Com’è buona abitudine dei tecnocrati, convinti che il profanum vulgus nulla capisca e sia tempo perso rispondere alle ingenue sue domande, le nebbie continuano ad avvolgere i progetti del governo Monti, dei quali nulla sembrano sapere nemmeno Bersani e Casini, i suoi più fidi valletti politici. Dobbiamo quindi accontentarci dei commenti di un politico straniero, Angela Merkel, che al termine dell’audizione di Monti a Strasburgo ha definito “impressionanti” i suoi progetti.
C’è di che preoccuparsi. Per gli italiani naturalmente, che costituiscono la massa, la materia bruta sulla quale la tecnocrazia intende fare applicazione delle sue tecniche. Può sembrare un paradosso, ma in certo senso è rassicurante perfino che, a differenza della Merkel, i mercati non si siano lasciati impressionare e che il 25 novembre lo Stato per collocare i Bot a sei mesi abbia dovuto garantire rendimenti prossimi all’8%, il doppio del mese precedente, quando l’Italia gemeva ancora sotto il deprecato governo berlusconiano. Purtroppo il fatto che i mercati non credano nel risultato degli “impressionanti” progetti montiani non significa però che questi non siano davvero tali e che non verranno applicati. I tecnocrati sono tali proprio perché nutrono fiducia cieca e assoluta nei loro grandi sistemi e nelle loro teorie.
Al momento, tranne la Merkel, Sarkozy e, forse, i vertici economici della Ue e della Bce, tutti ignorano quale sia l’italica traduzione concreta di questi sistemi e di queste teorie. Di conseguenza non si può nemmeno escludere una interpretazione più terra terra del commento della Merkel, semplicemente impressionata dalla misura della torchiatura cui il governo bancario-bocconiano intende sottoporre i cittadini italiani. E’, difatti, ben possibile che, come è successo tante altre volte, con tutta la loro spocchia i tecnocrati non abbiano trovato il modo per calare dall’empireo nella realtà quotidiana i loro teoremi e abbiano ripiegato sull’uso progressivo dello strumento ricevuto in eredità dalla screditata e accantonata (temporaneamente?) classe politica: il torchio fiscale. Tutte le notizie che trapelano dalle segrete stanze e dai notturni conciliaboli vanno in questa direzione, non smentita e forse convalidata dal commento della germanica cancelliera di ferro.
In ogni caso, si tratti dei vecchi sistemi o di nuove diavolerie tecnocratiche, una cosa è certa: a pagare l’ “impressionante” conto saranno gli italiani, il che, oltre che probabilmente inutile, è profondamente ingiusto, perché il difetto non sta nell’Italia, ma nell’euro.
“Italia Oggi” del 22 novembre ha dedicato un lungo articolo all’economista inglese Bernard Connolly, allontanato a suo tempo dall’incarico ricoperto nella Commissione europea per avere attaccato la politica monetaria dell’Ue nel libro “Il cuore marcio dell’Europa” (1995), nel quale criticava le modalità antidemocratiche utilizzate per la costruzione di un supergoverno europeo. Quanto poi alla politica monetaria, Connolly che già aveva criticato lo Sme (il Sistema monetario europeo precursore, con l’Ecu, dell’Euro), nel 1998 predisse che l’introduzione dell’Euro nel giro di pochi anni avrebbe aumentato il deficit di molti paesi, portati sull’orlo del fallimento (oggi si dice “default”) e innescato disordini sociali.
Connolly (che ora usa le sue cognizioni per speculare, da privato, con grande successo sui mercati) non è solo. La sua opinione è condivisa da numerosi “tecnici”. Fra questi il premio Nobel francese (1989) Maurice Allais, che, in base a valutazioni non soto monetarie e ben prima dell’introduzione dell’euro, prevedeva (come egli stesso ha ricordato in un articolo del dicembre 2005) che la politica economica della Ue avrebbe “prodotto una crisi di prima grandezza accompagnata da disoccupazione incontrollata”. Una previsione che, nonostante il Nobel, gli chiuse l’accesso ai programmi televisivi del suo paese, per impedirgli di “spiegare ai francesi quali sono le origini reali della crisi, mentre venivano spossessati di ogni potere reale sulla loro moneta, a profitto dei banchieri”.
Ovviamente è facile obiettare che Connolly e Allais sono anch’essi “tecnici” e non vi è ragione di preferirli a Monti e Passera. Tuttavia, tecnocrate per tecnocrate, è inevitabile concedere maggiore fiducia a chi ha puntualmente azzeccato, dieci e più anni prima, le previsioni a quei tecnici che, esattamente come i più screditati politici, continuano a proporre (anche a giustificazione dell’esasperata torchiatura fiscale) una politica della crescita che dovrebbero sapere (e verosimilmente sanno anche se evitano di dirlo per non fare la fine del Nobel Allais, trasformato in Nobel-spettatore) irrealizzabile, perché la crescita infinita non è, in via di logica e di fatto, possibile in un mondo finito.