Cattolicità

In una bancarella di libri, mentre spulciavo tra vari titoli, ne è comparso uno abbastanza eloquente: “Cattolicità”. Anno 1943, collezione a cura della Pontificia Opera per la Preservazione della Fede, editore Morcelliana, autore Igino Giordani (1894-1980). Scrittore, politico, giornalista (Osservatore Romano, Il Popolo, ecc.), direttore della Biblioteca Apostolica Vaticana, nonché co-fondatore – parola di Chiara Lubich – del movimento dei Focolari.

Lo compro e, visto che ho un po’ di tempo, mi siedo su di una panchina e comincio a sfogliare. Il libro che ho tra le mani è interessante sotto diversi punti di vista, quello che mi sembra caratterizzarlo è una certa tensione verso l’Unità sociale all’insegna della cattolicità. Questa tensione è espressa attraverso una lucida analisi che non si pone certo nel solco del politicamente corretto: “il cattolicesimo è il cristianesimo tutto quanto, dall’A alla Z. Il cristianesimo acattolico è una cernita dalla totalità per non sostenere l’onere del tutto. Cattolicità vuol dire universalità che è convergenza all’Uno.”

Tra i vari passaggi ne scorgo uno che rimanda a un fatto di questi giorni: l’istituzione  della Pontificia Accademia di Latinità che, in un certo senso, sottolinea proprio questa “indole universale” della Chiesa Cattolica. “Non è senza ragione – scriveva Igino Giordani – che gli eretici e gli scismatici alla lingua universale – al greco, per esempio, e al latino, con cui la Chiesa è riuscita a far circolare un pensiero comune fra più popoli per più secoli – preferiscano, di solito, le lingue particolari, con cui non è più possibile essere intesi da chi non appartenga alla propria cerchia topografica.”

La critica è rivolta in gran parte alla Riforma che – a parere del Giordani – “predicò la liberazione da Roma per operare l’asservimento della religione ai principi, dallo spirituale al temporale.” Per far questo “ai riformatori del secolo sedicesimo fu indispensabile la negazione del libero arbitrio, l’avvilimento della ragione e la proclamazione dell’indegnità dell’uomo.”

Il capitolo intitolato “La frana ereticale” si conclude con una citazione del filosofo russo Solovev: “nessun ragionamento potrebbe sopprimere l’evidenza di questo fatto: che fuori di Roma, non vi sono che chiese nazionali, chiese di Stato, o sette fondate da particolari (come i luterani, i calvinisti, …). Solo la Chiesa cattolica romana non è una chiesa nazionale, né una chiesa di stato, né una setta fondata da uomo. E’ la sola Chiesa del mondo, la quale conserva e afferma il principio dell’unità sociale universale contro l’assolutismo dello Stato; è la sola, in una parola, conto la quale le porte dell’inferno non hanno prevalso”.

Il tracciato del frantumamento ereticale – commenta Giordani dopo la citazione – non è stato fatto a scopo polemico, ma con il fine di chiarire con la storia gli elementi del dramma odierno. Analisi storica – aggiungo io – di una certa lucidità.

La cosa interessante però sono le soluzione che vengono proposte è per uscire dal “dramma odierno”:

1)      “Uno degli effetti della decadenza del senso cattolico è stata l’obliterazione, in mezzo a tanti cristiani, dei doveri dell’apostolato (…) facendo dimenticare che i sacramenti li fanno soldati del Regno e quindi hanno obblighi di conquista e l’appartenenza al Corpo Mistico impone, come necessità di vita, di arricchire anche numericamente la Chiesa”;

2)      “Tanto la dissezione interiore dell’uomo quanto lo sconquasso dei popoli ex-cristiani, derivano in definitiva dalla dimenticanza e dal rigetto dei valori sociali elargiti dalla Messa. L’Eucaristia è il sacramento dell’unità, un atto d’amore unificante, un atto della cattolicità mossa dalla preghiera. (…). La Messa è la matrice della cattolicità (…) non si crea un’unità stabile sulla base di elementi umani, essa si crea quando gli uomini verranno alla Messa vivendone il valore connettivo e ritraendone l’illuminazione della grazia, per la quale ogni uomo tornerà a veder se stesso. Anzi il volto sofferente di Cristo per cui si riproverà la gioia del figliol prodigo.”

Il libro è così interessante che ho perso il contatto con l’orologio, devo alzarmi dalla panchina, ma non so resistere e allora corro all’ultima pagina. Mi perdonerà l’autore, ma la tentazione è troppo forte. “Il cristiano ha la Chiesa Madre che gli dice dove si trova, e gli porta aiuti del cielo e del passato, il supporto di secoli, la tradizione che lo spinge in una direzione salutifera”. Buffa questa parola “salutifera”, eppure sarebbe da riscoprire visto che troppi l’hanno sostituita con “mortifera”. Chissà perché.

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4 pensieri riguardo “Cattolicità”

  1. Le soluzioni che vengono proposte dall’autore per uscire dal “dramma odierno” sono da far conoscere a molti sacerdoti ed ecclesiasti, che oggi sono i primi a mancare nei doveri dell’apostolato, partendo dal cattivo esempio e dallo scandalo che danno (putroppo!) di alcuni di essi.
    E’ l’esempio che porta le anime a chiedere di conoscere Cristo, ad aprire il cuore alla fede.

    Difatti quando sento certe prediche dall’altare in cui l’officiante si lamenta dei fedeli pantofolai, mi viene spontaneo in mente il vecchio proverbio:
    Talis pater, talis filius.

  2. x “viva Cristo Re”: preti e vescovi a volte sbagliano, ma non dimenticare che tutti i battezzati sono sacerdoti: anche io e te.

  3. Non lo dimentico, è sottinteso che le responsabilità dell’apostolato riguardano tutti.
    E’ comunque innegabile che se un esercito perde una battaglia il Re chiederà conto prima ai suoi Generali, poi ai soldati semplici.

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