L’eutanasia negli Usa: 2 Stati su 50 in settant’anni

L’avvocato Rita L. Marker – autrice del famoso libro “Deadly Compassion” (“Compassione Mortale”) e Direttore Esecutivo del Patients Rights Council (Ohio, USA) – ripercorre[1] i passi fatti dalle lobby americane per la legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito le quali, dopo molti anni, molte mutazioni, e molto denaro speso, sono riuscite a portare a casa il magro risultato dell’introduzione del suicidio assistito in soli due Stati USA su cinquanta.

Tutto inizia il 17 gennaio 1938, quando il New York Times riporta la notizia della nascita dell’“Euthanasia Society of America”, comunicando che, entro un anno, la Società sarebbe stata in grado di presentare una proposta per legalizzare “la soppressione indolore della vita umana con lo scopo di evitare inutili sofferenze”. Inizialmente le misure sarebbero state circoscritte all’eutanasia “volontaria”, ma la Società “confidava alla fine di legalizzare anche la messa a morte dei non-volontari grazie all’aiuto della scienza medica”, come precisato dal suo presidente Dottor Foster Kennedy che spingeva per “rendere legale l’eutanasia soprattutto per i nati difettosi destinati a rimanere tali, piuttosto che per le persone normali divenute miserevoli a causa di malattie incurabili”. I componenti della “Società Americana per l’Eutanasia” – scrive la Marker – avevano l’obiettivo dichiarato di diffondere informazioni alla popolazione, mediante tutti i mezzi leciti disponibili, circa la natura, il fine e l’esigenza dell’eutanasia, e di promuoverne l’adozione a livello mondiale.

La “Società per l’Eutanasia” fa pochi progressi fino al 1967 quando, grazie a due azioni decisive, le cose cambiano. La prima è la costituzione dell’“Euthanasia Educational Fund”, presto rinominato “Euthanasia Educational Council” (EEC), quale ramo esentasse di raccolta fondi del gruppo. La seconda è l’ideazione di un nuovo documento per “promuovere il dibattito sull’eutanasia” chiamato “Living Will” (“Testamento Biologico”).

La prima proposta legislativa per rendere il testamento biologico un documento giuridicamente vincolante viene presentata in Florida nel 1968 dal legislatore Walter Sackett. La proposta prevede la cessazione delle cure negli ospedali statali per le persone gravemente ritardate, ma, quando il San Francisco Examiner riporta le stime di Sackett, secondo le quali, con il passaggio del disegno di legge, “si sarebbero potuti risparmiare 5 miliardi di dollari nel prossimo mezzo secolo se ai mongoloidi a carico dello Stato fosse stato semplicemente consentito di morire di polmonite”, la “National Association for Retarded Children” approva una risoluzione, giurando che si sarebbe opposta ad esso e a qualsiasi altro disegno di legge analogo.

Giusto prima della clamorosa bocciatura della proposta di Sackett, l’organizzazione per l’eutanasia aveva consigliato di fare attenzione nell’evitare una dialettica troppo infuocata. Ad una conferenza dell’“Euthanasia Educational Council”, agli associati fu comunicata la necessità di “camminare prima di poter correre” e, perciò, di rimandare gli altri progetti “fino a quando la popolazione generale non abbia accettato il fatto che l’uomo ha il diritto inalienabile di morire”. Da questo momento l’importanza delle parole e la necessità di lasciar cadere un’immagine radicale diventano fondamentali: anche per l’eutanasia arriva il momento di indossare un abito più sofisticato, fatto di parole più soft e rassicuranti per l’opinione pubblica, il momento di chiamare in aiuto il linguaggio politically correct.

 

Il primo effetto dell’entrata in campo del politically correct è l’epurazione della parola “eutanasia” da entrambe le denominazioni sociali. Nel 1975 l’“Euthanasia Society of America” cambia il nome in “Society for the Right to Die” (“Società per il Diritto di Morire”) e, nel 1979, l’“Euthanasia Educational Council” si trasforma in “Concern for Dying”. Nello stesso anno le due Società troncano la loro stretta relazione a causa di contrasti interni, ed entrambe iniziano rapidamente ad acquisire un ruolo di punta, mentre vanno avanti a promuovere sia il suicidio assistito che l’eutanasia.

Subito dopo il cambio di ragione sociale, “Concern for Dying” mette in campo la strategia del “caso pietoso” invitando, durante una conferenza a San Francisco, il giornalista Derek Humphry, all’epoca ancora poco conosciuto, per parlare del suo libro appena pubblicato “Jean’s Way” (“Il cammino/alla maniera di Jean”), in cui racconta la morte per auto-eutanasia della sua prima moglie, malata di cancro, dopo aver assunto una dose letale di farmaci, che erano riusciti a procurarsi grazie ad un medico compiacente; e il giornalista svedese Berit Hedeby, a capo dell’organizzazione “Sweden’s right-to-die”, che era stato presente alla morte di un uomo di mezza età, malato di sclerosi multipla, avvenuta tramite iniezione di un’overdose letale.

Nel 1990, dieci anni dopo la separazione, la “Society for the Right to Die” e “Concern for Dying” annunciano la loro fusione sotto il nuovo nome di “National Council for Death and Dying” che, giusto sei mesi dopo, viene ufficialmente cambiato in “Choice in Dying”. In una lettera inviata ai rispettivi sostenitori dalle due Società, l’operazione di riunificazione è presentata come la strada migliore da percorrere per poter rafforzare la loro missione.

Il nuovo nome preso dal gruppo – scrive la Marker – ammanta l’organizzazione di una maggiore attrattiva, ispirando una migliore gestione e controllo del dolore nel momento del fine vita. Vengono promossi nuovi dibattiti pubblici e “casi pietosi”, dove il suicidio assistito viene dipinto come mezzo per il controllo del dolore, e l’eutanasia infantile come una questione aperta da prendere in considerazione. Ad esempio, nel  1994 va in onda un dibattito sulla CNN tra Karen Kaplan, dirigente della “Choice in Dying” e Wesley J. Smith, rappresentante dell’“International Task Force” (che si batte contro eutanasia e suicidio assistito), incentrato sull’introduzione della legge sul suicidio assistito in Oregon, tramite la prescrizione di una dose letale di farmaci da parte dei medici, e il caso Latimer che si era appena concluso in Canada. Robert Latimer era stato riconosciuto colpevole di omicidio di secondo grado per aver ucciso la figlia dodicenne disabile, con il gas di scarico del proprio camion, dopo averla chiusa nella cabina del veicolo dove aveva collocato dei condotti collegati al tubo di scappamento. Nel corso del dibattito, la Kaplan – in perfetto stile politically correct – definisce la legge dell’Oregon come una semplice misura di controllo del dolore, affermando che essa “limita veramente l’intervento dei medici alla somministrazione di un farmaco che controllerà il dolore nel momento del fine vita, anche se questo può accelerare la morte”. Quando il moderatore del programma televisivo domanda alla Kaplan se questo controllo vale anche per i genitori nei confronti dei propri figli, come aveva fatto Robert Latimer, lei risponde: “Questa è un’importante questione di politica pubblica su cui è necessario riflettere”.

Nel 1996 la “Choice in Dying” si avvale, quale proprio portavoce alla televisione nazionale, di Samuel Klagsbrun, executive medical director ai Four Winds Hospitals, che si era costituito parte civile nella difficile causa contro la legge dello Stato di New York, che vieta il suicidio assistito. Klagsbrun afferma che, senza leggi che vietano il suicidio assistito, i medici sarebbero in grado di trattare le difficoltà e il dolore dei pazienti “con molti meno impedimenti”, e manifesta la necessità di instaurare un’alleanza tra medici e pazienti, consentendo una discussione onesta e una migliore gestione dei sintomi. Affermazioni ingannevoli come queste – scrive la Marker – hanno permesso alla “Choice in Dying” di presentare se stessa nei toni morbidi di un’associazione per i diritti dei malati e, nel corso degli anni, di riuscire ad ottenere una grande quantità di finanziamenti.

Arriva il momento di nuovi cambiamenti: l’associazione sposta la sede principale da New York a Washington DC e cambia ancora una volta la denominazione sociale. Alla fine del 1999 la Kaplan annuncia che con l’inizio del nuovo anno si sarebbe festeggiata la “nascita” di un’altra entità. “La festa per tutti noi continua – scrive in una lettera inviata ai soci -, Choice in Dying dà vita a un vibrante, nuovo movimento nell’arena del fine vita, Partnership for Caring: America’s Voices for the Dying”. Poi presenta ai soci della dismessa “Choice in Dying”, l’offerta di iscrizione gratuita per un anno nella neo nata Società, “per dimostrarvi la nostra gratitudine e ringraziarvi per l’interesse e il supporto costanti”. Tuttavia, osserva la Marker, dall’esame degli archivi fiscali, dei componenti, e dell’organico, era evidente che il “nuovo” gruppo non era altro che una continuazione dell’“Euthanasia Society of America” costituita negli anni Trenta.

Secondo le parole della Kaplan la “Choice in Dying” stava “transitando” nella “Partnership for Caring” o, secondo quanto dichiarato nel sito internet del gruppo, “evolvendo” nella nuova Società. In un’intervista telefonica del luglio 2000, la Kaplan disse che la vecchia Società era stata sciolta in marzo e tutti i suoi averi erano stati trasferiti alla “Partnership for Caring”. In realtà, nessuno scioglimento ha mai avuto luogo. Secondo il New York Department of Corporations, la “Choice in Dying” fu fusa con la “Partnership for Caring” il 14 marzo 2001. In sostanza, com’era già accaduto in passato, il gruppo non aveva fatto altro che prendere un nuovo nome, continuando nel frattempo a mantenere la stessa Direzione, gli stessi programmi, gli stessi soci, ecc.

Un’altra modifica del nome si prepara quando la “Partnership for Caring” riceve una donazione dalla “Robert Wood Johnson Foundation” (RWJF) per gestire il proprio programma “Last Acts” (“Ultimi Atti”). Un programma pluriennale e multimilionario che la RWJF aveva lanciato nel 1997. Il cambio di nome viene annunciato nel 2004, quando la “Partnership for Caring”, facendo riferimento alle sue origini come “organizzazione operativa da 66 anni”, comunica ufficialmente l’unione con il programma “Last Acts” e l’inizio ad operare con la nuova denominazione di “Last Acts Partnership”, facendo affidamento principalmente sul finanziamento della RWJF. Anche questa volta, scrive la Marker, la “con-fusione” fu annunciata dalla Kaplan ai propri aderenti con una lettera: “Cari amici”.

Il nuovo nome è davvero profetico visto che l’adesione a “Last Acts” si traduce di fatto nell’ultimo atto della Società. I guai per “Last Acts Partnership” iniziano ad affiorare pubblicamente intorno alla metà del 2004, quando il suo principale finanziatore, la RWJF, manifesta preoccupazione per le condizioni fiscali del gruppo, incluse “inspiegabili anomalie finanziarie”. Nell’ottobre 2004, John R. Lumpkin, della RWJF, scrive una lettera in cui annuncia la cessazione dell’attività di “Last Acts Partnership”, dopo aver valutato lo status finanziario, la struttura di gestione e la vitalità programmatica. Il sito web viene chiuso in dicembre, mentre in quello della “Partnership for Caring” appare il messaggio: “Partnership for Caring non è più operativa. Le notizie presenti sul sito sono solo informative”.

Sembra che – conclude la Marker – dopo 66 anni, numerosi cambi di nome, e milioni di dollari ricevuti e spesi, l’organizzazione nata come Società Americana per l’Eutanasia abbia cessato di esistere. Tuttavia, la corporazione non è ancora stata ufficialmente sciolta. Resta sempre da vedere se ritornerà sotto un nuovo nome.

L’“Euthanasia Society of America” – continua la Marker – non è l’unico ente in America ad aver promosso la “buona morte”. Anche se fondata oltre quarant’anni dopo, rientra nella campagna anche la “Hemlock Society”, il cui percorso rispecchia, per molti versi, quello della precorritrice, viste le numerose trasformazioni verificatesi nel corso degli anni, come spin-off (società che nascono da precedenti società), cambi di nome, aggiustamenti d’immagine, fusioni e, da ultimo, i dissidi.

Scrive la Marker che nel 1980 non vi è ancora alcuna presenza evidente che si occupi di sostenere l’eutanasia nella Costa Occidentale degli USA, ma questo panorama cambia quando, il 21 agosto 1980, Ann e Derek Humphry fondano la “Hemlock Society”. Gerald Larue, uno dei membri del primo consiglio, spiega che stava lavorando con diversi professionisti (terapisti e psicologi) “per discutere della formazione di consulenti preparati nell’aiutare coloro che stanno prendendo in considerazione la propria auto-liberazione [il suicidio]”, mentre Ann Humphry scrive che l’eutanasia doveva essere considerata un comportamento accettabile nel caso di patologie potenzialmente letali.

“Let Me Die Before I Wake” (“Lasciatemi morire prima di svegliarmi”) è il primo manuale per il suicidio della Hemlock, che consente al gruppo di collocarsi nella mappa nazionale per il diritto a morire. Nel 1982 la Società inizia ad avvalersi di un pubblicista professionale di Hollywood per portare il libro all’attenzione del pubblico e per promuovere apparizioni alla radio e in televisione dei portavoce della Hemlock. Le vendite del libro portano entrate economiche, mentre la pubblicità fa arrivare nuovi soci, donazioni e ancor più pubblicità, trasformando la Hemlock, da piccolo gruppo della West Coast, in un’organizzazione nazionale.

Nel 1986, durante il suo terzo convegno nazionale, la Società presenta la sua prima proposta per legalizzare il suicidio assistito e l’eutanasia, che chiama “Humane and Dignified Death Act” (HDDA) (“Legge per una morte umana e dignitosa”). L’HDDA  doveva essere un’iniziativa elettorale che emendasse la costituzione della California e permettesse l‘“aid-in-dying” (“aiuto-a-morire”), definito come “qualsiasi procedura medica che terminerà la vita di un paziente idoneo, velocemente, in modo indolore e umano”.

Nel discorso di apertura ai partecipanti alla conferenza, Derek Humphry spiega che la Hemlock aveva agevolato la nascita di un’altra organizzazione, chiamata “Americans Against Human Suffering” (AAHS) (“Americani contro la Sofferenza Umana”) con l’obiettivo di dare una spinta più forte a livello politico, e precisa che la Hemlock aveva elargito 50mila dollari per la nascita di questa nuova Società, nella quale aveva una rappresentanza in consiglio. Per mesi gli attivisti della Hemlock raccolgono le firme per il riconoscimento dell’iniziativa elettorale, e i portavoce della AAHS incontrano responsabili politici e organizzazioni professionali per accrescere il sostegno, ma gli sforzi non sono premiati, le firme raccolte per poter far partire il referendum popolare non bastano.

 

Dopo il fallimento dell’iniziativa in California, la Hemlock inizia a cercare un terreno più fertile e lo sguardo cade sull’Oregon. Nell’estate dell’‘88 trasferisce il quartier generale nazionale da Los Angeles a Eugene (Oregon) e subito dopo annuncia il suo progetto di punta: le iniziative “physician aid-in-dying” (“aiuto medico a morire”) in Oregon, Washington e California. Ralph Mero, presidente fondatore della filiale Hemlock di Washington, che in precedenza era stato nominato direttore della “Hemlock Society” della regione del Nord-est Pacifico, fu presto in grado di gestire l’iniziativa nello Stato di Washington.

Per la prima volta un provvedimento capitanato dalla Hemlock riesce ad andare al voto. Si tratta dell’“Humane and Dignified Death Act” già presentato in California, ma sulla scheda elettorale appare con un nuovo nome: “The Death with Dignity Act” (“Legge per la morte con dignità”). Se la legge fosse passata avrebbe legalizzato sia il suicidio assistito che l’eutanasia tramite iniezione letale, sotto la dicitura di “aiuto a morire”. Mentre il voto di novembre si avvicina Derek Humphry dichiara: “Il mondo sta guardando a ciò che sta avvenendo a Washington e, se non sono convinti di questo, allora penso che il prossimo anno segnerà il punto la California”. L’obiettivo era quello di cambiare la legge in tutta la nazione, grazie all’“effetto domino”.

(Derek Humphry)

Nell’aprile del 1991, la Hemlock aveva pubblicato Final Exit un libro in cui – aveva spiegato Humphry –: “Ti viene detto come, dove e quando uccidere te stesso o qualcun altro. Si rompe l’ultimo taboo. Segui le mie istruzioni per una morte perfetta, senza impicci, nessuna autopsia, nessun post-mortem”. Il grande successo riscosso dal libro era di buon auspicio per la vittoria nello Stato di Washington, così come indicavano anche i sondaggi, che mostravano una potenziale vittoria schiacciante. Ma quando, il 5 novembre 1991, i cittadini si recano alle urne per esprimere la propria preferenza, rifiutano di concedere ai medici il diritto di uccidere i loro malati. L’iniziativa 119, “Death with Dignity Act”, fallisce con il margine di 54% contro 46%.

L’anno seguente, un identico “Death with Dignity Act” appare sulla scheda elettorale della California come Proposta 161. La “Californians Against Human Suffering” (il nuovo nome dello spin off della Hemlock precedentemente chiamata “American Against Human Suffering”) coordina la campagna, ma, il 3 novembre 1992 anche gli elettori californiani respingono la proposta: 54 contro 46%, lo stesso margine della sconfitta subita l’anno prima a Washington.

Verso la fine del 1992 Derek Humphry rassegna le dimissioni dalla Hemlock, motivandole con il desiderio di essere libero da compiti amministrativi per poter dedicare tempo alla scrittura, a dibattiti pubblici, e per fare campagne in vista del cambiamento della legge. C’è tuttavia da rilevare che, nei mesi precedenti le dimissioni, erano maturate polemiche all’interno della Hemlock, circa  la morte per suicidio di Ann, la sua seconda moglie, e a proposito delle affermazioni secondo le quali egli aveva soffocato Jean, la sua prima moglie. Humphry conserva presso la Hemlock il titolo di “fondatore e consulente”, inoltre si identifica come vice presidente dell’“Americans for Death with Dignity” (l’ultimo nome assunto dal gruppo che, all’inizio si era chiamato “Americans Against Human Suffering” e poi “Californians Against Human Suffering”).

Lo stesso anno Humphry costituisce l’“Euthanasia Research and Guidance Organization” (ERGO), che richiama al suo interno gli attivisti della Hemlock delusi dal suo allontanamento. Sotto la bandiera della ERGO, Humphry istituisce in internet una mailing list per il diritto a morire, che serva come forum on-line per gli attivisti su eutanasia e suicidio assistito. La nuova missione del gruppo è “identificare e ricercare aspetti di suicidio medico-assistito ed eutanasia attiva volontaria per i malati terminali e educare la popolazione circa la complessità dell’assistenza al morire”. Uno dei primi eventi pubblici della ERGO è un seminario per insegnare a commettere suicidio utilizzando un sacchetto di plastica. Più tardi la ERGO divulga anche un opuscolo contenente le istruzioni passo per passo del metodo del sacchetto di plastica.

 

La sconfitta subita dalla Hemlock nel ‘91 nello Stato di Washington, porta alla nascita di ancora un altro gruppo per il diritto a morire: “Compassion in Dying” (CID). Il suo primo amministratore delegato, Ralph Mero (presidente fondatore della Hemlock di Washington), fa presente che la nascita della nuova organizzazione, quale “sviluppo del capitolo Hemlock di Washington”, è “fortemente voluta per espandere la sua missione” di offerta del suicidio assistito ai “casi meritevoli”. La CID viene fondata ufficialmente a Seattle nell’aprile 1993 e, molto presto, la piccola banda di attivisti guidata da Mero diviene nota in tutto il paese, come l’“l’impresa più controversa per il diritto a morire”, dopo che il medico patologo Jack Kevorkian inizia a prestarvi la sua attività. La CID è il primo gruppo ad ammettere pubblicamente l’offerta di assistenza al suicidio, confessando il coinvolgimento in 24 morti nei suoi primi tredici mesi di attività, Mero e la sua attività finiscono sbattuti in prima pagina, addirittura, sul New York Times Magazine.

La vasta eco riscossa da Mero sui media, cattura l’attenzione di Kathryn Tucker, avvocato di Perkins Coie, il più grande studio legale del Pacifico nord-occidentale. La Tucker, che aveva già dato il suo sostegno come principale consulente esterno durante il tentativo fallito di introdurre a Washington il “Death with Dignity Act”, contatta Mero e gli suggerisce che, piuttosto che esporre il gruppo ad una possibile condanna, sarebbe meglio per la CID contestare la costituzionalità della legge dello Stato di Washington che vieta il suicidio assistito. Vengono promosse due cause che sarebbero potute arrivare fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti, e che conducono la Tucker ad assumere un ruolo sempre più importante dentro la CID. Questo cambiamento di tattica, consente alla CID di assumere l’aura di un’organizzazione onesta che lavora nel rispetto della legge e, alla fine, porta all’espulsione di Mero.

La sfida della CID contro le leggi statali che vietano il suicidio assistito avviene quando in Oregon è in corso una campagna per legalizzare il suicidio assistito. La direzione della Hemlock è cambiata (Derek Humphry ha rassegnato le dimissioni), il nuovo presidente è diventato Sidney J. Rosoff (ex presidente del consiglio di amministrazione della “Society for the Right to Die” ovvero il nuovo nome assunto dalla pioniera “Euthanasia Society of America”!).

Grazie ad un approccio orientato verso organizzazioni mediche e legali, i due gruppi hanno cercato di ottenere un consenso più ampio tra la popolazione, tuttavia a livello di notorietà e di accettazione pubblica, la “Compassion in Dying” prevale sulla Hemlock, proprio grazie alla turbolenta vicenda che l’ha catapultata sui media, e al suo impegno nei casi giudiziari. Anche se la CID alla fine perderà tutte le cause, riuscirà comunque ad ottenere un successo enorme in termini di pubblicità e di raccolta fondi.

 

Gli eventi in corso in Oregon nel 1994, come pure le sfide legali della CID contro il divieto di suicidio assistito, promettono bene per i sostenitori di eutanasia e suicidio assistito: dopo anni di lavoro credono di essere finalmente pronti per il necessario grande salto. Così è: gli elettori approvano il “Death with Dignity Act”, facendo dell’Oregon – scrive la Marker – il primo e unico Stato a trasformare il reato di suicidio assistito in un trattamento medico.

La legge entra in vigore tre anni dopo (ottobre ‘97) e disciplina una particolare modalità di assistenza al suicidio, concedendo al malato incurabile, che si trovi allo stadio terminale di una malattia tale da provocargli uno stato di dolore e depressione persistenti, di ottenere una prescrizione letale di farmaci che dovrà, però, essere assunta in maniera assolutamente autonoma. Il malato deve essere maggiorenne e residente nello Stato dell’Oregon, deve ricevere informazioni adeguate e deve formulare richieste sia orali che scritte. Dopo queste formalità può passare all’attuazione del suicidio, assumendo con le proprie mani la dose letale, alla presenza di un medico e di due testimoni.

Da questo momento – osserva la Marker – lo Stato dell’Oregon è stato usato come manifesto per affermare che il suicidio assistito è una scelta personale che, quando legalizzato, è usato raramente e sotto linee guida attentamente controllate.

A quel punto – prosegue la Marker – i leaders del diritto a morire, erano certi che molto presto altri Stati avrebbero seguito le orme dell’Oregon, ma si sbagliavano. Stato dopo Stato, le iniziative elettorali e le proposte legislative vengono tutte respinte. Nel frattempo, sia la Hemlock che la CID, cercano di bruciare le tappe sforzandosi di costruire una maggiore accettazione pubblica. Nell’estate ‘96, Barbara Coombs Lee, che aveva preso il posto di Mero nel ruolo di direttore esecutivo e presidente della CID, trasferisce il quartier generale del gruppo in Oregon. La Coombs Lee aveva dato un aiuto importante nell’iniziativa elettorale dell’Oregon, dirigendo la campagna di raccolta firme ed assumendone il ruolo di portavoce principale. Sotto la sua direzione, i finanziamenti delle fondazioni permettono alla CID di diventare un’organizzazione nazionale, con filiali negli Stati di tutto il Paese, tra i quali: Alaska, California, Connecticut, Hawaii, Montana, New York, Oregon e Washington. Tra i suoi maggiori finanziatori ci sono l’“Open Society Institute” di George Soros, la “Gerbode Foundation” e la “Columbia Foundation”.

 

Nel frattempo la Hemlock ha, invece, perso soci e supporto finanziario, il gruppo decide così di reagire con il cambio dei vertici e con il rinnovo dell’immagine. Faye Girsh, attivista di lunga data della Hemlock, nonché membro del consiglio della ERGO, è nominata nuovo direttore esecutivo (più tardi ne diventerà il presidente). Nel gennaio ‘96, il quartier generale della società viene spostato a Denver, con l’obiettivo di “portare la Hemlock nel cuore dell’America, dove potrà essere più facilmente raggiungibile da parte delle filiali sparse in tutto il Paese”. Mentre il cambio di immagine si realizza con il ritorno della Hemlock alle proprie origini, cioè a quelle di un gruppo di attivisti disposto a superare i limiti.

(Jack Kevorkian)

Sotto la guida della Girsh, la Hemlock esprime ammirazione per Jack Kevorkian, il controverso patologo già collaboratore di Mero, definendo l’uccisione di Thomas Youk tramite iniezione letale per mano di Kevorkian “un coraggioso atto di compassione”, mentre Fred Richardson, durante la sua presidenza del consiglio di amministrazione della Hemlock, dichiara che Kevorkian aveva “praticato ciò che noi sosteniamo”. Il gruppo riacquista di nuovo credibilità, ricominciando a ricevere abbondanti donazioni da parte dei sostenitori di lunga data. Con l’intenzione di rifarsi dai fallimenti legislativi e dalla mancata diffusione della legge in stile Oregon anche in altri Stati, il gruppo lancia un nuovo e più attraente programma chiamato “Caring Friends” (“amici premurosi/che si prendono cura”). Secondo le parole della Girsh, il “Caring Friends” trae la sua ispirazione dallo spin-off vincente realizzato da Mero, quando fece evolvere la Hemlock di Washington nella più “pietosa” e “misericordiosa” “Compassion in Dying”.

Una signora dell’Arizona, che in seguito si uccise, provvede con una donazione di 40mila dollari per dare il via alla formazione di volontari in grado di agevolare le morti con il “Caring Friends”. Il primo corso di formazione si tiene a San Diego nel novembre ‘98, e già nel 2003, il programma ha più di cento volontari addestrati in diversi Stati e sta conducendo sessioni supplementari per incrementarne il numero. Per enfatizzare il perché il “Caring Friends” necessiti di più volontari, la Girsh non esita a mettere in campo il cosiddetto “caso strappalacrime”, speculando sulla tragica vicenda dei coniugi Morris e Estelle Spivack, una coppia di anziani della Florida, sposati da 42 anni, che si erano tolti la vita lanciandosi dal 17mo piano del loro condominio. Dopo aver citato la vicenda, la Girsh domanda: “Abbiamo bisogno di espandere il programma Caring Friends? Sì”, alludendo al fatto che – osserva la Marker -, con l’aiuto del “Caring Friends”, la loro morte sarebbe stata portata a termine in un modo più estetico. Rita Marker fa anche notare che, benché sempre più deboli, nessuno dei due Spivacks era malato terminale.

Ma, in che cosa consiste di preciso il programma “Caring Friends”? Il Dottor Richard MacDonald, direttore medico della Hemlock, ha reso note quali erano le pratiche “premurose” adottate dal programma “di cura agli amici”. All’inizio – ha raccontato – il programma usava i barbiturici ma, ben presto, per le persone sono diventati sempre più difficili da reperire, di conseguenza “ci siamo dovuti spostare verso l’uso di tecniche che usano sacchetti di plastica ed elio. Questo, eccezionalmente, è diventato un metodo accettabile per anticipare la morte”. Il metodo del sacchetto di plastica, e la sua facilità di applicazione per realizzare la morte, vengono propagandati dalla Hemlock anche tramite una pubblicazione, dove appaiono le seguenti indicazioni:

  • Un sacchetto di plastica e elio produce una “morte dolce, rapida e sicura”.
  • Il gas “si disperde facilmente ed è difficile da rintracciare in un cadavere”.
  • Durante il procedimento di morte “piccoli spasmi alle braccia e alle gambe” dovrebbero essere previsti.
  • Sarebbe meglio dire addio prima di mettersi la borsa in testa poiché, una volta che inizia il flusso del gas, “l’elio rende il suono della voce come quello di Paperino”.
  • “Sebbene possa essere utilizzato un grande sacchetto per arrosti, noi consigliamo la ‘Canadian Exit Bag for Helium’, che può essere reperita da…”.
  • “Se si utilizza un normale sacchetto di plastica, è necessario legare non troppo stretto intorno al collo un elastico o un collant”.

Durante una conferenza del 2003, il dottor MacDonald ha rivelato di essere stato presente “a più eventi di morte negli ultimi quattro anni, che in cinquant’anni di pratica medica”. Anche se non ha voluto dare il numero esatto, ha detto di essere stato presente a più di otto-cinque delle oltre 120 morti avvenute con il Caring Friends in un periodo di quattro anni. Poi ha affermato di sentirsi come “una specie di ostetrica nell’assicurare una dipartita in sicurezza e certa, e nel modo più tranquillo possibile” e ha aggiunto: “Voglio dirvi quale privilegio sia accompagnare ad una morte accelerata”. La Girsh, MacDonald e la coordinatrice del “Caring Friends” saranno espulsi dalla Società alla fine del 2004, quando si verificherà la più grande frammentazione del gruppo, un vero e proprio terremoto interno che produrrà scissioni, spin off, fusioni e nuovi cambi di nome.

 

Il programma di rinnovamento della Hemlock, intrapreso dal 2001, volto a rafforzare l’organizzazione, prevede anche una nuova denominazione sociale: intorno alla metà del 2003, il nome che la Hemlock aveva usato per ben 23 anni, viene ufficialmente cambiato in “End-of-Life Choice” (EOL Choice) (“Scelta di fine-vita”) con lo slogan rassicurante di “Dignity-Compassion-Control”. Contemporaneamente viene anche lanciato il “Piano Nazionale di Advocacy”. Incluso in questo piano vi è il completamento di un’immagine più “delicata”, sullo stile della legge dell’Oregon, che ponga l’accento sul controllo del dolore. E viene, altresì, reso noto il piano che prevede la costituzione di gruppi con nomi del tipo: “Medici per la morte con dignità”, “Infermieri per la morte con dignità” e “Ecclesiastici per la morte con dignità”, affinché i “nemici della scelta” non possano più affermare che tutti i medici, gli infermieri e gli esponenti del clero si oppongono al suicidio assistito.

La “EOL Choice” si concentra su quelli che definisce come i suoi “due pilastri”: il Caring Friends Department (inteso nel senso di “servizio clienti”), e la Government Relations Priorities (per promuovere leggi che permettano il suicidio assistito). Paul A. Spiers viene eletto nuovo presidente e David Brand viene nominato amministratore delegato.

Nel frattempo, la “EOL Choice” (nuova Hemlock) e la “Compassion di Dying” (nata nel ‘91 dalla Hemlock di Washington) iniziano ad avviare colloqui seri per esaminare la possibilità di una fusione tra i due gruppi che, nel giro di un anno, si realizza. Dalla fusione delle due organizzazioni nasce la nuova “Compassion and Choices” (“Compassione e scelte”). Il responsabile della comunicazione della “EOL Choice” spiega che il “servizio clienti” doveva essere migliorato e che tutti i volontari attualmente in servizio nella CID o nella EOL avrebbero partecipato insieme ad una nuova formazione, per far sì che ciascuno si “addestri nella metodologia dell’altro”. Mentre Peter Forchheimer di Atlanta, ricorda ai soci che il miliardario Peter Lewis, della Progressive Insurance Company, aveva rivelato che l’unificazione dei due gruppi per il diritto a morire avrebbe probabilmente portato maggiori donazioni, perché rappresentava un modello di business più promettente. Claire Simons, una portavoce della CID, afferma che la fusione avrebbe rafforzato il movimento nazionale per il diritto a morire e avrebbe contribuito a calamitare più attenzione verso la necessità del suicidio assistito. “Abbiamo bisogno di un altro Stato”, disse, riferendosi al fatto che, dopo il passaggio nel 1994 della legge in Oregon, nessun altro Stato aveva approvato il suicidio assistito.

La fusione, che è stata presentata anche come “unificazione”, viene annunciata anche in un post su internet, in cui si asserisce che la nuova “Compassion and Choices” si impegna a continuare i servizi ai soci e a coloro i quali “cercano scelte equilibrate e umane per la fine della vita”, e si precisa l’intenzione di “perseguire con forza riforme legislative importanti, promuovere la cura del dolore, far diventare realtà le direttive anticipate [l’altro nome del testamento biologico], e legalizzare l’aiuto medico a morire [il suicidio medico-assistito]”.

Ma le cose vanno diversamente: invece di rafforzare la missione, la “riunificazione” della vecchia Hemlock dà il via a un’epidemia di uscite, scioglimenti, scissioni, cambi di nome e nuovi gruppi. Il malcontento per l’incombente fusione porta la filiale di “EOL Choice” dell’Oklahoma a sciogliersi. La Hemlock di Berkeley, in California, cambia il nome in “Socrates Society”, mentre anche altri soci e leaders di filiali si chiamano fuori dalla nuova Società nata con la fusione. L’esodo più brusco è tuttavia quello del fondatore storico, Derek Humphry, che nel novembre 2004 si scaglia contro il consiglio e la direzione per cattivo uso dei fondi della Hemlock/EOL-Choice. In un messaggio intitolato “Due milioni spesi in un anno” scrive: “I profitti annuali congiunti della Hemlock Foundation e della End-of-Life Choices mostrano che, nel 2003, la loro posizione finanziaria ammontava complessivamente a 5.025.346 dollari. La stessa posizione alla fine del loro esercizio finanziario (giugno 2004) era di 3.061.673 dollari… L’affitto pagato per l’ufficio di Denver nell’esercizio chiuso a giugno 2004 era di 90.469 dollari. Nel loro nuovo ufficio di lusso, il prossimo anno, l’affitto sarà di 182.798 dollari. Ora avete una ragione sul perché ho cancellato la mia condizione di socio a vita all’inizio di quest’anno, per protestare contro questo uso incauto di denaro pubblico. A mio parere, l’entrata, a partire dal 2000, di donazioni enormi da parte dei soci di vecchia data della Hemlock, ha allontanato e distorto la Hemlock dalla sua vera missione – aiutare le persone nel loro fine-vita – in un business mal gestito come quello. C’è allora da meravigliarsi della ‘frantumazione’ che sta avvenendo?”.

 

Oltre alle filiali della Hemlock che chiudono e a quelle che decidono di andare avanti per conto proprio, la frantumazione porta anche alla nascita, il 16 settembre 2004, di un altro nuovo gruppo, la “Final Exit Network”, formata dai soci della ex Hemlock/EOL Choice che non volevano rimanere nella neo nata “Compassion and Choice”. Da parte sua, quest’ultima è ben determinata ad andare avanti, alla fine del 2004 il gruppo sta mettendo a punto una serie di battaglie, inclusi i tentativi di legalizzare il suicidio assistito in California, Hawaii, Vermont e Arizona.

La “Final Exit Network” addestra le sue prime quindici “Exit Guides” nel novembre 2004 al St. Louis Marriott Airport Hotel, dove il direttore sanitario, dottor Larry Egbert, spiega ai tirocinanti le linee e i principi del programma “Exit Guides” e, avvalendosi di una “Exit Bag” mostra “il metodo dell’inalazione di gas elio che noi raccomandiamo”. Egbert non è certo un principiante, poiché, prima di lasciare la “EOL Choice”, è stato uno dei volontari del “Caring Friends” con una partecipazione a circa 50 morti, la maggior parte delle quali avvenute con l’uso del gas. Nel suo rapporto di fine anno, la “Final Exit” annuncia: “Abbiamo portato a termine il nostro primo caso”, quindi fa notare con orgoglio che la mole di lavoro è in crescita, e che la Rete possiede già “17 potenziali casi che hanno sottoscritto la loro futura Uscita”. In base alle sue politiche, coloro che cercano assistenza “non devono essere malati terminali per poter beneficiare del programma Exit Guide”. Oltre al programma di “Uscita”, la Rete “Final Exit” ha anche un settore dedicato alla ricerca, impegnato a patrocinare gli sforzi volti a trovare vie migliori per l’“auto-liberazione”. Come parte di questo impegno, il gruppo ha inviato fondi al famoso attivista australiano, Dottor Philip Nitschke, un’autentica celebrità tra i circoli del diritto a morire.

 

Nota la Marker, che nel panorama americano per il diritto a morire sono attivi anche altri gruppi. Uno di essi è il “Death with Dignity National Center” (DDNC), ovvero il quinto nome assunto dal gruppo nato dal primo spin off della Hemlock. In origine si era chiamato “Americans Against Human Suffering” (l’organizzazione nata intorno al 1986 dalla Hemlock con l’obiettivo di spingere con maggiore incisività a livello politico), poi il nome era mutato in “Californians Against Human Suffering” che, a sua volta, era cambiato in “Americans for Death with Dignity”, e poi in “Death with Dignity Education Center”, per arrivare, infine, a prendere la denominazione di “Death with Dignity National Center”. Il DDNC è stato il destinatario di abbondanti sovvenzioni da parte di fondazioni, tra le quali l’“Open Society Institute” di George Soros e la “Gerbode Foundation”.

Vi è poi l’“Oregon Death with Dignity Legal Defense and Education Center” (ODWD), conosciuto in origine con il nome di “Oregon Right-to-Die”: il gruppo che aveva guidato la campagna in Oregon, per l’approvazione della legge sul suicidio assistito. Verso la metà del 2003, la base di Portland dell’ODWD unisce le forze fondendosi con il DDNC. Scott Swenson, capo dell’ODWD, annuncia che, dopo la fusione, un nuovo “Oregon Death with Dignity Political Action Fund” si sarebbe concentrato sulla raccolta fondi e sulla promozione in altri Stati di leggi in stile Oregon, a partire da Hawaii e Vermont. Swenson assume il timone dell’organizzazione unificata (sotto il nome di DDNC), avente tre uffici (Washington DC, Portland, Oregon) e un consiglio composto da membri provenienti da entrambi i gruppi, e dichiara: “Questo è il passo successivo nella costruzione del movimento. Per un po’ siamo stati sulla difensiva, adesso è ora di giocare in attacco”.

All’inizio del 2004, il DDNC annuncia un ambizioso piano nazionale di sensibilizzazione, con speciali eventi a Washington DC e Oregon “quale vigoroso sostegno in altri Stati che stanno tentando di replicare il modello DWD [Death with Dignity]”, tuttavia, verso la fine dello stesso anno, il gruppo è già in fase di ridimensionamento. Il suo ufficio di Washington DC viene collegato alle vittime del 2004 del diritto a morire, a metà dicembre Swenson comunica la sua uscita dal movimento e annuncia che l’ufficio sarebbe stato chiuso il 7 gennaio 2005. Nel comunicato si specifica anche che la sede di Portland avrebbe continuato “a fare il suo importante lavoro di difesa dall’abrogazione, della legge sul suicidio assistito dell’Oregon”.

Dopo 66 anni, e dopo aver usato molti nomi e approcci diversi – conclude la Marker – le organizzazioni per l’eutanasia degli USA, possono indicare solo l’Oregon, come unico Stato dove il loro obiettivo è stato raggiunto. Un attivista del diritto a morire l’ha espresso sinteticamente quando ha scritto: “Sembra che i nostri sforzi politici non abbiano ottenuto molto, eccetto che spendere un sacco di soldi”. Tuttavia – aggiunge la Marker – coloro che cercano di trasformare i reati di suicidio assistito e di eutanasia in trattamenti medici, hanno l’agenda impegnata, non permetteranno certo che i fallimenti passati li dissuadano dal proseguire con rinnovato vigore.

 

La Marker non si è sbagliata, infatti, quattro anni dopo, anche lo Stato di Washington ha introdotto il “Death with Dignity Act” nella sua legislazione, consentendo ai malati terminali, che desiderano porre fine alla loro vita, di richiedere dosi letali di farmaci ai medici. Il referendum popolare del 4 novembre 2008 ha approvato l’Iniziativa 1000 – modellata sulla legge dell’Oregon – con un margine di 1.715.219 voti a favore, pari al 57,82%, contro 1.251.255 (42,18%) contrari. A differenza dell’Iniziativa 119, presentata e respinta 17 anni prima, il testo entrato in vigore il 6 marzo 2009, prevede che il malato debba essere in grado di autosomministrarsi i farmaci, ovvero di darsi la morte con le sue proprie mani. Altri vincoli per accedere alla “buona morte” previsti dalla legge, sono la maggiore età, la capacità di intendere e di volere ed un’aspettativa di vita non superiore ai 6 mesi. Sono inoltre necessarie due richieste orali, a distanza di 15 giorni l’una dall’altra, e una richiesta scritta con la presenza di almeno due testimoni.

La campagna che ha portato all’approvazione è stata condotta da una coalizione composta dall’ex governatore di Washington, Booth Gardner, dai sostenitori dell’“aid-in-dying” dell’Oregon, dal “Death with Dignity National Center” (DDNC), dalla “Compassion and Choice” nazionale, e dalle “Compassion and Choice” di Washington e Oregon.

 

Montana e Vermont

 

Negli Usa ci sono altri due Stati che successivamente hanno introdotto il suicidio assistito, omettendo però di interpellare l’opinione pubblica con consultazioni popolari, come è stato fatto in Oregon e a Washington, si tratta del Montana e del Vermont. Nel primo caso il suicidio assistito è stato introdotto tramite l’iniziativa di un giudice e l’interpretazione “creativa” di una legge già esistente, mentre nel secondo caso è il frutto di una deliberazione parlamentare.

Per quanto riguarda lo Stato del Montana, sebbene la costituzione vieti espressamente l’eutanasia, il suicidio assistito è riuscito lo stesso ad entrare in vigore, grazie ad un pronunciamento giudiziale su un “caso pietoso” promosso in tribunale. Si tratta della richiesta “Baxter contro Montana”, presentata da un malato di cancro in fase terminale, assieme a quattro medici e alla “Compassion and Choice”. La richiesta è stata accolta dalla Corte distrettuale il 6 dicembre 2008, con un pronunciamento di legittimità di suicidio assistito, in quanto pratica rientrante nell’ambito dei diritti di privacy e dignità umana. “I diritti costituzionali di privacy e dignità umana – ha affermato il giudice – comprendono, nel loro insieme, il diritto di un paziente malato terminale a morire con dignità”. Dopo il ricorso del Procuratore Generale del Montana, il caso è approdato alla Corte Suprema la quale, un anno dopo, pur non confermando espressamente la costituzionalità, ha sentenziato che, anche se la Costituzione dello Stato non garantisce un diritto al suicidio assistito, non v’è nulla “nelle leggi del Montana che lasci intendere che l’assistenza medica alla morte sia contro l’ordine pubblico”.

Un problema di ordine pubblico si ravvisa quando si determina una cruenta rottura della pace e della quiete pubbliche, cosa che, in questo caso, il giudice ha ritenuto non ci fosse, visto che non è il medico a procurare attivamente la morte del paziente, ma è quest’ultimo a somministrarsi in maniera autonoma la dose letale. Una sentenza che, in parole povere, apre di fatto al suicidio assistito, consentendo ai malati di utilizzare la controversa procedura, e ai medici, che prescriveranno i farmaci ed assisteranno il paziente in maniera non attiva, di godere dell’impunità.

L’avvocato Wesley J. Smith, commentando la sentenza ha dichiarato[2]: “I giudici stanno diventando troppo arroganti per il nostro bene in quanto nazione. Strappi culturali e cambiamenti del diritto e della morale non dovrebbero essere decisi in maniera antidemocratica tramite la promozione della propria ideologia da parte di un giudice, falsando e distorcendo termini costituzionali, per far intendere cose che non dicevano quando sono stati approvati”.

Invece, il 14 maggio 2013, con una maggioranza risicata di 75 voti a favore contro 65, il parlamento del Vermont, piccolo stato rurale del New England, ha approvato il disegno di legge sul suicidio assistito tramite prescrizione di farmaci letali ai malati terminali con non più di sei mesi di vita. L’“End of Life Choice Bill” (“Legge sulla scelta di fine vita), che il governatore democratico, già favorevole all’eutanasia, Peter Shumlin ha firmato il successivo 20 maggio, prevede il parere favorevole di due medici, la possibilità di eseguire un esame psichiatrico, l’attesa di 17 giorni prima che la prescrizione di fine vita possa essere utilizzata, e la non obbligatorietà del coinvolgimento dei familiari. La Coombs Lee, presidente della “Compassion and Choices”, nell’occasione ha dichiarato: “Su questo i legislatori del Vermont sono veramente all’avanguardia”.

 

CONCLUSIONI

 

I promotori della “dolce morte” degli Stati Uniti ci hanno provato in tutti i modi a legalizzare in maniera capillare eutanasia e suicidio assistito: non ci sono riusciti. In settant’anni hanno portato a casa solo due Stati USA su 50. E se a questi due Stati se ne sono poi aggiunti altri due, lo si deve solo al fatto che i cittadini di quei Paesi sono stati esautorati dalla decisione, che è invece stata presa da qualcun altro per tutti. In un caso, da un giudice che ha falsato una legge già esistente, e nell’altro caso, da 75 parlamentari, e con appena uno scarto di dieci voti da coloro che erano contrari.

I paladini USA della morte autodeterminata hanno ricevuto (e speso) milioni di dollari dalle solite Organizzazioni miliardarie potenti e prepotenti, mascherate da fondazioni benefiche, per ottenere quasi niente. Le hanno provate tutte, ma hanno clamorosamente fallito.

Hanno cercato di far leva sui diritti (Society for the Right to Die, Choice in Dying, End-of-Life Choice, Oregon Right-to-Die).

Hanno provato a puntare sulla compassione e sulla dignità (Partnership for Caring, Americans for Death with Dignity, Compassion in Dying, Compassion and Choices, Death with Dignity Education Center, Death with Dignity National Center, Oregon Death with Dignity Legal Defense and Education Center, Humane and Dignified Death Act, The Death with Dignity Act, programma Caring Friends).

Hanno tirato in ballo la cura medica del dolore e la lotta alla sofferenza (Physician aid-in-dying, Americans Against Human Suffering, Californians Against Human Suffering).

Ci hanno provato usando termini espliciti (Euthanasia Society of America, Euthanasia Educational Council, Last Acts Partnership, Final Exit Network) e, al contrario, facendo strabordante uso di correttezza politica.

Si sono avvalsi della cosiddetta strategia del “caso pietoso”, di testimonial famosi, di pubblicisti professionali di Hollywood, avvocati influenti e determinati. Si sono cuciti addosso l’aura di organizzazioni mediche e legali che lottano per i diritti dei malati.

Hanno avuto dalla loro parte le principali testate giornalistiche americane, hanno goduto di spazi radiofonici e televisivi, hanno fatto promozione via web, hanno pubblicato libri e manuali, organizzato conferenze, convegni, seminari,…

E hanno pure mentito falsando i sondaggi. A tale proposito, Rita Marker fa notare[3] che i sondaggi americani che davano la maggior parte dei cittadini o dei medici favorevoli alle pratiche eutanasiche erano stati abilmente manipolati, sia agendo sulla formulazione delle domande, sia omettendo volutamente termini come “eutanasia” e “suicidio assistito”, sia comunicando solo dati parziali. Per fare un esempio, se si andava a guardare con attenzione il sondaggio commissionato nel 2002 dalla “End-of-Life Choice”, in cui si affermava che “il 61% dei medici dell’Arizona era favorevole ad accelerare la morte dei pazienti malati terminali”, si poteva scoprire che dei 400 medici ai quali era stato inviato il questionario solo il 22% aveva risposto, e di questo 22% solo il 61% si era mostrato favorevole a facilitare la morte. In sostanza, su 400 medici, solo 88 avevano risposto al sondaggio, e di questi 88, quelli favorevoli erano solo 54. Per cui, la percentuale del 61% divulgata dal gruppo era palesemente falsa, ammontando in realtà ad un misero 13%. E comunque, se i sondaggi divulgati dai paladini dell’eutanasia fossero stati veritieri, ora sarebbero molti di più gli Stati americani ad aver introdotto le pratiche eutanasiche, i cittadini americani non si sarebbero certo fatti sfuggire le tante e ripetute ghiotte occasioni messe loro a disposizione dagli alfieri della morte accelerata, per far passare una pratica che, secondo costoro, la maggior parte degli americani voleva. Ma, di fronte alla realtà non c’è sondaggio che tenga, i ripetuti e schiaccianti fallimenti dei referendum popolari confutano le percentuali maggioritarie a favore e le previsioni ottimistiche: i cittadini americani NON vogliono né l’eutanasia né il suicidio assistito. Gli americani non si sono fatti turlupinare dalla morte come “diritto”, né si sono fatti ingannare dalle parole suadenti e bonarie della correttezza politica, né hanno creduto all’eutanasia spacciata per “pratica medica”.

Uno scenario, questo, che si può estendere a livello globale, se si considera che nel mondo gli Stati che hanno legalizzato le pratiche eutanasiche si possono contare sulle dita delle mani[4].

In verità, chi vuole la “dolce morte” legale sono poche lobby potenti e prepotenti, pochi decisori arroganti che vogliono imporre ai popoli le loro ideologie mortifere, aiutandosi con il molto denaro di cui dispongono. Hanno cambiato ripetutamente nome alle loro Società; hanno spostato le sedi principali, ora in uno Stato ora nell’altro; hanno aperto filiali; si sono separati e poi si sono riunificati; sono usciti da un gruppo ed entrati in un altro; hanno creato nuove Società partendo da Società già esistenti,… ma gira e rigira sono sempre le stesse persone, gli stessi decisori, le stesse fondazioni, i soliti finanziatori.

Ma il mondo NON vuole l’eutanasia, anche se la propaganda pressante può indurre a credere che sia vero il contrario: la quasi totalità dei malati non vuole essere uccisa, la quasi totalità dei familiari dei malati non vuole che i propri cari siano uccisi, la maggioranza delle persone non malate non vuole la legalizzazione di queste pratiche. Questo dicono i fatti, affermare il contrario è propaganda, chiacchiera infondata e falsità.

 

Note:

 

[1] Tratto da: Rita L. Marker, “Assisted Suicide & Death with Dignity: Past, Present & Future”, Part I, www.patientsrightscouncil.org/site/rpt2005-part1.

[2] Steven Ertelt, “Montana becomes third State to legalize assisted suicide as judge rules again”, www.lifenews.com, 9 gennaio 2009.

[3] R.L. Marker, ibid, – Part II, www.patientsrightscouncil.org/site/rpt2005-part2.

[4] I 4 Stati USA che abbiamo visto. Più 4 Stati dell’Unione Europea: Olanda, Belgio, Svizzera e Lussemburgo. Più l’Albania, nel 1999, per i malati terminali; la Colombia, nel 1997 a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale; la Cina, solo negli ospedali pubblici per i malati terminali.

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