Con quale autorità?

di Palmiro Clerici

Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. “Onora tuo padre e tua madre”, è questo il primo comandamento associato ad una promessa: “perché tu sia felice e goda di una lunga vita sopra la terra”.   (Ef. 6,1-3)

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Stiamo navigando senza bussola in mare aperto. Abbiamo disimparato l’arte di educare, le norme comuni sono andate perdute e si è diffusa la convinzione che la scuola penserà a tutto, che i bambini cresceranno comunque, in un modo o nell’altro. Oggigiorno i giovani non vengono più allevati, ma si limitano a crescere. Sono circondati da educatori impersonali e onnipresenti, come la televisione o le lusinghe della moderna società dei consumi.

Le aspettative per il domani che dovrebbero spingerli ad agire con entusiasmo sono state scalzate dalle minacce che incombono sul loro futuro: la disoccupazione cronica, la mancanza di significato per l’esistenza determinata dalla perdita del senso religioso, l’egemonia del denaro come ultima istanza per dare senso alla vita. Chi non si aspetta nulla dall’avvenire non lavora su se stesso, non si impegna e non persegue alcun ideale.

Oggi si intende per libertà la disobbedienza, gettando così alle ortiche il concetto di obbedienza e sottomissione che sono condizione previa non solo della propria realizzazione, ma anche della funzionalità della stessa società. E non ci si limita soltanto a contestare, ma ci si vuole sostituire a chi comanda. I giovani, ma anche molti adulti, tendono a commettere un errore fondamentale, facendo coincidere la libertà con l’indipendenza. Pensano di essere liberi quando si rifiutano di obbedire ad un’autorità: tuttavia un uomo può dirsi realmente libero solo quando sa dare un senso alla sua libertà e uno scopo alla sua vita. La libertà non è una condizione, bensì il frutto tardivo di un lungo cammino che passa attraverso il domino di se stessi. Può percorrere con successo la via della libertà solo chi è disposto a sottomettersi, a esercitare la rinuncia, a raggiungere gradualmente l’autodisciplina e a trovare se stesso.

Le madri e i padri, anche quando ce la mettono tutta, sbagliano. Le madri e i padri non sono perfetti, e questa è una buona notizia che ci libera dall’ansia da prestazione. Ma la notizia ancora più bella è che noi non siamo i principali attori del processo educativo: il vero Padre è in cielo, ed è Lui che fa il lavoro vero nella storia della salvezza dei nostri figli. L’altra buona notizia è che per essere buoni genitori non serve aver imparato un metodo, aver appreso una buona tecnica, ma è necessario essere buone persone, e per essere buone persone è necessario essere buoni cristiani, lavorando su se stessi. A un certo punto, poi, bisogna assumersi il rischio educativo, avere il coraggio di lasciarli sperimentare, di stare in panchina senza entrare in campo, anche quando si vede chiaramente che i figli stanno sbagliando; col cuore sanguinante in mano, quando non c’è altro da fare che aspettare e pregare. (Costanza Miriano)

Oggi dobbiamo constatare il fallimento dei metodi educativi anti-autoritari e libertari che hanno caratterizzato la pedagogia dopo il sessantotto, il cui risultato è stato la creazione di una società di eterni adolescenti, determinando una generale regressione infantile dei comportamenti collettivi. La società del “pensiero debole” non riconosce infatti l’autorità, ma la più ambigua persuasione che consente al potere l’utilizzo di tutte le  capacità tecnologiche per influenzare i suoi sudditi. Quella che oggi viene definita come emergenza educativa  altro non è che l’impossibilità di comunicare che esiste tra il mondo degli adulti e quello dei giovani: si tratta in sostanza di una frattura immensa che nella società si è aperta tra le generazioni.

Ogni passaggio generazionale comporta infatti delle difficoltà di rapporto e di comprensione nella comunicazione dei valori fondamentali, che non possono essere vissuti alla stessa maniera da una generazione all’altra. Il problema e che le ultime generazioni adulte sono state espropriate della loro cultura, che è stata sbrigativamente sostituita dall’opinione comune massmediatica. Ma un giovane ha bisogno di sapere perché vive. Implicitamente o esplicitamente anche oggi le nuove generazioni ci chiedono delle ragioni per vivere, ma a queste domande zone sempre più vaste del mondo adulto non trovano contenuti per rispondere.

L’adulto, proprio perché ama i propri figli, non  dovrebbe sottrarsi alla  funzione di fornire loro indicazioni, norme, visioni del mondo, che si alimentano anche di fede. Un materiale di conoscenze e valori  che spesso i figli rifiuteranno, o dimenticheranno per lungo tempo nella loro vita. Un dono, soprattutto paterno, di cui hanno assoluto bisogno, per costruire nel confronto con esso, la propria sicurezza, e la propria libertà. (rif. CCC da 2214 a 2220)

Fonte:  filiaecclesiae.wordpress.com

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Autore: Libertà e Persona

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