Le folgorazioni di Ungaretti.

Una poesia amata dagli alunni di ogni generazione è la celebre lirica di Giuseppe Ungaretti, intitolata "Mattina": "M’illumino d’immenso". Scarna, essenziale, folgorante come tante composizioni di questo poeta, è una lirica che apre uno squarcio sulla profondità del desiderio dell’uomo, sulla sua vocazione a lasciarsi illuminare e folgorare dall’immensità di un Bene agognato. Ungaretti, nel 1915, è uno dei tanti giovani che partono, speranzosi, per la prima guerra mondiale. C’è un mondo nuovo, là, dopo e dietro quella guerra, che appare possibile; c’è il sogno che un evento grandioso serva a porre fine alla noia quotidiana, di una vita personale, la sua, e di una intera società.

Ma l’evento si rivela deludente. Sulle montagne del Carso, al di là di esse, non si scorge nulla, per quanto lo sguardo si stenda, a cercare Trieste, gli austriaci, una redenzione politica, attraverso l’"irredento" Friuli. La guerra diviene allora logorante, opprimente, e perde ogni patina di poesia. Eppure ogni mattina, quando il sole si alza luminoso e potente, antico e nuovo, si apre nell’animo di tanti soldati, come raccontano i loro diari, sempre una nuova speranza: che la guerra finisca, ma, più, che vi sia un nuovo inizio. Dopo cento, duecento, trecento giorni tutti uguali, è sufficiente l’affacciarsi di un nuovo giorno, a far risorgere il desiderio, a far rinascere il gusto del viaggio. Basta scorgere un raggio di sole, con "un breve moto di sguardo" che abbracci i lontani orizzonti, perché uomini abbrutiti dall’angoscia e dalla fatica, sentano esplodere nel cuore un senso misterioso, ineffabile, di grandezza e di immensità.

Quell’alba, incantevole e serena, in cui non si odono gli spari, per una tacita convenzione tra eserciti, è esaltata dal silenzio, e diviene immancabilmente, nella sua bellezza, segno di qualcosa d’altro: rinvia, accenna, suggerisce, senza mai definire, ad un bene che è al contempo nascosto ed evidente, desiderabile ed ineffabile. E’ come se l’uomo fosse condannato, dirà Ungaretti, ancora ateo, in un’altra poesia, ad un destino di grandezza che travalica ogni umana comprensione: "Chiuso tra cose mortali, /anche il cielo stellato finirà, /perché bramo Dio?". O, come scrive un poeta a lui contemporaneo, Montale: " Sotto l’azzurro fitto/ del cielo qualche uccello di mare se ne va;/né sosta mai perché tutte le immagini portano scritto:/più in là".

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.