«Non è sempre festa. C’è un inferno di gay infelici»

di Benedetta Frigerio

Nel 2008 nel Regno Unito si discuteva delle unioni civili gay. Un famoso giornalista omosessuale rivela il dramma nascosto di queste unioni con un documentario scioccante andato in onda sulla Bbc. Lo segue nella denuncia il direttore di un settimanale gay.

Era il tempo del dibattito delle unioni civili quando un gruppo di ex attivisti omosessuali inglesi ha iniziato a trovare il coraggio di denunciare le storture delle lobby e del mondo Lgbt. Il primo a farlo è stato nel 2008 il giornalista Simon Fanshawe, duramente attaccato per un documentario, “The truble with gay man”, che ha rivelato i problemi connessi al mondo omosessuale. A seguirlo Matthew Todd, direttore del settimanale per omosessuali Attitude, che due anni fa ha cominciato a parlare del suo disagio, considerato come un tabù: «È un cliché che passiamo tanto tempo a fare festa». Perché la nostra vita non è tutta qui spiega Todd, in un articolo pubblicato sul The Guardian, che all’inizio degli anni Novanta lavorò per la lobby dei diritti omosessuali Stonewall. «Noi lo sappiamo bene e le ricerche ora lo dimostrano: c’è un inferno di gay infelici, un alto numero di depressi, ansiosi e con istinti suicidi, che abusano di droghe e alcol e che soffrono di dipendenza sessuale». Todd descrive anche il suo di disagio e la rabbia per il fatto che il mondo gay sia «incredibilmente sessualizzato. I ragazzini entrano in questo mondo pieno di alcol e droghe, in cui non c’è nulla di sano. E sono incoraggiati al sesso sfrenato». Todd continua così: «Cresciamo con delle ferite. Per questo dovrebbe esserci più onestà e meno solidarietà. Il tabù della malattia mentale deve essere superato. Qualcuno racconta, come il mio collega Simon Fanshawe, che a salvarlo da questa vita è stato incontrare all’università persone che lo hanno aiutato infrangendo il tabù del disagio mentale». Con il suo documentario sulla vita della maggioranza degli omosessuali inglesi Fanshawe si è inimicato tutte le lobby Lgbt, quelle che frequentava quando stavano nascendo le prime, ma che lasciò nel momento in cui si rese conto che «il vero obiettivo era combattere il pregiudizio e la discriminazione solo per avere la possibilità di distruggersi con la droga e con il sesso».

Girando per gli ambienti omosessuali, Fanshawe intervista un ragazzo di vent’anni. «Perché siamo costretti a comportarci come eterni teenager?», gli chiede. Il ragazzo risponde: «Siamo assetati di vanità e guardiamo con disprezzo gli uomini vecchi. Nonostante l’Aids continuiamo a rincorrere il massimo piacere sessuale. Siamo felici che il mondo ci guardi come delle checche effeminate». Il giornalista inglese commenta la risposta, dichiarando la ragione del suo lavoro: «Sono preoccupato per come viene celebrata la libertà omosessuale (…) abbiamo organizzato la nostra identità intorno al sesso e questo è deleterio. Così la promiscuità è diventata la norma». Subito dopo Fanshawe intervista il propietario omosessuale di un centro di terme per gay, che confessa di essere convinto che «questo stile di vita è incompatibile con la felicità e la fedeltà umane. Non capisco la battaglia per le unioni civili: la tentazione di provare esperienze continue di evasione rende difficile la stabilità di relazioni omosessuali, relazioni di vero amore».

D’altronde è per la libertà che i promotori dei diritti gayhanno sempre combattuto, insegnando agli altri omosessuali che il malessere viene dalla discriminazione sociale. Todd, però, commenta: «Abbiamo combattuto così a lungo per essere riconosciuti uguali e per essere quello che vogliamo essere, che non abbiamo potuto dire il nostro malessere. Sicuramente abbiamo sofferto la vergogna di una malattia». Ma, continua il giornalista, «non c’è dubbio: un gay soffre psicologicamente molto di più di una persona che cresce eterosessuale (…) adesso occorre affrontare questa sofferenza. Lo psichiatra americano Alan Downs ha esaminato la nostra pena – conclude Todd – anche per le scelte distruttive che facciamo: sì abbiamo più partner nella vita di ogni altra categoria. Nello stesso tempo, però, abbiamo anche il più alto tasso di suicidi, per non menzionare le malattie sessualmente trasmissibili. Come gruppo tendiamo ad esprimere molte più emozioni di altri uomini, ma nello stesso tempo le nostre relazioni sono molto più brevi di quelle degli uomini eterosessuali. Siamo più ricchi, abbiamo case più costose, più macchine e vestiti alla moda di ogni altro gruppo. Ma siamo davvero felici?». Riferendosi ad alcuni studi medici, Todds ammonisce tutti gli omosessuali così: «Dobbiamo guardare a tutte le persone che soffrono. Per la prima volta abbiamo delle risposte concerte. È il momento di fare i conti con questi problemi».

Da www.tempi.it

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Autore: Libertà e Persona

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Un commento su “«Non è sempre festa. C’è un inferno di gay infelici»”

  1. noto con stupore che articoli come questo non vengono commentati dai vostri lettori progressisti sempre pronti a farci notare quanto siate retrogradi reazionari sorpassati. diventa difficile smentire chi ti dice da omosessuale che l’omosessualita e’ un dramma profondo, sintomo di ferite gravi nell’animo e la psiche delle persone. ripeto SINTOMO, come lo stato febbrile che di per se non e’ una malattia ma un sintomo.

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