stesso a improvvisarsi occasionale spacciatore, ed emerge, soprattutto, il fatto che – al contrario della versione ufficiale di quanto accaduto – egli conoscesse i suoi assassini, con i quali aveva avuto persino rapporti sessuali. Nel libro Jimenez arriva a ricostruire anche quello che egli ritiene sia stato il vero movente dell’omicidio: Shepard era in possesso di una scorta di metanfetamine che i suoi assassini volevano sottrargli. Uno degli omicidi, Aaron McKinney, era, peraltro, da cinque giorni sotto effetto di anfetamine, e per questo motivo in quel tipico stato di eccitazione maniacale che determina un comportamento violento e aggressivo.

Su questo mito, oggi infranto, si è abilmente imbastita una delle più incredibili, potenti ed efficaci campagne della propaganda omosessualista. Alcuni esempi possono servire a dimostrarlo. Coretta Scott King, vedova di Martin Luther King, scrisse a Judy Shepard, madre del ragazzo ucciso, esprimendo il proprio cordoglio e la speranza che i diritti civili possano includere, in futuro, i diritti di gay e lesbiche. L’attrice Ellen DeGeneres presenziò ad un servizio commemorativo su Shepard a Washington, dove affermò che il proprio coming out avvenuto poco prima dell’attacco era stato per «evitare che questo tipo di cose accadessero». Sono stati prodotti ben tre film sulla storia di Shepard: Anatomy of a Hate Crime (2001), The Laramie Project (2002), basato sul dramma teatrale che porta lo stesso nome, e The Matthew Shepard Story (2002). Due anni fa, nel 2011, il visual artist Antonello Morsillo dedicò a Shepard un quadro su tela raffigurandolo come un angelo all’interno della mostra “Svestiti di carne – I martiri del pensiero”, presso il Caffè letterario di Roma, accanto alle figure di Pier Paolo Pasolini, Ipazia, Giordano Bruno, Martin Luther King e altre. Allo stesso Shepard sono state dedicate ben diciassette canzoni, anche da parte di rock star del calibro del cantante inglese Elton John.

Il caso Shepard spinse il presidente Bill Clinton a rinnovare i tentativi di estendere la legge federale in materia di crimini per pregiudizio includendo individui gay, lesbiche e disabili. Questi tentativi sono stati fermati, nel 1999, dalla maggioranza repubblicana della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America.

Successivamente, durante l’Amministrazione di Barack Obama, e fortemente volute dallo stesso Presidente, la normativa anti omofobia viene riproposta e definitivamente approvata dalla maggioranza democratica di Camera e Senato nell’ottobre del 2009, attraverso il Matthew Shepard Act, la legge che porta il nome stesso del “martire” di Laramie.

Ecco cosa accade quando si legifera sull’onda emotiva di una campagna basata sulla propaganda, ovvero quell’attività che secondo la definizione ufficiale del vocabolario Treccani è costituita dal «complesso di notizie destituite di ogni fondamento, diffuse ad arte e per fini particolari».

 

Per il caso del “ragazzo dai pantaloni rosa”:

ROMA , 2 settembre 2013- Le indagini stanno per concludersi e a breve si procederà con l’archiviazione dell’omicidio di Andrea, il ragazzo con i pantaloni rosa. È giunta alle ultime battute l’inchiesta sul suicidio del ragazzo di 14 anni che nella notte tra il 7 e l’8 agosto scorso si è ucciso lanciandosi dal terrazzo del palazzo dove abita la sua famiglia. Le indagini disposte dalla Procura di Roma non hanno accertato situazioni di natura penale e di conseguenza già si prevede che l’archiviazione del fascicolo dell’ipotesi di reato contro ignoti di istigazione al suicidio possa essere archiviato entro breve tempo.  Gli investigatori sulla base di una lettera che il ragazzo aveva indirizzato al padre prima di uccidersi hanno ascoltato nei giorni scorsi e stanno ora completando la loro attività gli amici della vittima senza tuttavia raccogliere elementi che per la sua presunta omosessualità il ragazzo possa essere stato spinto al suicidio. E nemmeno è emerso che proprio per questo sospetto egli possa essere stato preso di mira e sottoposto ad atti vessatori e di violenza da parte di altri ragazzi (http://www.leggo.it/NEWS/ROMA/andrea_gay_suicida_pantaloni_rosa/notizie/321257.shtml)

 

 

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