Primo Mendel Day: un pomeriggio all’insegna di Scienza e Fede

Sono le ore 16 di mercoledì 20 febbraio 2013: la musica gregoriana si diffonde nell’aula magna e le note dei monaci accolgono i convenuti al Primo Mendel Day nazionale, a Verona, presso l’Istituto scolastico paritario “Alle Stimate”.

Sono gli stessi canti che Gregor Mendel, monaco agostiniano, ogni giorno elevava a Dio nel monastero di Brno, dove per lunghissimi e ininterrotti sette anni ha coltivato trentamila piantine di Pisum sativum (pisello odoroso, selvatico e non commestibile) alla ricerca di quella razionalità che aveva intuito dimorare anche nella biologia dei vegetali.
Professore di Fisica e Matematica nel liceo di Brno, Mendel era giunto alla conclusione che anche in Biologia si dovevano trovare quelle leggi e quelle costanti di natura che aveva conosciuto nelle discipline sperimentali che tanto amava e che insegnava.
Ai suoi tempi, siamo nella seconda metà dell’Ottocento, erano ormai disponibili diversi lavori scientifici sulla coltivazione e sull’”ibridazione” dei vegetali, alla ricerca di nuove varietà, ma nessuno che trattasse l’argomento anche da un punto di vista quantitativo.
Mendel aveva letto questa letteratura ed era giunto alla conclusione che i caratteri ereditabili fossero come delle particelle che si separavano durante la formazione del polline e delle uova per poi ricongiungersi in nuove combinazioni al momento dell’impollinazione.
Era altresì convinto che ogni carattere si presentasse in due versioni, di cui una dominava sull’altra, ma non in modo definitivo, perché nei “nipoti” lasciava riemergere quella recessiva (o nascosta, appunto).
La sua genialità è stata proprio questa intuizione, che verrà successivamente confermata in termini citologici dalla scoperta dei cromosomi (1882, due anni prima della sua morte) e del processo della Meiosi.

Il padre della Genetica, come viene universalmente chiamato, ignorava non solo il materiale primo dell’ereditarietà, ovvero il DNA, ma anche l’importantissimo ed esclusivo fenomeno che porta alla formazione dei gameti con il dimezzamento del numero dei cromosomi.
Per confermare la sua ipotesi (oggi si direbbe per falsificarla) ecco che Mendel sceglie una piantina che si riproduce in poche settimane, i cui fiori sono facilmente accessibili e soprattutto, che consente l’individuazione di alcuni evidenti caratteri (sette), distinguibili in solo due forme alternative.
I piselli possono essere o di colore giallo o di colore verde; di aspetto liscio oppure rugoso, mentre il fiore può essere rosso-violaceo oppure bianco, o ancora assiale oppure terminale.
Per primo poi, Mendel applica la matematica alla biologia. Conta i piselli di ogni generazione, separando quelli gialli da quelli verdi, quelli lisci da quelli rugosi e giunge alla conclusione che la variante verde e la variante rugosa si nascondono (recessive) per poi riemergere alla successiva figliata in un rapporto di 1:3.
Sarà proprio questo rapporto tra la variante recessiva e quella dominante a convincere Mendel dell’esistenza di “particelle” (i geni di oggi) presenti in doppia dose nelle cellule e che si separano in quelle riproduttive.

Siamo nel 1865: due lectures, una tenuta l’8 febbraio e l’altra l’8 marzo, presso la Società dei Naturalisti di Brno, rivelano per la prima volta i risultati dei suoi “esperimenti sull’ibridazione dei vegetali” (è il titolo del suo paper che uscirà solo l’anno successivo).
Un lavoro da Premio Nobel.Ma nessuno lo riconosce, almeno tra i suoi contemporanei.
Non solo, quando i suoi lavori vengono riscoperti contemporaneamente da tre botanici, nell’anno 1900, un olandese, un austriaco e un tedesco, circa trentacinque anni dopo, l’oblio di Mendel non è ancora risolto.

Il regime sovietico, per opera del Presidente dell’Accademia dell’Agricoltura, Lysenko, bandisce l’insegnamento e la pratica delle leggi di Mendel perché non si integrano né con la visione materialista di Marx né con quella evoluzionista di Darwin. Fino alla morte di Stalin, nel 1954.

Il modesto tributo di oggi è assolutamente insignificante per quello che la Storia gli è debitrice ma, si sa, ognuno di noi fa quello che può.

La prima relatrice, Giulia Tanel, in sostituzione di Francesco Agnoli, scrittore e giornalista di Trento, assente per malattia, rievoca quanto di buono hanno fatto i monaci e i loro monasteri nel corso dei secoli a favore della ricerca scientifica.
Tra i monaci troviamo celebri letterati ma anche l’ideatore del rigo musicale, l’inventore dello Champagne (Dom Perignon), i precursori della moderna ingegneria idraulica, apicoltori, metereologi, astronomi, erboristi, ecc.
La Scienza moderna non poteva che svilupparsi in ambito cristiano, dopo l’annuncio che “In principio era il Logos” (Gv 1,1) e che quindi il Mondo era frutto di una Intelligenza che aveva lasciato le sue tracce visibili e soprattutto riconoscibili da un’altra intelligenza creata a Sua Immagine.
Come diceva Einstein, “la cosa più incomprensibile è che l’Universo sia comprensibile”.
Gli esperimenti di Mendel vanno inquadrati nel contesto di un Monastero in cui si prega e si lavora perché il Mondo è una cosa “buona e bella” (Gn 1-2).

La seconda relazione, del sottoscritto, ha evidenziato le “costanti” che Mendel ha scoperto e introdotto per sempre nello studio della Biologia.

Successivamente il naturalista romano Enzo Pennetta, scrittore e insegnante, ha affiancato a Mendel la possente figura di Lazzaro Spallanzani, gesuita del 1700, noto a tutti per aver demolito la teoria della generazione spontanea della vita, ma anche eminente metereologo e scienziato di primo livello.
Pennetta ha sottolineato anche l’importanza di questo Mendel Day che si colloca nel mese di febbraio, notoriamente affidato alle celebrazioni del Darwin Day che, in tutta Italia, è ormai patrocinato quasi esclusivamente dall’UAAR (Unione atei agnostici razionalisti), come a dire che la Scienza è atea e promuove l’ateismo.
Noi oggi vogliamo ribadire invece la verità: Galilei, Newton, Copernico, Keplero, Mendel, Lamaitre (il gesuita belga alla base dell’ipotesi del big bang), Maxwell, Einstein, Rubbia, Cabibbo,… la lunga scia dei nomi che hanno fatto la Scienza: sono tutti credenti e lo sono anche grazie alla loro attività scientifica.

Alla fine Mario Gargantini, direttore di Emmeciquadro, giornalista scientifico di chiara fama, conclude il percorso della Genetica con la figura eminente di Jerome Lejeune, già servo di Dio, sulla cui tomba è venuto a pregare anche Giovanni Paolo II, definendolo “mon frère Jerome”.
Lejeune scopre che la sindrome di Down è dovuta ad un cromosoma in più (la trisomia del 21) e spera di riuscire ad arrivare anche alla sua terapia, per aiutare questi malati.
Candidato al Premio Nobel, il suo discorso in difesa delle persone Down, contro l’aborto, non gli consente di ottenere il meritato riconoscimento.
Lejeune, infatti, accusa il potentissimo “National Institute of Health” di diventare piuttosto “of Death” a causa della politica americana di promozione dell’aborto dei feti umani che presentano la trisomia da lui scoperta.

I presenti, circa centocinquanta persone, delle cuali un centinaio di studenti dei Licei “Alle Stimate”, approvano il Primo Mendel Day con un lunghissimo applauso.
Tra i presenti in sala il vicario del Vescovo di Verona a sottolineare, per chi ancora non lo sapesse, che la Fede e la Scienza non solo convivono felicemente ma addirittura si illuminano a vicenda.

Arrivederci, dunque, in attesa fiduciosa di essere invitati per replicare l’evento in altre città d’Italia.

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

nove + 9 =