Arriva la RU486, la pillola assassina

Al massimo due mesi, e la RU486 sarà disponibile anche in Italia. Ci sarebbero ancora tempo e modo di discuterne, ma il parere positivo dell’Aifa – acronimo che sta per Agenzia Italiana del Farmaco – ha sostanzialmente messo d’accordo tutto il mondo politico italiano, vivace solo in apparenza, e che ora è diviso solamente sulle modalità di distribuzione con le quali verrà somministrata la pillola. Nessuno che abbia il coraggio di ricordare che la prima buona ragione per bloccare la RU486, risiede nella sua stessa natura: è un “pesticida umano”, com’ebbe a dire il compianto Jérôme Lejeune, una pillola cioè pensata e predisposta col preciso scopo di annientare esseri umani; non a caso, all’estero s’è guadagnata presto un soprannome che non abbisogna di commenti: “kill pill”. Un soprannome, purtroppo, del tutto meritato. Infatti, la RU486 non solo annienta il nascituro, ma talvolta esagera e uccide anche le donne che vi ricorrono: è la stessa azienda produttrice di questa pillola, la francese Exelgyn, a parlare di 29 decessi riconducibili alla sua assunzione. Guarda caso, in America, già nel lontano 1991 Janice G. Raymond, Renate Klein e Lynette J. Dumble, tre femministe dichiaratamente abortiste, e pertanto non sospettabili di simpatie clericali, denunciarono la RU486 e le sue pesantissime ripercussioni sulla salute delle donne, tra le quali ricordiamo: dolore o crampi nel 93,2% dei casi, nausea nel 66,6%, debolezza nel 54,7%, cefalea nel 46,2%, vertigini nel 44,2% e perdite di sangue prolungate fino a richiedere una trasfusione nello 0,16% dei casi. E fu sempre una donna, Donna Harrison, ricercatrice e ginecologa di Berrien Center, in Michigan, a pubblicare su “The Annals of Pharmacotherapy” uno studio nel quale ha identificato ben 637 casi di effetti collaterali nell’uso della RU486. Addirittura, nel dicembre 2005, un editoriale del “New England Journal of Medicine”, “bibbia” mondiale della scienza, denunciava una percentuale di mortalità con il metodo chimico, quello della RU486, ben 10 volte più alta di quella rilevata con il metodo chirurgico: e meno male che da noi si mormora che quello della pillola sia un metodo “meno invasivo”! Per capirci, la stessa Cina, Paese notoriamente non troppo rigido nell’osservanza dei diritti umani, in seguito ad una prima liberalizzazione della pillola, ha fatto marcia indietro, giudicando la RU486 troppo pericolosa. I nodi critici di questa pillola, tuttavia, non si esauriscono qui; anzi, iniziano già a partire dall’etichetta che la qualifica: farmaco. Siamo proprio sicuri che la RU486 sia un farmaco? E se lo è, che malattia cura? La maternità forse? I numerosi sostenitori di questa pillola non hanno mai fornito risposte convincenti in proposito. E dimenticano pure di affrontare un’altra questione: la RU486, così come viene somministrata in tutto il mondo, sarebbe palesemente violativa della 194, Legge assassina che “funziona benissimo”, dal momento che autorizza la soppressione di un bambino ogni 4 minuti e 6 secondi. Infatti, all’articolo 8, la 194 sancisce espressamente la necessità che l’aborto procurato si consumi all’interno di strutture pubbliche, mentre una donna che assume la pillola abortiva – che produce i propri effetti, culminanti con l’espulsione del feto, entro un arco di tempo che talvolta giunge a due settimane – non viene mai trattenuta in ospedale fino al momento in cui è certificata l’interruzione di gravidanza, ma vi ritorna solamente dopo, per eseguire dei controlli. Come se non bastasse, ciò è in violazione pure di due pareri del Consiglio superiore di sanità: uno del 2004, alla cui stregua “i rischi connessi all’interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti all’interruzione chirurgica solo se l’interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero”; l’altro del 2005, per il quale “l’associazione di mifepristone e misoprostolo deve essere somministrata in ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla legge, e la donna deve essere trattenuta fino ad aborto avvenuto”. Insomma, per una volta mi trovo d’accordo coi radicali: non esiste una buona ragione per opporsi all’introduzione della RU486. Difatti, ne esistono infinite. Ma la prima, tengo a ribadirlo, concerne la sua stessa natura: è una pillola nata per uccidere esseri umani innocenti. O meglio, per banalizzare la morte di esseri umani il cui sterminio è realtà da decenni, quotidiano e silenzioso. Peccato che, su queste questioni, il sistema d’informazione corra ad intervistare solo vescovi e prelati. Sembra passato un secolo da quando, intervistato sull’aborto nel 1981, Norberto Bobbio confidava a Giulio Nascimbeni:” Mi stupisco che i laici lascino ai soli credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”.

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