La setta e l’eresia

La Chiesa deve difendersi contro molti nemici, per cui è importante individuarli e sconfiggerli, e se non vi riesce, li deve sopportare. Essi tentano di mortificarla, emarginarla, distruggerla, falsificarla o sostituirla con un progetto di umanità sedicente migliore e capace di assicurare all’uomo felicità e potere.

Anche oggi come sempre la Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, cerca di individuare queste forze nemiche; ma a questo proposito dobbiamo notare un difetto che si è diffuso in questi ultimi decenni: la Chiesa in passato si è sempre preoccupata di difendersi contro le eresie. Viceversa oggi, benchè di fatto la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) continui a denunciare e correggere errori contro la fede, si è creato un costume generalizzato, anche tra i vescovi, per il quale non si parla mai di eresie, mossi da una specie di timore di essere offensivi o perché non ci si accorge delle eresie o perché si pensa che tutti siano nella verità anche se su posizioni contradditorie tra di loro, trattandosi solo di modi diversi di vedere la verità o perché si crede che solo al Magistero competa pronunciarsi sulle eresie.

Se però non si parla più di eresie, da alcuni decenni ha assunto una grande importanza il problema delle sette, e di ciò certamente c’è da compiacersi, perché è il segno che poi non siamo tutti addormentati in un ingenuo buonismo. Ma è chiaro come anche qui si eviti di parlare di eresie, mentre di fatto di ciò spesso si tratta.

Il che significa che questa reazione è del tutto insufficiente ad affrontare i più pericolosi ed insidiosi nemici della Chiesa, che restano sempre gli eretici. Tuttavia, ad essere precisi, la questione della sette effettivamente non tocca di per sé la questione formale dell’eresia, la quale, secondo la dottrina cattolica, è propriamente la negazione costante, ostinata, spocchiosa e volontaria di una verità di fede da parte di un cristiano battezzato. Quindi l’eretico è un nemico interno, mentre le sette non vogliono avere nulla a che fare con la Chiesa.

Le sette, infatti, almeno secondo l’accezione oggi corrente, sono associazioni superstiziose e fanatiche che si pongono in espressa alternativa al cristianesimo come vie più sicure di un’umanità felice, fortunata e libera dal male.

Sulle sette esiste oggi un’enorme letteratura con espressioni mediatiche, periodici, libri, convegni e associazioni di studio, counseling, direttive ecclesiastiche e centri di documentazione, fino agli interventi della forza pubblica, quando ci sono gli estremi dell’azione criminale.

Viceversa, sulle eresie non c’è praticamente nulla di serio, sistematico od organizzato, se non pressapochismo, vecchi e superati luoghi comuni, ironia di buontemponi o battute di spirito. Resta che praticamente solo la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) e pochi vescovi o teologi o superiori zelanti e coscienti della loro responsabilità, sfidando la diffamazione ed oggetto di derisione e disprezzo, continuano ad occuparsi di questo delicato e complesso aspetto del ministero pastorale, che ha il compito di proteggere il gregge dai lupi. Ma per alcuni pare o che i lupi non esistano più o che il gregge debba arrangiarsi da solo. E se si lamenta, viene sospettato di spirito preconciliare.

La mia opinione invece è che per esempio la CDF dovrebbe almeno decuplicare il personale, ovviamente nell’osservanza dell’attuale diritto canonico e non certo delle superate e terribili disposizioni del Concilio di Trento. Speriamo che Papa Francesco, nella sua attuale opera di riforma della Curia Romana, tenga conto anche di questa esigenza. Forse perderebbe di popolarità, ma son certo che poco gli importerebbe, pur di realizzare la sua missione di pastore universale della Chiesa. In realtà siamo in una situazione simile a quella di certi territori africani, dove esistono 3 medici per 10.000 abitanti.

La cosa umoristica, in questa situazione, è il fatto che alcuni sedicenti progressisti (evidentemente parte in causa), dai quali credono che dipenda il futuro della Chiesa, hanno la faccia tosta di seccarsi per gli interventi dei pochissimi coraggiosi, i quali accennano timidamente all’urgenza del problema.

Tra setta ed eresia c’è uno stretto rapporto, come si è sempre saputo, da cui l’espressione classica di “setta ereticale”. Certo non ogni falsità in campo religioso o morale è un’eresia. Per questo è vero che non si dà piena sovrapposizione del concetto di setta con quello di eresia. Si può benissimo trattare di setta senza toccare la questione formale dell’eresia.

Infatti propriamente l’eresia è una corruzione della dottrina cristiana [1], mentre le falsità contenute nelle sette come tali si oppongono al cristianesimo in modo radicale senz’alcun rapporto e in una ostilità dichiarata. L’eretico viceversa finge di essere cattolico, ma è un settario, se si intende per “setta” uno staccarsi dal cristianesimo per seguire (secta da sequor=divido, seguo) una dottrina nemica.

Oggi si considera il fenomeno della setta in modo troppo separato dal problema dell’eresia. E ciò non aiuta a capire e a rimediare né all’una né all’altra. Questo inconveniente è sorto con un certo modo di impostare il dialogo ecumenico ed interreligioso a seguito del Concilio Vaticano II, per cui certe formazioni cristiane non-cattoliche, che oggi hanno un gran peso nella società e in politica, un tempo designate polemicamente come “sette”, per esempio i valdesi, i luterani, i calvinisti, i giansenisti, gli anglicani, ora sono state elevate alla dignità di entità ed interlocutori ufficialmente riconosciuti da Roma, come fossero rappresentanze di paesi esteri, tanto che il Papa, nei suoi viaggi all’estero, si è sempre incontrato con questi fratelli separati e non con gli ufologi, i fondamentalisti, i figli dell’Acquario, gli spiritisti, gli astrologi, i cartomanti, gli alchimisti, i teosofi, i maghi, gli gnostici, i satanisti.

Queste categorie di persone, in una certa predicazione e letteratura correnti, è apertamente guardata con disprezzo ed esclusa dal dialogo, mentre con quelle formazioni cristiane che un tempo erano chiamate “sette ereticali”, si hanno tutti i riguardi, con un certo complesso di inferiorità, come se realizzassero un cristianesimo più moderno, senza chiedersi se per caso il padre della menzogna a causa loro non si stia insinuando anche tra le fila dei cattolici.

E’ chiaro che il mondo delle sette è più contrario alla Chiesa Cattolica che non quello delle Chiese o delle comunità non-cattoliche, dei protestanti, degli ortodossi, fino ad arrivare  agli ebrei e ai musulmani. Ma già l’induismo, il buddismo e la massoneria, nei confronti dei quali molti cattolici strizzano l’occhio, non sono forse anche queste delle sette pericolose?

Inoltre, se per “setta” intendiamo una formazione anticristiana autoreferenziale e fanatica, che intende soppiantare la Chiesa e la religione, perché il marxismo non dovrebbe essere annoverato nel numero delle sette? E perché non sono mai state definite una “setta” le Brigate Rosse? Perché non credono nelle streghe e negli oroscopi?

Per tirare le fila del discorso, direi che con tutto nostro ambiguo dialogo, che sembra aperto ma in realtà è molto selettivo, rischiamo di fare una discriminazione  irragionevole e preconcetta tra coloro che oggettivamente sono nemici della Chiesa, ossia tra i “buoni “ e i “cattivi”: da una parte quelli buoni, molto rispettabili, con i quali si dialoga in modo istituzionale per non dire reverenziale e solenne con ampli segni di reciproco affetto (gli eretici di ieri, ma che poi in realtà lo sono anche oggi) e le pecore nere, brutte e cattive, dove si è ipocritamente e sottobanco rifugiata la questione della verità, dell’ortodossia e della eresia (le cosiddette “sette”), oggetto di intransigente esecrazione e di facile condanna senza appello, quasi a prendersi uno scarico di coscienza.

La soluzione di questo dualismo irrazionale di compromesso tra verità ed eresia è data dalla necessità di guardare alle sette con occhio maggiormente critico ed oggettivo, senza scaricare solo su di esse l’orrore per l’eresia, ma applicando il detto di Cristo, sia pur con occhio aperto, di “non spezzare la canna fessa”, mentre occorre rimediare anche all’altra ipocrisia, per la quale noi cattolici, mal interpretando il dialogo con i fratelli separati, siamo diventati succubi delle loro eresie, anzichè aiutarli fraternamente a liberarsene, tenendo presente che forse, al di là della loro albagia e falsa sicurezza, non  aspettano altro.


[1] Per approfondire l’argomento, mi permetto di segnalare il mio libro La questione dell’eresia oggi, Edizioni Vivere In, Monopoli (Bari) 2008.

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