“Ornitorinco UNO, Darwin ZERO”

 

Quale relazione ci può mai essere tra quel buffo animaletto che è l’ornitorinco e Charles Darwin? Per coloro che si interessano di darwinismo, neodarwinismo, evoluzione ed evoluzionismo,  l’interrogativo potrebbe apparire fin troppo banale se non già logoro e superato.

A chi, invece, non ha potuto seguire la vicenda che mette i due in collegamento, ed è interessato a saperne qualcosa di più, racconteremo come mai all’improvviso il timido ornitorinco sia balzato, suo malgrado, sulle prime pagine dei giornali, arrivando a mettere in questione il “darwinismo primitivo” e scatenando un acceso, per non dire infuocato, dibattito sui giornali e in numerosi blog e siti internet. Accenneremo, infine, dell’annoso confronto tra creazione ed evoluzione e di come la questione non sia, in definitiva, tra lo scegliere per forza l’una o l’altra.

Prima di entrare nel vivo della disputa vediamo, innanzitutto, di conoscere un po’ meglio come è fatto questo strano mammifero.

L’animale vivente più originale

Recentemente un programma televisivo di divulgazione scientifica poneva l’ornitorinco al primo posto nella classifica dei dieci animali viventi più strani. Una collocazione che ha i suoi buoni motivi tanto che – come ricorda il Professore di Scienze Cognitive Massimo Piattelli-Palmarini – quando nel 1798, il capitano John Hunter inviò alla Royal Society di Londra una pelliccia di ornitorinco e un disegno accurato dell’animaletto, gli scienziati pensarono si trattasse di uno scherzo.

L’ornitorinco è uno dei mammiferi più primitivi e viventi che si conoscano. Unico genere non estinto della famiglia Ornithorhynchidae risalente al periodo Cretaceo (circa 135 milioni/65 milioni di anni fa).

Le sue caratteristiche fisiche sono così particolari che lo rendono unico al mondo. Infatti il suo corpo presenta contemporaneamente elementi e qualità riconducibili rispettivamente ai rettili, agli uccelli e ai mammiferi.

Il corpo, che nella forma e nell’anatomia presenta caratteristiche proprie dei rettili, misura dai 30 ai 45 cm, cui si aggiunge una coda appiattita che va dai 10 ai 15 cm. Corpo e coda sono ricoperti da un fitto strato di pelliccia, soffice e lanosa, dalla quale emergono peli più lunghi.

La testa è di piccole dimensioni e provvista di un becco – lungo circa 6 cm e largo 5 – che ricorda alla vista quello di un’anatra. Proprio per questa caratteristica gli zoologi hanno chiamato questo animale Ornithorhynchus anatinus che significa “becco d’uccello simile all’anatra”. In realtà questi non è un becco vero e proprio bensì un muso allungato, ricoperto da una cute umida e vellutata, dalla consistenza coriacea e ricca di terminazioni nervose. Gli occhi dell’ornitorinco sono piccoli, ma ci vede benissimo, inoltre è privo di orecchio esterno, e tuttavia ci sente benissimo.

Gli arti sono corti, con le zampe anteriori palmate e quelle posteriori parzialmente palmate. Ciascun piede è composto da cinque dita nelle zampe anteriori e da artigli cornei e affilati, vuoti all’interno, collegati a una ghiandola velenifera, nelle zampe posteriori. Questo sperone è presente solo nel maschio adulto dove il fluido tossico emesso può essere utilizzato come arma di difesa. Il suo veleno è più potente di quello di molti serpenti e non si è ancora riusciti ad individuarne l’antidoto.

Questa peculiare caratteristica fa dell’ornitorinco l’unico mammifero velenoso, se si fa eccezione per alcuni toporagni che hanno saliva tossica.

 Si è osservato che l’ornitorinco emette diversi suoni, anche se il loro significato non è ancora stato chiarito. Il suo richiamo consiste in una sorta di basso suono ringhiante.

Si riproduce in modo assolutamente unico. La femmina prepara la tana foderandola di foglie bagnate. Inizialmente le uova (generalmente due) si sviluppano per circa 28 giorni all’interno del suo corpo, poi vengono deposte all’interno della tana e covate per circa 6-10 giorni. Per tenerle calde la femmina le avvicina al proprio ventre con la coda. Finito il periodo di incubazione nascono i piccoli della lunghezza di circa 1,8 cm che rimarranno nella tana per 3-4 mesi nutrendosi solo del latte materno. La peculiarità assolutamente unica della femmina di ornitorinco è quella di allattare pur essendo sprovvista di mammelle. In pratica il latte viene secreto attraverso la pelle e cola dal pelame materno all’altezza del ventre. Utilizzando di nuovo la coda la femmina stringe i piccoli contro il proprio addome, aiutandoli così a nutrirsi. 

L’ornitorinco vive nei laghi e nei fiumi con corso lento del continente australiano. Nuota e si tuffa alla perfezione grazie al suo spiccato adattamento all’ambiente acquatico. Costruisce la propria tana nella scarpata della riva scavando una galleria che può essere lunga dai 9 ai 18 metri e che sbocca in una camera sferica in cui l’animale sta nascosto durante il giorno. Le tane sono bloccate con la terra in diversi punti, per impedire l’accesso a intrusi ed evitare le inondazioni.

 Gli ornitorinchi sono animali timidi e hanno costumi notturni anche perché il cibo di cui si nutrono si trova soltanto di notte. È qui che entra in gioco il suo strano “becco” che viene utilizzato per smuovere il fango, la sabbia e i ciottoli sul fondo dei fiumi alla ricerca di insetti, vermi, molluschi, uova e piccoli crostacei. Le prede vengono individuate grazie alle numerose terminazioni nervose presenti nel becco attraverso la elettrolocazione, vale a dire la localizzazione della preda attraverso la sua elettricità corporea.

Una volta che la preda è catturata non viene inghiottita subito ma sistemata in una sorta di tasca posta dietro il becco. Una volta riemerso, l’ornitorinco sposta il cibo in bocca e lo tritura, non con i denti poiché ne è sprovvisto, ma con le poche placche cornee taglienti presenti nel becco stesso.

Riepilogando, quindi, l’ornitorinco ha un corpo e uno sperone velenoso che rimanda ai rettili. Ha un muso a forma di becco, i piedi palmati e depone le uova come gli uccelli, però poi allatta i piccoli al pari dei mammiferi.

Queste sue peculiarità visibili esteriormente sono state confermate anche dal sequenziamento del suo genoma, ad opera di biologi australiani, tedeschi e americani che, nel maggio 2008, ne hanno pubblicato la ricerca congiunta su Nature e Genome Research.

È partendo da queste ricerche – le quali pongono l’ornitorinco come “eccellente ‘ponte’ tra i mammiferi, gli uccelli e i rettili” – che il fisico e biologo Piattelli-Palmarini, l’11 maggio 2008, esce con un articolo sul Corriere della Sera dimostrando di come esse depongano “contro l’idea darwiniana classica che l’evoluzione biologica proceda sempre e solo per piccoli cambiamenti cumulativi”. E quindi l’ornitorinco sconfigge Darwin 1 a zero.

“L’ornitorinco sconfigge Darwin”

Nell’articolo sul Corriere della Sera dell’11 maggio 2008  – vedi: (archiviostorico.corriere.it/2008/maggio/11/ornitorinco_sconfigge_Darwin_co_9_080511012.shtml) – l’analisi del Professore inizia con l’evidenziare il fatto che i mammiferi in genere possiedono una coppia di cromosomi sessuali (XX nelle femmine, XY nei maschi) mentre nell’ornitorinco, anch’esso mammifero, i cromosomi sessuali sono ben 10: cinque paia di X nelle femmine, e cinque X e cinque Y nei maschi. Per un totale di 52 cromosomi contro i nostri 46.

Scendendo poi “al livello genetico fine si identifica un misto di discendenze da altri mammiferi, certo, ma anche dai rettili e dagli uccelli”. Ad esempio “i cromosomi sessuali sono derivati evolutivamente dagli uccelli”, mentre il feroce veleno “replica l’evoluzione del veleno dei serpenti”. La scoperta è confermata anche quando si passa ad un’analisi più profonda e, cioè, al livello delle molecole micro-Rna. Pure qui sono state evidenziate “strette somiglianze con i mammiferi, ma anche con i rettili e con gli uccelli”.

I biologi hanno poi scoperto che, mentre nei mammiferi, una particolare varietà di queste molecole resta prigioniera nel nucleo delle cellule, “nell’ornitorinco migra e si moltiplica fino a quarantamila volte”, tanto che gli scienziati non esitano a definirla “una biologia diversa”.

L’articolo prosegue evidenziando i risultati ottenuti, a proposito dei “geni rilassinici”, dall’esperto in malattie del sistema riproduttivo Sheau Yu Teddy Hsu, di Stanford. Hsu ha scoperto che, milioni di anni fa, “il gene ancestrale dei ‘rilassinici’ si è scisso in due famiglie distinte, una famiglia [ha presieduto] alla discesa dei testicoli nei maschi, mentre l’altra famiglia [ha presieduto] alla formazione della placenta, delle mammelle, delle ghiandole lattee e dei capezzoli nelle femmine”. In pratica, d’un tratto, “una famiglia di geni ha prodotto due famiglie di geni che potevano pilotare due tipi di eventi” uno dei quali era la comparsa dei mammiferi dotati di placenta. Ebbene, “l’ornitorinco, mammifero, privo di placenta e di mammelle, ma con la femmina dotata di latte che viene secreto attraverso la pelle, era l’anello mancante”. Hsu quindi conclude: “È difficile immaginare che processi fisiologici tanto complessi e tra loro intimamente compenetrati (discesa dei testicoli nei maschi, placenta, mammelle, capezzoli e ghiandole lattee nelle femmine) possano avere avuto un’evoluzione per piccoli passi, attraverso molti cambiamenti scoordinati”.

“Da molti anni ormai” prosegue Piattelli-Palamarini “i genetisti e gli studiosi dell’evoluzione dei sistemi genetici hanno scoperto svariati casi di moltiplicazione dei geni”. “Queste moltiplicazioni genetiche sono, sulla lunghissima scala dell’evoluzione, eventi subitanei. Pilotati dai meccanismi microscopici che presiedono alla replicazione dei geni, avvengono per conto loro, prima che i loro effetti sbattano la faccia contro la selezione naturale, e non procedono per piccoli passi”.

E quindi, conclude il Professore: “Il gradualismo, cioè i piccoli passi fatti a casaccio, uno dopo l’altro, della teoria darwiniana classica vanno a farsi benedire. Il macchinario genetico fa i suoi salti, e poi altri fattori di sviluppo decidono quali di questi salti producono una specie capace di sopravvivere e moltiplicarsi. Tra queste e solo tra queste, la selezione naturale porterà ulteriori cambiamenti. Ma sono dettagli, non il motore della produzione di specie nuove”.

“Il segreto, ancora largamente misterioso, risiede senz’altro in proprietà interne, nell’organizzazione dei sistemi genetici, non nella selezione naturale. La selezione naturale della teoria darwiniana classica può agire solo su quello che le complesse interazioni della fisica, la chimica, l’organizzazione interna dei sistemi genetici e le leggi dello sviluppo corporeo possono offrire. Perfino in un mondo in cui esiste l’ornitorinco non proprio tutto è possibile”.

In definitiva la stranezza e l’originalità dell’ornitorinco, nonché numerosi altri studi dell’evoluzione dei sistemi genetici, confutano il darwinismo classico secondo il quale il motore dell’evoluzione sia la selezione naturale, quale conseguenza di tante piccole mutazioni casuali, che si sono via via perfezionate per meglio adattarsi all’ambiente e garantirsi la sopravvivenza.

La replica di Giorgio Bertorelle

e la risposta di Massimo Piattelli-Palmarini

Dopo l’articolo uscito sul Corriere, Piattelli-Palmarini viene subissato da critiche e indignazione a volontà. I siti internet pro-Darwin si scaldano e rispondono. “L’ornitorinco sconfigge Palmarini” titola uno; “Biologia evoluzionista moderna uno, Massimo Piattelli Palmarini zero” conclude un altro; “La teoria dell’evoluzione è attendibile? Massimo Piattelli Palmarini chiama l’ornitorinco sul banco dei testimoni contro Darwin. Povero ornitorinco!!” scrive un altro ancora; …

Qui ci accontentiamo di riportare il botta e risposta avvenuto sempre sulle pagine del Corriere della Sera, con Giorgio Bertorelle, il presidente della Società italiana di biologia evoluzionistica.

Il 21 maggio 2008 Giorgio Bertorelle replica a Piattelli-Palmarini facendogli notare che a nessuno degli oltre 100 autori dello studio da lui citato è venuto in mente di concludere che “il patrimonio genetico dell’ornitorinco metta in crisi l’evoluzionismo”. Anzi, sono proprio i medesimi autori ad affermare testualmente che: “L’evoluzione a passi successivi di queste vie indipendenti di segnale attraverso la duplicazione genica e la seguente divergenza è consistente con la teoria darwiniana di selezione e adattamento”. “Possibile che questa frase, ben in evidenza nell’articolo originale, sia sfuggita a Piattelli Palmarini?” si chiede, pertanto, Bertorelle.

Sul Corriere della Sera del 23 maggio 2008, Piattelli-Palmarini replica a Bertorelle che critiche al “darwinismo ortodosso” sono state espresse anche da molti altri eminenti evoluzionisti americani, inglesi e tedeschi tra i quali: “Richard Lewontin, Gregory C. Gibson, Andreas Wagner, Gabriel Dover, Eric Davidson, Stuart Newman, Michael Sherman, Gerd Mueller, Marc Kirschner, ecc.”, puntualizzando che “sono tutti biologi con credenziali scientifiche inattaccabili, tutti perfettamente materialisti, tutti indefettibilmente tesi allo sviluppo di una teoria dell’evoluzione biologica naturalistica”.

Riguardo, poi, al fatto che i risultati delle ricerche sui geni esposti da Piattelli-Palmarini siano “noti da tempo a tutti e interamente compatibili con la moderna teoria dell’evoluzione”, il professore risponde a Bertorelle: “Auspico siano noti a lui da tempo e certo lo sono a molti biologi, ma il grande pubblico non ne sa niente, mi creda, e non solo in Italia. Certo che sono ‘interamente compatibili con la moderna teoria dell’evoluzione’ perché sono essi stessi la moderna teoria dell’evoluzione, come da me esplicitamente sostenuto in quell’articolo”.

E aggiunge: “L’errore di Bertorelle, grave, è confondere e generare confusione nei lettori tra la moderna teoria dell’evoluzione, sacrosanta, e il darwinismo, ormai largamente defunto”.

E più avanti: “La teoria darwiniana dell’evoluzione è perfettamente naturalistica, ma non ogni teoria perfettamente naturalistica dell’evoluzione è darwiniana. Lascio la parola a Darwin stesso: ‘Se si potesse dimostrare l’esistenza di un qualsiasi organo complesso e l’impossibilità che esso sia stato formato da piccoli, numerosi, successivi cambiamenti, allora la mia teoria collasserebbe assolutamente’. I Bertorelle di questa terra non prendono sul serio il loro eroe. Lui non anticipava, come invece fanno loro, che le molte meraviglie della biologia degli ultimi venti anni potevano venire ‘integrate’ nella sua teoria, che la sua teoria sarebbe stata confermata nell’essenziale da quanto oggi sappiamo”.

E quindi conclude: “Sono molti anni che le scoperte della genetica e della biologia dello sviluppo hanno fatto ‘collassare assolutamente’ la teoria darwiniana, proprio nei termini precisati dallo stesso Darwin. Sarebbe l’ora di prenderne atto, aprire la mente a teorie naturalistiche più interessanti smettendo di agitare il vieto vessillo darwiniano per proteggersi da immaginari assalti alla razionalità scientifica”.

Anche il darwinismo si è evoluto

 In sostanza è il darwinismo “primitivo” che è “assolutamente collassato”, mentre la moderna teoria naturalistica/materialista dell’evoluzione – che ha “integrato” e inglobato le scoperte successive avvenute nel campo della genetica e della biologia dello sviluppo – è “interamente compatibile”.

Piattelli-Palmarini e Bertorelle, in definitiva, concordano sulla stessa cosa. Entrambi sono d’accordo sul carattere “sacrosanto” della moderna/materialista teoria dell’evoluzione, solo che il cognitivista-biologo lo fa confutando il gradualismo darwiniano, mentre Bertorelle rilevando una continuità di integrazione, selezione e adattamento a partire dallo stesso.

Insomma, pare che anche il darwinismo abbia avuto la sua evoluzione. Anch’esso, nel corso degli anni, ha perso il suo carattere primitivo divenendo via via più progredito e moderno. Come mostrano i manuali di scienze ad uso scolastico, nei quali è possibile visionare la sequenza evolutiva dalla scimmia (o da un antenato comune dall’inequivocabile aspetto di scimmia) all’uomo; analogamente si è passati dal darwinismo al neo-darwinismo – che si è perfettamente adattato allargandosi e inglobando le scoperte avvenute nel campo della genetica classica -, per giungere oggi al cosiddetto “evo-devo” (evolutionary developmental biology), la moderna teoria dell’evoluzione che, dopo aver preso atto che i geni non possono spiegare tutto, si è indirizzata a ricercare nuove risposte all’interno dei piani di sviluppo (dell’embrione) e nelle loro leggi.

Sia chiaro come qui non si stia muovendo un generalizzato attacco alla teoria dell’evoluzione. Pur restando una questione delicata, più volte la Chiesa ha affermato come non vi sia incompatibilità tra fede in Dio e questa teoria scientifica. Tuttavia, come ha ricordato Giovanni Paolo II nel Discorso agli scienziati di Colonia del 15 novembre 1980: “Fede e scienza appartengono a due ordini di conoscenza diversi, che non sono sovrapponibili… La ragione può cogliere l’unità che lega il mondo e la verità alla loro origine solo all’interno di modi parziali di conoscenza”.

 Scienziati, filosofi e teologi eseguono le loro ricerche utilizzando punti di vista differenti. Lo scienziato si basa sull’osservazione e sulla sperimentazione, il filosofo indaga il concetto e il significato dell’essere e il teologo svolge le sue ricerche a partire dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione successiva della Chiesa.

E allora non si può fare della Bibbia uno strumento scientifico, questa, come osserva sant’Agostino, non ci dice la verità sul corso del sole e della luna, non ci dice che cos’è il cielo, ma ci dice come si va in cielo.

Allo stesso modo non si può far dire alla scienza quello che essa non può dirci, come ad esempio di dimostrare o negare l’esistenza di Dio e dell’anima.

Resta fermo, in ogni caso, il fatto indiscutibile che, dalla nascita dell’universo (stimato dagli astronomi tra i 12 e i 20 miliardi di anni fa) alla presenza delle prime forme viventi (risalenti a 3,5 miliardi di anni fa), “la comparsa dell’uomo [ha rappresentato] una direzione singolarissima dell’evoluzione (quella di maggiore cerebralizzazione) e [ha segnato] un evento che trascende la sfera puramente biologica” (Fiorenzo Facchini, Creazione ed Evoluzione estratto da La Bibbia per la famiglia a cura di Gianfranco Ravasi, San Paolo, vol. 1, pp. 28-32).

Creazione ed evoluzione

Giovanni Paolo II ha, altresì, affermato che “Una fede rettamente compresa nella creazione e un insegnamento rettamente inteso nell’evoluzione non creano ostacoli… La creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo – come una creatio continua -, in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come il creatore del cielo e della terra” (Fede cristiana ed evoluzione, 27 aprile 1985).

Continua Fiorenzo Facchini: “L’evoluzione cosmica e l’evoluzione biologica si sviluppano secondo un disegno superiore. Esse corrispondono a un progetto di Dio, in qualunque modo si sia realizzato tale progetto, fosse anche per eventi casuali, che Dio ha preveduto in un quadro di possibilità e di leggi o principi d’ordine insiti nella materia. In tale disegno l’uomo si presenta come il punto culminante del processo evolutivo”.

“L’uomo ha una trascendenza rispetto alle altre creature in forza del principio spirituale che lo caratterizza, l’anima. Essa non può derivare da altri esseri di ordine materiale, ma richiede un concorso particolare di Dio creatore, analogamente a quanto avviene nella formazione di ogni essere umano”.

Per il credente l’uomo è molto più di una scimmia evoluta, o di un albero o di un sasso, comparso per caso e destinato a finire nel nulla, come asserisce l’evoluzionismo materialista, sia che si riconosca nel darwinismo primitivo che in quello evoluto. Per il credente l’uomo si compone di corpo e anima, una connessione che la scienza non può dimostrare perché esula dal suo metodo e campo di intervento.

Per concludere con Facchini: “La vera alternativa non è tra evoluzione e creazione, ma tra la visione di un mondo autosufficiente, capace di crearsi e trasformarsi da sé per eventi puramente casuali e la visione di un mondo in evoluzione, dipendente da Dio creatore, secondo un suo disegno”.

Il bicchiere di Heisenberg

Il fisico nucleare, nonché premio Nobel Werner Heisenberg ammise che: “Il primo sorso dal bicchiere delle scienze naturali rende atei; ma in fondo al bicchiere ci attende Dio”.

È proprio in questo modo che molti scienziati sono approdati alla fede. Partendo dall’analisi della realtà e seguendo le regole richieste dalla propria disciplina di studio. Nel progredire delle ricerche, “sorso dopo sorso”, hanno scoperto che nelle cose studiate e nella complessità c’è un ordine, delle leggi che regolano il mondo con le loro costanti universali, e non il caos; che ogni scoperta rimanda a qualcosa di più grande, a un Oltre.

Massimo Piattelli-Palmarini nel libro Gli errori di Darwin si proclama ateo, completamente, ufficialmente, fino all’osso e irriducibilmente ateo. Però all’inizio del suo articolo sul Corriere della Sera afferma che “l’ornitorinco è la dimostrazione che perfino il Padreterno ha un sense of humour”. Non è che anche Piattelli-Palmarini è arrivato al fondo del bicchiere ma non lo può o vuole dire?

 

 

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