L’insostenibile leggerezza della cannabis

Camminando lungo il viale che costeggia la stazione lo abbiamo rivisto. Erano almeno due anni che non capitava. Trentanove anni all’anagrafe; ma sul suo corpo i segni indelebili della deturpazione precoce. A monte, la droga. Un uso e un abuso che, risalendo alla sua adolescenza, fra cadute e riprese, non si è mai interrotto definitivamente. Una sofferenza intima scaturita da una situazione familiare conflittuale lo aveva portato a cercare un paradiso artificiale in cui rifugiarsi e in cui lenire le sofferenze. Ma che lo condusse anche in un mondo fatto di piccole meschinità e di vana gloria legata all’immagine fintamente vincente di chi gestisce una compravendita di sostanze proibite. Sterili e fragili conoscenze, le cui fondamenta poggiavano solo sul possesso della preziosa quanto ipocrita sostanza. Il fascino del bello e dannato, con una significativa disponibilità finanziaria e il suo seguito di ragazzine adoranti. E nel frattempo il dragone ipnotico che lo stringeva sempre più nelle sue spire. Il carcere, la comunità, la strada. E poi di nuovo comunità, strada e carcere. Una vita d’espedienti sempre al limite tra la vita e la malattia, la vita e la morte.

E oggi, cosa rimane di tutto ciò? Solo il corpo gonfiato dall’alcool e dal metadone, le pupille a spillo segnale di una ennesima ricaduta, gli abiti puzzolenti e sudici, lo sguardo fisso, il parlare concitato e a volte un po’ sconnesso. E gli “amici” dei giardini della stazione come unici interlocutori.

Lo ricordiamo come era e compariamo. Senza dubbio un’intelligenza sprecata. Del suo eloquio fluido e accattivante, delle sue arguzie spiritose non rimane niente. Tutto inghiottito, insieme alla sua volontà, dal dragone ipnotico. Lo ricordiamo e pensiamo all’inizio di tutto ciò: uno spinello.

Chiediamo scusa al lettore per questa introduzione all’apparenza patetica. Ma questa è la realtà di una vita e di un’amicizia bruciata. Ed è da questa realtà che dobbiamo partire se vogliamo evitare che i nostri figli cadano nel baratro della tossicodipendenza.

Bisogna ripartire dallo spinello. All’apparenza la più innocua e innocente delle droghe. In realtà la più subdola. Per procedere tuttavia bisogna abbandonare la strada dello’ideologia e imboccare quella più ardua della verità.

Secondo la relazione 2010 della Presidenza del Consiglio sullo stato delle tossicodipendenze, il 23% degli italiani ne ha fatto uso almeno una volta nell’arco della propria vita. Sempre secondo lo studio le persone che ne fanno uso in Italia sono quasi 3 milioni. Di questi, circa l’11% ne diventa dipendente tanto da dover ricorrere a cure specifiche presso centri specializzati quali il Sert o le comunità di recupero. Dati, questi, che se non descrivono la sua nocività, ne dipingono la sua diffusione nel tessuto sociale.

Classificata, contrariamente a quel che si comunemente si pensa, tra le droghe stimolanti insieme alla cocaina e all’extasy, è abitualmente conosciuta come hashish e marijuana. La differenza è semplice: la prima è ricavata dalla resina prodotta dalla pianta e mescolata con sostanze varie in modo da poterla vendere in blocchetti; la seconda è invece composta dai fiori e dalle foglie secche della cannabis indiana stessa. Entrambe le forme vengono consumate fumandole mescolate insieme al tabacco in una sigaretta, chiamata spinello, oppure in pipe, colli di bottiglia o cinture arrotolate a forma di cono.

“È una sostanza naturale”, ci si sente spesso dire, quasi fosse un ricercato prodotto bio tanto in voga ai giorni nostri.

In realtà è una sostanza nociva, come tante in natura. Con l’aggravante che il mondo dei produttori, seguendo le leggi di mercato, ha modificato geneticamente la pianta aumentando la concentrazione del THC, il principio psicoattivo che la caratterizza. Si è passati perciò dal 3 o 4 % di concentrazione negli anni Sessanta, al 20/25% della cannabis odierna, come nel caso della varietà chiamata skunk. Tutto ciò rende più appetibile il prodotto, ma anche più letale. Tanto che l’Onu, nel suo World Drug Report sia del 2006 che del 2008, ha sottolineato che ormai non c’è più molta differenza tra cannabis, eroina e LSD. Dati ufficiali. Non propaganda ideologica.

Se consideriamo poi che è per eccellenza la droga di iniziazione a sostanze ancora più pesanti la valutazione inizia a farsi preoccupante: l’85% dei consumatori di cocaina e il 74% di quelli di eroina ha iniziato dallo spinello.

È tuttavia sui dati medico-scientifici che conviene soffermarsi per comprendere meglio cosa è in realtà la cannabis. La cui pericolosità investe ogni momento della vita del maschio e della femmina.

Innanzitutto bisogna tenere presente che il THC danneggia la fertilità maschile in quanto non solo riduce la densità e la motilità degli spermatozoi, ma anche indebolisce la capacità del gamete di penetrare nell’ovulo da fecondare. La minaccia dell’infertilità riguarda anche le donne in quanto sempre il principio psicoattivo si deposita nelle ovaie e ne modifica il funzionamento fino a alterare e sopprimere il ciclo mestruale. Come se ciò non bastasse, il THC interferisce con lo spostamento e l’impianto nell’utero dell’embrione. E se, nonostante questo iter impervio, il bambino nascesse? Dati ufficiali dell’Organizzazione mondiale della salute parlano nei nascituri di assenza di arti, focomelia, malformazioni ventricolari, leucemia. Mentre nel pre-adolescente sono stati riscontrati danni psicologici e cognitivi (e chi lavora nel mondo della scuola sa quanto è vertiginosamente in aumento il numero dei ragazzi certificati!), iperattività, eccessiva impulsività e disturbi nell’autocontrollo.

Anche per l’adolescente che, attratto dalla sirena della sua supposta funzione ricreativa e socializzante, si avvicina al mondo del “fumo” i rischi sono ingenti. Partendo dalla constatazione che ¾ spinelli al giorno corrispondono a più di 20 sigarette al dì, nel ragazzino possono manifestarsi infiammazioni delle mucose orali, enfisemi, tumori alla bocca, alla gola, al cervello e ai polmoni. Messo sotto stress, anche l’apparato circolatorio è preso di mira: collassi, svenimenti e morte per infarto cardiaco. Il tragico quadro è completato dall’indebolimento dell’intero sistema immunitario del consumatore che lo espone ai vari rischi correlati.

Altri dati dell’OMS, risalenti al 2004, certificano inoltre che la cannabis distrugge irreversibilmente i neuroni delle aree dell’amigdala e dell’ippocampo, riducendo patologicamente il volume delle stesse. Ovviamente un cervello in crescita, come quello dell’adolescente, è più vulnerabile a questo tipo di conseguenze.

Anche il mondo della psichiatria ha dato un suo contributo allo studio delle conseguenze determinate dal consumo di marijuana e hashish. La rivista Lancet del 2007 indicava l’insorgenza di disturbi mentali quali la psicosi e la schizofrenia, mentre l’Associazione Psichiatrica Americana, già nel 2002, denunciava la comparsa di forme di depressione e ideazioni suicide.

Alla luce di quanto sopra, possiamo ancora in coscienza definirla una droga “leggera”?

 

 

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2 pensieri riguardo “L’insostenibile leggerezza della cannabis”

  1. salve
    questo articolo, suffragato da fonti abbastanza credibili (Onu e Oms associazioni massoniche a favore delle droghe, forse sono rinsaviti?) dovrebbe dare una clavata definitiva ai cosidetti anti-proibizionisti ma…siccome non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e peggior cieco di chi non vuol vedere, non vedo spiragli di buon senso.
    Addirittura conosco infermieri che mi danno del cretino (apertamente) perchè sostengo che lo spinello è droga come, se non peggio, delle altre cosidette pesanti.
    sanno tutto loro…
    saluti
    Piero e famiglia

  2. Molto interessante, grazie.
    Sfata con dati inequivocabili il mito dello spinello come “droga leggera!.

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