Sinodo: la sfida della secolarizzazione

 

 

Spigolando tra gli interventi del Sinodo ne segnaliamo due che trattano di origini e natura della secolarizzazione. Dal comunismo, al nazionalsocialismo, fino al liberalismo capitalistico, due brevi riflessioni che mettono in evidenza una situazione grave. “La Chiesa – si chiede un Vescovo – è stata all’altezza di questa sfida?” (L.B.)

 

S. Em. R. Card. Antonio María ROUCO VARELA, Arcivescovo di Madrid, Presidente della Conferenza Episcopale (SPAGNA)

È imprescindibile conoscere il “Sitz im Leben” della Nuova Evangelizzazione, se la si vuole impostare e realizzare in modo corretto. Il secolarismo è forse il suo segno più caratteristico. La storia della secolarizzazione, iniziata nel XVII secolo, culmina nel secolo XX con il postulato della “morte di Dio” e con l’esaltazione del “Superuomo”. I due totalitarismi più spaventosi dell’epoca – comunismo e nazionalsocialismo – così come le due grandi guerre mondiali sono inspiegabili senza queste due tesi che entrano in crisi dopo il 1945. Il Concilio Vaticano II, convocato in quel crocevia storico per un aggiornamento della dottrina e della pastorale della Chiesa, le aprì la strada per superare sé stessa “ad intra” e “ad extra”. Tuttavia la “rivoluzione del ‘68″ lo ha rilanciato e radicalizzato fino all’estremo della negazione della dignità di ogni essere umano: un cucciolo sano di scimpanzé vale più di un bambino disabile, sosteneva un famoso antropologo anglosassone. La Chiesa – vescovi, sacerdoti, religiosi e laici – è stata all’altezza di questa sfida? Non si sono lasciati influenzare a volte dall’ideologia secolarista? Non ci è costato a volte mostrare ciò che siamo e chi siamo dentro e fuori nella “pubblica piazza della storia” (Benedetto XVI). Il Santo Padre ci ha chiamati alla “demondizzazione”. Urge rispondere con l’esame di coscienza dei nostri peccati e con la conversione del cuore! Senza tale premessa, profondamente spirituale, l’impegno di evangelizzare nuovamente sarebbe inutile.

S. E. R. Mons. Ðuro HRANIĆ, Vescovo titolare di Gaudiaba, Ausiliare e Vicario Generale di Ðakovo-Osijek (CROAZIA)

Sebbene il comunismo sia crollato, sono rimasti tuttora i suoi frammenti, tuttora operanti dappertutto, nascosti nelle mentalità e nei modelli di vita. Sono presenti anche nella mentalità dei cattolici, tentati di ritirarsi sia dalla vita politica, che dalla società civile. I resti ideologici di stampo materialista ed ateo negli ultimi anni si sono avvicinati alle posizioni, ai valori e alle esigenze del neocapitalismo liberale. Con la scusa della tutela e della promozione dei diritti umani, della libertà e della democrazia, essi divulgano tramite la vita politica, i mass media e le associazioni della società civile uno stile di vita del tutto libertino. Poiché si presentano come portavoce e protettori della democrazia, dell’approccio scientifico e culturale, le loro prese di posizione diventano indiscutibili. Dietro a una demagogia della tolleranza, spesso ci scontriamo in realtà con una cultura dell’ironia e dell’irriverenza nei confronti della fede e dei valori cristiani. Tante volte non soltanto i cattolici in Croazia, ma anche altrove si sentono oggi come Alexamenos all’alba del cristianesimo nell’ambito della scuola degli schiavi imperiali al Palatino destinati a servire l’imperatore. Si sente il bisogno di cercare un approccio adatto che prima dell’annuncio Evangelico, si sforzi di comprendere, di accettare e di entrare in dialogo a livello culturale ed antropologico.

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Autore: Libertà e Persona

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