Solo l’uomo casto può assaporare veramente la Bellezza

Percepire la bellezza è una capacità data solo ad un’anima pura, perché solo essa l’apprezzerà per se stessa e ne coglierà, per così dire, l’essen- za, e non solo l’utilità. Questa è la grandezza a cui può aspirare l’uomo, se non sceglie la via della “bestializzazione”… 

Il filosofo cattolico tedesco, Joseph Pieper (1904-1997), riflette sulla prima questione della temperanza della Summa Theologiæ di san Tommaso d’Aquino. Egli scrive: «Solo una sensibilità casta è capace di portare a compimento questa potenzialità specificamente umana: percepire la bellezza sensibile, per esempio quella del corpo umano, come bellezza e goderne unicamente per essa […] in un diletto immune e libero da quella bramosia edonistica che tutto offusca e ammorba. […] È stato detto con ragione: solo in un cuore puro può fiorire il sorriso, il sorriso libero e liberatore. Con eguale ragione possiamo dire che solo a chi lo contempla con occhio puro il mondo offre la sua bellezza».

Dunque per contemplare la bellezza è necessaria la virtù della castità. Senza la castità non solo è impossibile cogliere la verità, ma è anche impossibile assaporare il bello sensibile. Gli animali provano piacere solo per ciò che è ordinato ad acquietare la fame e l’istinto sessuale; l’uomo invece prova diletto nel vedere e nell’udire ciò che è imma- nente nelle cose viste e sentite. Solo l’uomo ha la possibilità di cogliere l’essenza e, proprio per questo, solo l’uomo può cogliere l’eventuale bellezza delle cose. Senza volerci ridurre al classico esempio, secondo il quale se si porta il proprio cane dinanzi alla Pietà di Michelangelo, questo rimarrebbe del tutto indifferente e al limite… alzerebbe la zampetta per fare le sue cose; dicevo, senza volerci ridurre a questo, va da sé che solo l’uomo può stupirsi e meravigliarsi dinanzi a ciò che è vero, buono e bello.

La bellezza è una categoria trascendentale che si può cogliere con una conoscenza, che pur partendo dall’esperienza sensibile, vada oltre questa esperienza. Se non c’è l’intelligenza (da “intus legit”, cioè “leggere dentro le cose”) che penetra la realtà non c’è bellezza disponibile al giudizio.

Ma se basta l’intelligenza, la riflessione, perché ipotizzare altro? Che senso ha la convinzione di Pieper secondo cui per contemplare la bellezza occorre anche la virtù della castità? Il Filosofo tedesco, come abbiamo visto, risponde individuando due punti importanti:

1) Solo la castità è capace di portare a compimento le potenzialità tipicamente umane dell’intelligenza.

2) Solo la castità conduce l’uomo verso il godimento della bellezza per la bellezza.

Diciamo qualcosa in merito a questi due punti.

Prima di tutto solo la castità potenzia l’attività intellettiva. Non può esserci sapienza senza temperanza. La castità è governo di sé e non può esistere capacità di governarsi se non esercitando un potere della ragione sulle facoltà sensitive. Governare i propri impulsi è stabilire un chiaro potere del pensiero e della volontà sul corpo.

Il secondo punto dice che solo la castità può condurre l’uomo verso il godimento della bellezza per la bellezza. Infatti, solo il sapersi dominare e il non lasciarsi soggiogare dagli istinti permette all’uomo di non far propria una visione utilitaristica della vita. L’uomo istintivo pensa esclusivamente al godimento e a procurarsi un piacere con cui soddisfarsi. Ciò che gli si pone dinanzi lo legge solo come strumento da utilizzare. Non ha la possibilità di andare nell’essenza delle cose e scorgere un significato che vada oltre il mero sfruttamento. Tutto legge per sé cercando spasmodi- camente di capire come possa essere meglio sfruttato, come gli possa servire nel modo più opportuno. Da qui la sua impossibilità di scoprire l’autentica bellezza, che è tale proprio perché è al di là di ogni strumentalizzazione. La bellezza è bellezza indipendentemente dalla sua funzione. Che poi una cosa utile debba essere anche bella, così come una cosa bella è bene che sia anche utile, questo è un altro discorso; ma la bellezza è tale indipendentemente dal suo servizio. Ebbene, l’uomo carnale (nel senso paolino) è incapace di entusiasmarsi per la bellezza in quanto tale, cioè per la bellezza in sé, per la bellezza per la bellezza. Pieper ha pienamente ragione.

Questo discorso mi permette di fare una riflessione che ritengo importante. Paradossalmente anche l’uomo carnale, cioè l’uomo completamente indirizzato e schiavo delle passioni e quindi incapace di dominarsi e vivere la temperanza e la castità, palesa la sua degradazione manifestando il valore di ciò che ha rinunciato. La bestia-bestia non esiste, perché la bestia può essere solo bestia. L’uomo-bestia invece può esistere e manifesta la sua degradazione (e quindi la volontà di aver rinunciato alla sua umanità) allorquando vive la sua vita nell’ossessione del brutto e del male. Facciamo l’esempio della lussuria. Solo l’uomo può essere ossessionato dal sesso; l’animale no. Solo l’uomo può credere di potersi appagare con il sesso, salvo poi accorgersi inevitabilmente dell’assurdità di una tale convinzione. Ciò dimostra che anche nella più completa degradazione, anzi: proprio perché l’uomo può degradarsi completamente, l’uomo è profondamente diverso dalle bestie… e la sua bestializzazione è possibile proprio perché egli non è ontologicamente bestia.

La grandezza e l’unicità umane, paradossalmente, sono attestate tanto dalla capacità dell’uomo di aprirsi al massimamente Vero, al massimamente Buono e al massimamente Bello, quanto dal contrario: dal volontario abbandonarsi da parte dell’uomo al più degradante falso, cattivo e brutto.

Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, num. 28

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

diciotto − 11 =