Teatro filosofico “Renier”: Io posso, tu puoi, noi possiamo.

Meditazione scenica in due prologhi, cinque episodi e un epilogo.
Testi di Giulio Bianchi. Compagnia teatrale “Renier”
Primo prologo.
Socrate è seduto su una panchina e sta leggendo Il vento del Renier. Arriva Critone di corsa, eccitato, entusiasta.
Critone. Socrate, Socrate (ansima)
Socrate. Che c’è Critone, hai vinto una grossa somma ad “Affari tuoi”? Ma quello non è un gioco da filosofi, ragazzo mio! (guardandolo dal sotto in su, con “occhi bovini”) Credi forse che un cesto di euro ti farà felice?
Critone. (riprendendo fiato) No, maestro, è un’altra la notizia che voglio darti! Una notizia bellissima. Sul colle di Miero danno il teatro filosofico, Socrate! Pane per i nostri denti!
Socrate. Quanto ai denti, mio caro, vedremo. Proprio ieri sono andato dal dentista Protesico, che mi ha raccomandato di non mangiare cose dure. E ho il presentimento che quel teatro filosofico sarà peggio del pane raffermo.
Critone.Ma che dici, grande Socrate, il teatro è sempre una cosa fresca e viva, un invito a volare indirizzato al nostro spirito!
Socrate. Sempre? E che dici allora de “Le nuvole” del nostro ineffabile Aristofane? Ti pare che sia “un invito a volare indirizzato al nostro spirito?” In quella commedia io faccio un sacco di buffonate, discuto se il rumore delle zanzare è una scorreggia o un rutto, insegno a fregarsene del giusto e dell’ingiusto…
Critone. Ma in realtà lì facevi la figura del sofista, Socrate, e tutti sanno che non sono vere quelle cose. (abbassando la voce con entusiasmo trattenuto) Il teatro che fanno a Miero è tutt’altra cosa! Si parla del potere, maestro, e si dicono un sacco di cose che fanno pensare.
Socrate. Il teatro è sempre più emozione che pensiero, mio caro. Suvvia, non siamo ingenui: quando c’è teatro, c’è anche opinione e nulla di più. Si può forse fare vera scienza, vera filosofia a teatro?
Critone. Questa volta sì, maestro!
Socrate. Eh, i giovani sempre si entusiasmano. Ma che cosa hai imparato da me? Forse a metterti lì a fare gesti, a modulare la voce, a saltare da un posto all’altro di un palco?
Critone. No, Socrate, ho imparato a dialogare.
Socrate. E conta forse, nel dialogare, il portamento o l’espressione della voce, o i gesti sapienti delle mani e del corpo tutto?
Critone. No, direi di no: conta solo il nudo ragionamento.Però…
Socrate. Però?
Critone. Però tu non ci hai offerto solo pensieri e ragionamenti, ma emozioni! Ascoltandoti, abbiamo provato qualcosa. Ci hai riempito l’animo, e non solo la mente, Socrate!
Socrate. Ma non ti rendi conto che con una recitazione efficace gli attori possono fare credere agli spettatori che anche la cosa più brutta è bella? Basta un sottofondo di musica accattivante, e personaggi simpatici, sorrisi che mimano la felicità, e il gioco è fatto: anche un omicidio può rivestirsi di un’apparenza allettante. Mi spiego?
Critone. Ma ho sentito dire che questo nuovo teatro filosofico non è così.
Socrate. E di che cosa parla, poi?
Critone. Del potere, come ti dicevo.
Socrate. Sì, ma che cosa si vede sulla scena?
Critone. C’è una moto, all’inizio, e un motociclista.
Socrate. (ironico) Ah, allora è un saggio di filosofia del… tubo di scappamento. Critone, mi meraviglio di te!
Critone. Ma no, Socrate, è un discorso quello che viene fuori, e non solo gas di scarico!
Socrate. Sono perplesso, Critone; e poi?
Critone. E poi si vede nel secondo episodio un frustino e un guinzaglio.
Socrate. Il tipico armamentario sado-maso! Questa è grossa, Critone, qui siamo a livello di pornografia della peggior specie, qui siamo alla scuola del marchese de Sade. Quale filosofia c’è qui, Critone?
Critone. (un po’ affranto, ma ancora convinto) Ma mi hanno detto che non è così, Socrate, che si fanno discorsi buoni, pur passando attraverso quelli cattivi.
Socrate. Non ti chiedo neanche che cosa viene dopo, Critone: no ho abbastanza.
Critone. Dopo c’è un’aula di scuola.
Socrate. Dio liberi! Ma non sai che la scuola è la negazione di ogni filosofia? Libri, libri e libri. Io li odio i libri, e non ho mai voluto scriverne neanche uno. E prof che parlano e alunni che scrivono con una mano, e l’altra sotto il banco sui tasti del telefonino. Ecco dove siamo andati a finire, con la scuola! Sai che cosa manca nella scuola? L’interesse e la passione per il sapere, mio caro, la vera e propria (scandisce) fi-lo-so-fia!
Critone. Ma nel quarto episodio il dialogo e la passione ci sono, eccome, maestro. C’è un tipo che fa comizio.
Socrate. Oddio! Sarà un Protagora, o un Trasimaco, o un Callicle!
Critone. Sembra proprio così, a quanto mi hanno detto. Ma la gente che lo ascolta reagisce alle sparate di quello lì, che vuole forsennatamente il potere dei più forti.
Socrate. E’ fuori di senno di sicuro, Critone: non lo abbiamo visto più volte che addirittura è meglio subire l’ingiustizia, che farla?
Critone. Sì, è così, e nell’ultimo episodio in effetti c’è una donna che ha subito una grande ingiustizia, nella vita. Ed è lì su una panchina, come noi.
Socrate. Sicchè abbiamo anche il “teatro della panchina”, stavolta.
Critone. Ma, Socrate tu hai sempre fatto il teatro della panchina, o del muretto! Ti hai sempre dialogato con noi, per strada, in piazza, al parco, anche proprio così come oggi, seduti su una panchina.
Socrate. Non hai del tutto torto, Critone. Il mio dialogare è in effetti una filosofia della panchina, come tu dici. Ma dubito forte che il teatro filosofico di cui mi parli sia davvero filosofico. Sai, scrittori, registi, teatranti, attrici e attori non badano alla verità, ma a strappare applausi al pubblico. E’ di quello che sono affamati, loro. E allora non sono filosofi.
Critone. (timidamente) Ma potremmo, così, per una volta, andare a vedere che cosa fanno!
Socrate. E sia, mio fedele Critone: come posso dire di no a chi ama la filosofia, tanto da desiderla anche a teatro!
Critone. (con effusione “affettiva”) Grazie, maestro!
Socrate. (benevolo) Bene, bene, Critone. Ci sarà il pienone, immagino.
Critone. Chissà come sarà interessante! Maestro, non posso nasconderti l’emozione. Sai, sento come un formicolio sulla schiena, come quando stanno crescendo le ali che portano in alto l’anima; ne hai parlato con Fedro, una volta.
Socrate. Volerai, volerai Critone. Adesso però andiamo a comperare il biglietto.
Secondo prologo.
Folla davanti al botteghino, ancora chiuso, c’è ressa.
A. Alcuni fanno esclamazioni risentite perché il botteghino non è aperto,
Ma guarda, è ancora chiuso. Ehi, aprite!
Ma cosa fa l’Antonella, che non apre!
Quella lì si è addormentata, io scommetto.
Lo spettacolo comincia tra poco, e non si decidono ad aprire!
B. Altri (indietro, mentre aspettano il turno) sparano sentenze filosofiche con “pose” più o meno artificiose, sofisticate, istrioniche:
1. L’uomo è misura di tutte le cose, miei cari.
2. No, caro mio: è l’Uno la misura di tutte le cose!
3. Ma che dite, è il Soggetto, la vera misura.
1. Ecco, è come dico io: l’uomo è misura di tutte le cose!
3. Io sto parlando di una soggettività trascendentale, in senso kantiano: parlo dell’Io con la I maiuscola.
4. Ma quale Io: sappiamo benissimo che è l’Es la vera, effettiva misura: è il desiderio che attribuisce valore alle cose e…
5. e in lotta col Super-io, che le mortifica puntualmente
2. Siete squallidi freudiani, anzi, tardo freudiani…
3. Diciamo pure ritardati e basta.
4. Mi sembra evidente la tua corazza caratteriale, imperiosamente dominata da istanze censorie.
5. Parliamo pure apertamente di vero e proprio complesso edipico: non sapete affrontare la paternità speculativa della filosofia.
4. Non sono in grado di affrontarla, in effetti: che castrazione mentale!
3. Che ritardo culturale! Sono ancora prigionieri della contraddizione epistemologica: sostengono che è razionale sostenere l’insostenibilità razionale del pensare! Che pena!
(intanto tutti hanno preso il biglietto)
Cassiera: Ecco, proprio una pena.. Ditemi voi (è assorta, pensa ad alta voce) se la filosofia non dà alla testa. I filosofi…hanno davvero la testa per aria. E si danno tante arie! Loro credono di essere superiori alla gente comune. Superiori in che cosa, poi? Se avete bisogno di qualcosa e andate da un filosofo, vi dirà solo buone parole, ma non vi darà una mano, che è invece quello che conta nella vita. Che cosa me ne faccio di buoni consigli della serie “devi pensarci bene, l’importante è ragionare, solo la tua sofferta ricerca ti darà una vera risposta…”, e cose del genere? Per non parlare di quei filosofi che ti direbbero “Sei una cassiera? Allora, mi dispiace, non posso aiutarti: non potresti capire”. Io capisco un sacco di cose, invece. E capisco che c’è qualcosa che non va in quel continuo andare per aria con le parole, senza concludere niente. Ah, l’amore, invece… Io sono una romantica, sapete: sono più belli i baci dei ragionamenti, ve lo dico io.
Socrate con Critone sono vicini allo sportello
Socrate. Ti abbiamo sentita, sai? Che cosa dici, mio caro Critone?
Critone. Che sei da baciare anche tu, Socrate, quando fai bei ragionamenti!
Socrate. Sentito, mia bella cassiera? L’amore e la filosofia non sono due cose molto diverse: anche il filosofo ama, e ama davvero le cose più alte e più belle.
Cassiera. Solo che…
Socrate. Solo che?
Cassiera. Non mi so ben spiegare, Socrate, ma sento che non è la stessa cosa amare e filosofare!
Socrate. Critone, spiegaglielo tu.
Critone. Il filosofo ama la sapienza
Cassiera. Ma allora non ama Antonella!
Critone. Può amare anche Antonella, ma se l’ama sul serio, e non solo per fare sesso al più presto, si accorge che c’è una cosa ancora più bella.
Cassiera. Un’altra ragazza?
Critone. Ma no! Socrate, qui occorre la tua parola.
Socrate. Si accorge che è bello l’amore, che è bella l’unità, che è bella l’armonia del mondo e della vita…
Cassiera. In effetti, quando lui mi bacia il mondo mi sembra più bello. Sì, qualche ragione ce l’hai. Adesso però prendete il biglietto, svelti, perché lo spettacolo sta per cominciare. Ma sapete che strani, quelli che sono entrati? Hanno preso il biglietto, e sono loro a dover recitare! Ma si può essere più scemi, eh Socrate?
Socrate. Chi sbaglia, sbaglia per ignoranza, mia cara cassiera. Vieni con noi, adesso, così imparerai ad amare la filosofia.
Primo episodio: il manubrio
Al centro della scena, un ragazzo in sella a una potente motocicletta (dotata di 2+2 vistosi tubi di scappamento), visti da dietro (tre/quarti). Il variabile ululato del motore precede e accompagna il monologo, soprattutto negli a-capo.
Che motore, ragazzi, che potenza!
I pistoni straripano urlanti e una spinta formidabile mi proietta in avanti. Sono veloce, sono forte, sono irresistibile. Brucio impaziente lo spazio.
Questo frastuono pieno di energia mi esalta. E’ bello superare continuamente ostacoli, annullarli, divorarli. Sì, divorare la distanza. Distanziare tutti. Imporre la propria superiorità.
Quello che conta è la potenza. E non voglio che abbia limiti, la mia potenza gettata con prepotenza sulla strada. I rettilinei servono a levarsi quasi al cielo con impressionante decollo. Le curve sono la potenza accarezzata, coccolata, ma anche sferzata e sottomessa, così da ruggire poi impetuosa e selvaggia.
Irrompere è il miele della vita, crescere in velocità è la più esaltante avventura. Il motore urla in me, io urlo nel motore. E insieme possiamo, possiamo tanto. Da solo lui urlerebbe senza conquista. Sono io che lo conduco alla vittoria.
Celebro dunque con ebbrezza questo grande potere sul quale sono sdraiato, e che mi sottomette ogni strada. Una curva dopo l’altra, e sempre potenza, e sempre forza irresistibile.
Senti che musica, che ritmo! E’ come uscire di prigione, toccare immediatamente ciò che desideri. Tanto e subito. Desiderio potente. Desiderio che non accetta negazione, ma solo potenziamento. Per un’ebbrezza più grande. Per una prova più esaltante. Il potere è felice di sé. La potenza è fiera di se stessa.
Il potere è diventato persona, in me. I miei muscoli sono infinitamente moltiplicati. I riflessi, acciaio. La decisione, irremovibile. Sono io ad assordare la terra. Sono io a sfidare il cielo. E non c’è umano che possa essere più avanti di me. Divoro la strada, e la voglia di potere divora me.
Vi sfido, vi sfido tutti. Ma voi non sfidate me, sono più forte di voi. Sono un guerriero invincibile. Ho la spada più grande. Ho la mano più forte. Ho la mira infallibile. Senti la pantera che inveisce spaventosa tra le mie gambe. Tutti ne hanno paura. E io godo di quella paura. E’ la paura che consacra i potenti. La corona del potere è sulla mia fronte.
La mia moto è un trono che ovunque velocemente si mostra e si impone. Inchinatevi, sudditi, sta passando il re. [da un ululato “trionfante” si passa rapidamente a rumore tipico del motore che perde colpi, è irregolare tende a fermarsi] Oh, oh, proprio adesso che c’era una curva formidabile, ora che veniva avanti a me la regina delle regine. Proprio adesso! Pistoni cretini, pantera inebetita, vi ripudio. Che schifo il potere che ha fine, io voglio [smanetta con la mano per accelerare,ma il motore non risponde] il potere che non si pente, io [sempre più isterico, ma l’audio decresce] voglio il potere che si non si inceppa, il potere che non si sgonfia, il potere che è potere, il potere [la voce non si distingue più, ma restano visibili solo gesti nervosi e scomposti]…
Secondo episodio: il guinzaglio.
Lui (frustino in una mano) tiene al guinzaglio lei, che sta e si muove a quattro zampe. All’apertura del sipario sono immobili, lui guarda verso un punto indeterminato, lei guarda lui.
Lui. Muoviti!
Lei (si muove appena un poco, poi si ferma, quindi lentamente riparte)
Lui. Che hai?
Lei. Non so se è giusto, ecco.
Lui. Ma fammi ridere! (e tira un poco il guinzaglio)
Lei (muovendosi appena) Mi chiedo sempre più spesso se è giusto.
Lui Sono i deboli che continuano a chiedersi se è giusto.
Lei. Sono debole, sì, ma se mi rifiutassi di muovermi quando me lo ordini, ti creerei qualche problema.
Lui. Creeresti a te stessa qualche problema, piccola, perché (agita il frustino) ti buscheresti una bella frustata.
Lei. (lo guarda fisso) Non solo a me stessa, anche a te creerei qualche problema.
Lui. Ma va la: (ironico e supponente) ti è andato di traverso l’osso che hai mangiato ieri sera?
Lei. Io parlo sul serio.
Lui. Ma intanto cammina
Lei.(muovendosi pochissimo) Quella domanda mi paralizza.
Lui. Quale diavolo di domanda!
Lei. Quella domanda di prima: se è giusto.
Lui. Giusto cosa?
Lei (allungando la mano-zampa al guinzaglio) Giusto il guinzaglio.
Lui. Ma certo che è giusto: io sono più forte.
Lei. Ma era giusto?
Lui. Ero più forte e te l’ho messo.
Lei. La giustizia si accontenta di questo?
Lui. Ma che discorsi fai! Ti ho messo il guinzaglio e adesso devi seguirmi.
Lei. Non posso fare diversamente. Altrimenti mi frusti. Ma è giusto?
Lui. (minacciando col frustino) Adesso comincio ad averne abbastanza!
Lei. Vedi che anch’io ho potere su di te?
Lui. Ma che dici, (spregiativamente) cagna!
Lei. Sì, ho il potere di farti arrabbiare.
Lui. Hai il potere di procurarti guai, stupido quadrupede umano.
Lei. Questo stupido quadrupede umano si chiede se è giusto.
Lui. (con un po’ di esasperazione) Ancora!
Lei. Se io fossi un quadrupede non umano, non mi farei quella domanda, ma…
Lui (gesto d’ira guardando in alto e agitando il frustino)
Lei…. visto che sono un quadrupede umano, quella domanda devo farmela, non posso fare a meno di farmela!
Lui. Un essere umano soggiogato non deve affatto farsi domande; deve solo rispondere di sì agli ordini.
Lei. Risponderà agli ordini, risponderà di sì, ma…
Lui. Farà quello che gli è ordinato, e basta!
Lei. Lo farà, ma sempre con quella domanda dentro.
Lui. E una bella frustata fuori!
Lei. Una frustata che non cancella la domanda.
Lui. Ma fa perdere la voglia di ripeterla. E poi, se la risposta fosse affermativa?
Lei. Allora la forza sarebbe giustizia.
Lui.Perchè no, capriccioso quadrupede?
Lei. Non possono essere la stessa cosa.
Lui. E invece lo sono, non ho dubbi.
Lei. Non c’è dubbio che ti fa comodo pensarla così.
Lui. E a te fa comodo pensare che non è giusto, cagna.
Lei. Alla fine, non è bello neanche per te.
Lui. Ma che dici! Adesso mi vieni a raccontare che per me è meglio buttare via il guinzaglio, e lasciarti libera!
Lei.Proprio questo vorrei raccontarti: potresti liberare me e te insieme.
Lui. Non ci penso nemmeno.
Lei. Ti sentiresti meno forte?
Lui. Non cominciamo con le solite sciocchezze psicologiche.
Lei. Io dico che è proprio così: tenendomi al guinzaglio, ti senti forte. Ma se non avessi il guinzaglio…
Lui…avrei sempre il frustino, mia cara!
Lei. E se perdessi anche il frustino?
Lui. Non lo perderei, perché sono più forte.
Lei. Hai il frustino perché sei più forte, o avere il frustino ti fa sentire più forte?
Lui. Ecco che ritorna la psicologia canina, la sottile ritorsione dei sottomessi.
Lei. I sottomessi sottomettono. Io ti ho fatto arrabbiare. Tu mi chiedi qualcosa e io posso non dartela.
Lui. Ma che cosa vai blaterando!
Lei. Una cosa preziosa, che tu non riesci a dare a te stesso.
Lui. Questa è la volta buona per usare il frustino.
Lei. Non lo farai, perché chiudendomi così la bocca, lascerai intatto il mio pensiero.
Lui. Anche il tuo pensiero si piegherà a una buona frustata.
Lei. Eppure tu vorresti che si piegasse da solo, spontaneamente…
Lui. Non mi interessa
Lei. …vorresti che io ti riconoscessi superiore, proprio io, di mia iniziativa…
Lui. Scodinzola, va.
Lei. … vorresti che dentro di me io fossi stupefatta per il tuo valore…
Lui. Ma chi se ne frega di quello che pensi di me!
Lei. …vorresti che io fossi tua non per forza, ma per amore.
Lui. Ma senti! Questa qui sta delirando. Io, il padrone, sarei in realtà mendicante della sua stima, addirittura del suo amore! Questo quadrupede va proprio raddrizzato.
Lei. Sì, hai ragione, devo essere raddrizzata; messa in piedi, davanti a te, di fianco a te…
Lui. Oh, Dio, questa delira. Qualcuno ha messo droga nel suo mangime.
Lei. La droga ce l’hai tu, nel sangue. E’ la droga del potere. Non ne puoi fare a meno, sennò…
Lui. Sennò?
Lei. Sennò ti pare di valere poco. Hai bisogno di me. Sono la tua droga.
Lui. Tira l’acqua, va. Questi tuoi pensieri sono proprio di…
Lei. Sei sempre più aggressivo, sprezzante e volgare, perché ti ho toccato sul vivo.
Lui. E tu sei sempre più vicina a una bella frustata.
Lei. Allora mi liberi?
Lui. Ma che dici!
Lei. Mi liberi o no?
Lui. Ma tu sei pazza: io ci rimetto, a liberarti.
Lei. E se tu nello stesso tempo ti liberassi?
Lui. Ma via, da che cosa poi?
Lei. Ma dalla solitudine, non lo hai capito?
Lui. Perché, chi ha il potere è solo? Tu sei qui con me in qualunque momento, quando lo voglio.
Lei. Io chi?
Lui. Tu.
Lei. No, col guinzaglio io non sono io. Sono un essere inferiore, al quale non puoi confessare la tua debolezza…
Lui. (la guarda in modo interrogativo)
Lei. …e neanche il tuo bisogno di affetto…
Lui. (pensoso, aggrotta la fronte)
Lei. … e con il quale non puoi essere complice di nulla…
Lui. (sempre più pensoso)
Lei. …neanche amico.
Lui. (con l’aria di chi ha preso una decisione) Ti toglierò il guinzaglio se mi garantisci di rimanere con me.
Lei. Vuoi togliermi il guinzaglio di cuoio, per mettermi un guinzaglio di altro genere?
Lui. Senza guinzaglio, sei libera.
Lei. Sono libera se tu non pretendi di disporre di me. E’ difficile rinunciare al potere, eh?
Lui. Accetto la sfida: so che comunque rimarrai con me.
Lei. Dev’essere un sapere trepidante, non troppo sicuro di sé. Si può essere forse sicuri che un re ti obbedirà?
Lui. ??
Lei. Io sono regina, mio caro, e tu re, certo. Ma né io né tu abbiamo sudditi, e ci deve andare bene così.
Lui (le toglie il guinzaglio) Va! (lei si alza in piedi)
Lei. Anche tu, vai libero! (Rivolta al pubblico): E voi, che cosa aspettate?
Terzo episodio: l’aula.
Aula scolastica. Cattedra e tre banchi. Insegnante =A. Le tre ragazze= B, C, D (la lettera, una volta scelte le attrici, verrà sostituita dal nome). Tutti e quattro i personaggi stanno leggendo un libro.
B (dopo aver scosso la testa, leggendo). Prof, che cos’è questa storia dell’onnipotenza di Dio?
A. Che cosa intendi dire?
B. Non mi tornano i conti: Dio è onnipotente, Dio è l’amore supremo. Non le sembra una contraddizione?
C. In effetti…
D. Io vorrei che questa contraddizione non ci fosse, ma devo ammetterlo: a occhio e croce, potere e amore non vanno d’accordo.
A. Perché?
D. Perché potere significa primato, controllo…
B. …sottomissione!
C. E magari violenza, ricatto, vendetta…
B. Tutte cose che col Supremo Amore hanno poco a che fare, non le pare?
A. State fornendo un’immagine del potere che mi fa pensare a una scena del film Schlinder List: c’è l’ufficiale delle SS che spara sul campo di concentramento, uccidendo chi vuole, onnipotente sulla vita e sulla morte di quei poveracci.
B. Perché, il potere è forse diverso?
C. In tutto il mondo il potere è più o meno così: controllo sugli altri…
B. …sfruttamento degli altri!
D. E anche brutalità, sì.
A. Questo è dunque il punto di partenza del nostro discorso. Si dice che il potere sia controllo, dominio, sfruttamento, sottomissione, e che un potere totale, l’onnipotenza, dovrebbe essere incompatibile con l’amore. Voi avete dato per scontato che potere sia questo. E avete detto, o sospettato, o temuto che potere e amore siano incompatibili. Ma anche sull’amore, credo, avete dato per scontato qualcosa.
D. Non lo abbiamo definito, in effetti.
C. Secondo me, amore è…gioia nel vedere quella persona lì, è sentirsi sorpresi che ci sia, e sia così. (rivolta alle compagne) No?
B. Ma tu parli dell’essere innamorati, C, e l’amore non è solo questo.
C. Ma è anche questo, o forse prima di tutto questo.
D. Forse a partire da questo tipo di amore si può comprendere ogni altro amore. L’essere contenti che l’altro esista, non è forse tipico di ogni amore?
A. Anche dell’amore, ad esempio, di una madre per il suo bambino?
B. Caspita, certo: altrimenti, che amore è? Se una madre non è contenta che suo figlio esista, allora…
A. Anche l’amore dell’insegnante per gli allievi è questo?
C. Perché no? Se c’è, naturalmente. Sa, prof, adesso che siamo in pochi possiamo anche dirlo: mica tutti i prof ci amano!
A. Stai insinuando che invece di amare, esercitano potere?
B. Ecco che ritorniamo al nostro tema: amore e potere.
A. Ma un certo potere, l’insegnante lo deve esercitare o no?
D. Esercitarlo per amare, intende dire?
A. Sì, c’è da chiedersi se per amare occorre anche esercitare un potere. Quella madre che è tanto contenta che il figlio esista, deve esercitare un certo potere o no?
C. Se non solo è contenta che il figlio esista, ma vuole anche che cresca…
A. Ma stai completando la definizione di amore! Amore non è soltanto godere della presenza, ma anche volere la crescita e lo splendore della persona amata…
C. …e se la persona amata è piccola e non può governarsi da sé, allora occorre disegnarle attorno un cammino di crescita, e questo implica un certo controllo, un certo potere.
D. Un potere, direi, “servizievole”, quel potere che è un valorizzare.
B. Ma c’è sempre il rischio che questo potere educativo diventi un potere vero e proprio, quello che abbiamo descritto all’inizio, fatto di dominio. Allora io plasmo il figlio secondo la mia arbitraria preferenza, e godo nel dominarlo. Allora quel figlio è “mio” nel senso peggiore del termine.
A. Anche gli alunni possono essere “miei” nel senso che su di loro esercito un potere, e sulla loro pelle celebro la mia potenza.
B. Una potenza correttiva, punitiva, anche plasmatrice.
C. Credo che sia forte la tentazione dei prof. di modificare il nostro pensiero.
D. Ma quando si parla di plasmare, o di creare, si torna a parlare di Dio, cioè dell’onnipotente creatore.
A. Sì, il Dio della tradizione cristiana è onnipotente e creatore
B. Onnipotente e amante? Oppure onnipotente, dunque non amante?
D. Ma chi ama, non desidera forse potere?
A. Potere in che senso?
D. Quel potere che i bambini attribuiscono alle fate: un potere benefico, un potere per accontentare, per fare contenti.
A. Dunque un potere che è mosso dall’amore.
C. Ma allora potere e amore non sono incompatibili!
B. Calma: per ora diciamo che c’è potere e potere.
D. Potere di dominio e potere di servizio?
B. Chiamiamoli così, se ti piace. Ma io diffido comunque del potere.
D. E dell’onnipotenza in particolare, mi sembra.
B. Sì, dell’onnipotenza che schiaccia, che soffoca, che annulla.
C. O che crea?
B. Non potrà creare certo la libertà, l’onnipotenza: mi sembra una contraddizione in termini.
A. E se distinguessimo due tipi di potere, come abbiamo detto prima?
C. Allora il potere sarebbe capace di volere la libertà.
B. Anche una libertà che può levarsi contro di lui?
D. Altrimenti non sarebbe libertà.
B. Non è facile capire un potere del genere.
D. Anche l’amore umano genera.
C. E genera la potenzialità di ribellione.
A. Difatti voi giovani non raramente contestate i genitori.
C. Che quindi hanno usato rischiosamente il loro potere generativo.
D. Secondo me, è lo stesso rischio di Dio.
B. Ammesso che Dio esista, ovviamente.
D. Ammesso che Dio esista.
A. Certo. Ed è in nostro potere credere o non credere.
C. Anche questo è un potere!
B.(pausa) Il potere fa girare la testa, ma anche i discorsi sul potere fanno girare la testa.
A. Puoi proporre di interrompere questa conversazione, se vuoi.
B. Già, posso: ancora il potere. Posso uscire?
A. Puoi, anzi, possiamo tutti uscire. (sorridendo) L’importante è che il pensiero non esca da noi.
D (divertita) Ma possiamo trattenerlo?
A. E’ a casa sua, quando è in noi. Se lo scacci, eserciti un potere violento.
B. Che ci resti, allora, il pensiero: il pensiero sia con voi (alle amiche), e con lei, prof.
A. E’ un bel saluto filosofico. Ma un po’ teatrale, direi. (ridono tutti). Sipario
Quarto episodio: il palco.
A sinistra palco-leggio e oratore che ha, a tratti, l’aria del politico-profeta, con modi, toni, gesti decisamente enfatici, a tratti quella dell’ intellettuale raffinato, compiaciuto di sé e delle sue parole. Il pubblico a destra è composto da dieci persone (1-10. Gli interventi del pubblico sono indicati in corsivo, corsivo sottolineato quando il tono di voce è più forte, e la parola è indirizzata all’oratore, che la coglie e risponde).
Cari concittadini,
1. Vedremo alla fine se ti siamo davvero cari
ho una cosa importante da dirvi, oggi. Una cosa de-ci-si-va.
2. ma chi si crede!
3-4-5 scuotono la testa, scettici
Sì, cari concittadini, io vi propongo una vera e propria svolta di civiltà. Siete o non siete stufi di questo andazzo mediocre?
6. ma che cosa vuol dire?
Non vi sembra che nostra società sia diventata un piagnisteo inconcludente? E che il mondo intero stia diventando un grande pascolo dove tranquille pecore belanti si mangiano la loro erbetta con aria soddisfatta, mentre i pastori e i cani sonnecchiano anche loro, e tutti vivono felici e contenti, come nelle favole?
7. ma se ci sono un sacco di guerre e guerriglie; ma cosa dici!
Sì, amico, ci sono le guerre, oggi nel mondo, ma ci saranno per poco. La tendenza del mondo è invece quella che ti ho descritto. Ed è una brutta tendenza!
8. Ma come, un mondo senza guerre sarebbe brutto?
La pace, la pace, la pace! Tutti si riempiono la bocca con questa parola, che sembra magica: pace! Tutti la pronunciano come in estasi, rapiti in chissà quale visione stupenda: pace!
9. Questo qua è un tipo pericoloso.
10. Scusi, ma che cosa non va, della pace?
La pace è la morte, amico. La pace è sonno e morte, amico. Tutti fermi, tutti buoni, tutti scemi: ecco che cos’è la pace. E aver paura di pestare il piede al vicino, di esporsi a dire una cosa con vigore, e con forza! Dove va a finire la forza, se c’è pace? Pecore e buoi diventiamo con la pace. Diventiamo dei castrati miti e impotenti.
3. Questo qui soffre di qualche complesso
4. Ma senza potenza, non siamo uomini?E poi, che cos’è ‘sta potenza!?
Proprio così, amico. Senza potenza non siamo uomini. La potenza è la forza, la capacità di imporsi, e quando vedi uomini che si affrontano e lottano, e tirano fuori tutte le loro armi, e non hanno paura del confronto e dello scontro, e si buttano nella mischia, rischiando la pelle, allora – mi dico – ciò che è umano celebra finalmente il suo trionfo.
5. A lei, insomma, piace la giungla!
Non hai torto, amico.
2. E dagli con questo “amico”
La giungla non è altro che natura. E la natura insegna che alla fine conta la forza, e l’astuzia accompagnata alla forza. E’ molto artificiale, assurda e devastante, cari concittadini, questa nostra morale della compassione, delle lacrimucce, del volemose bene.
6. Ma anche lui continua a dire “cari”.
E’ una morale contro natura. Rispettare, rispettare, rispettare: ecco la parola d’ordine di una società che va al meno, che invecchia e diventa rimbambita. Dominare, dominare, dominare, questo è il vero slogan. Largo ai giovani, largo alla forza giovane, largo all’energia; largo alla lotta e alla guerra: questo è il nostro lontano passato, e questo deve tornare ad essere il nostro futuro!
8.Quello lì ci fa ritornare all’età della pietra.
9. Ma lei vuole che diventiamo belve?
Io voglio che si risvegli la belva che è in ciascuno di noi. Non si tratta di diventare belve, ma di prendere atto che lo siamo. Siamo tutti magnifiche bestie da preda. Fuori gli artigli!
[1-10 con la mani verso di lui, le dita ben protese]: grrrrrrrrrrrrrr! [e intanto ridono] grrrrrrrrrrrrrrr!
Voi prendete come un gioco quello che vi ho detto, e ridete, ma la faccenda è veramente seria. Ne va, come dicevo, della nostra civiltà, del nostro futuro. L’alternativa è questa: o un’umanità fiacca, rammollita e insulsa, o un’umanità ruggente e vitale. Ognuno di noi è pieno di desideri: liberiamoli, finalmente! E i desideri si metteranno a correre, felici, per raggiungere la loro meta. Non importa se incontreranno altri desideri che hanno la stessa meta e gliela contendono. Anzi, così è bello. Perché allora nascerà la lotta, e vincerà il migliore, cioè il più forte.
7. Ma lei qualche annetto più di noi ce l’ha, e allora avrà la peggio, se ci mettiamo a lottare
Non è questo il punto. Quello che conta è che ciascuno partecipi al grande gioco della natura, al grande gioco della vita. Se poi soccombi e muori, bene, vuol dire che è finita. Con la morte finisce tutto, per me e per te. Ma la grande gara della vita continua ancora, ed è l’unica cosa che vale e che conta. Ed è bello soccombere, quando appare il vero dominatore, quando hai davanti il forte per natura, quello che è fatto apposta per dominare.
5. Questo qui è un masochista,
1. E se i forti sono anche scemi?
I forti sono forti in tutti i sensi, e io per forza non intendo solo quella fisica, ma anche il coraggio temerario della mente e del cuore, amico
1. Guardi che delle sue idee non mi sento per niente amico
E’ perché non ha ancora capito la profondità, la novità, la portata salvifica del mio messaggio: quando dico che devono comandare i forti, intendo dire che devono comandare i migliori, i nobili fra noi. I leoni, insomma.
6 a 8: vedi che non ha le idee chiare sulla forza?
Vi è stato detto che il futuro dell’umanità sta nella pace, nella fratellanza e nella democrazia. E io vi dico che la felicità futura avrà il nome di guerra, gara, dominio dei pochi sui molti.
8. Guardi che queste cose le abbiamo già sperimentate un sacco di volte, e non siamo stati per niente felici!
Ma bisogna cambiare la mente, per godere di tutto questo! Finchè siamo imbottiti di idee meschine, e ci riempiamo la mente della parola solidarietà, e aiuto, e compassione, e uguaglianza, e cose del genere, ci parrà brutto il mondo vero, naturale. E’ come quando si ha nausea, e anche un pasticcino alla crema ci fa schifo. Ma dopo aver ben vomitato tutto, e lo stomaco è a posto, allora sì che il cibo piace. Vomitiamo dunque tutte quelle balle sulla fratellanza e sull’essere tutti uguali, amici, e uniamoci nel patto della natura, quello che ci mette felicemente gli uni contro gli altri, perché il desiderio più forte e più grande vinca il suo premio. Io, amici…
10. amici o nemici?
…sono molto preoccupato per questa umanità misera e meschina, fanatica di garanzie e di controlli, che si agita nei dibattiti e nelle cabine elettorali, e intanto invecchia e torna bambina, piagnucolando di tutto…
9. E le cabine elettorali, con che cosa le sostituiamo?
Le cabine sono un monumento di stupidità. Tutti ammassati lì, a decidere gli attori di una messinscena deprimente, come quella della nostra cosiddetta “vita democratica”. Ma andiamo! Niente più perdite di tempo del genere, niente più pagliacciate. Lasciate fare alla natura, e vedrete che chi deve comandare comanderà.
4. ma questo è il sistema di governo delle cosche mafiose!
Basta con i ridicoli riti del diritto di voto dato a tutti, anche a quelli che non ci capiscono niente, e sono buoni soltanto come servi obbedienti di quelli che sanno che cosa fare nella vita.
6. E che cosa si deve fare, nella vita?
Vincere, mio caro, vincere. Vincere le sfide e le battaglie, vincere gli altri, anche, vincere i limiti, abbattere gli ostacoli, dire un grosso sì alle proprie voglie, e non tirarsi indietro, quando c’è qualcosa da prendere…
7. (tono ironico) Ah, già: dobbiamo essere belve da preda.
… perché prendere è la sostanza della vita.
9.(rivolto agli altri) E se gli prendesse un accidente?
(raccoglie la battuta) perché, non è così? Non fate anche voi così, non prendete tutto quello che capita? (espressioni pensose nel gruppo-pubblico) Tu (indica una persona, nel gruppo) non ti fai dare soldi dai genitori il più possibile? E tu (indica un’altra persona) perdi forse qualche occasione per mostrarti e avere successo? E tu (indica un’altra persona ancora) non hai in mente una bella carriera, e dopo prendere tanti soldi, e dopo coi soldi prendere tante cose? E tu (id.) non ti dai da fare per prendere il ragazzo della tua amica? E tu (id., rivolto a un maschio del gruppo) non sfrutti l’ingenuità di tante ragazze per prendere qualche razione di sesso? Tutti voi cercate di prendere! Tutti voi siete pronti a ghermire, come le belve! E se qualcuno vi toglie un piacere, non tirate fuori gli artigli? Tutti prendono, tutti usano gli artigli. E i dirigenti di un’azienda, non lottano tra loro a morte? E le aziende, non si confrontano con ogni mezzo nella savana del mercato? Suvvia, siamo meno ipocriti, e meno contradditori. Liberiamo del tutto questa nostra natura, e non nascondiamola con falsi discorsi di pace, fratellanza, solidarietà, democrazia. Sì, democrazia: ma quale? E’ la lotta degli appetiti, credetemi, nient’altro che quella. E pace, ma quale! La pace dei coltelli affilati di continuo…
5. Ma allora, ci siamo già nella giungla?
Ci siamo già, e non ancora. Ci siamo troppo timidamente
3. A me sembra: troppo spavaldamente!
Il bello deve ancora venire. Accogliete con gioia il bello che viene, concittadini. Non spaventatevi nell’andare fino in fondo, amici. (lasciando il podio e uscendo dalla scena) Via l’uomo vero, amici, viva l’uomo-belva! Viva il desiderio! Viva chi prende! Viva chi prende tanto! Viva chi prende tutto!
2. Sconcertante!
3. Ma possiamo accettare queste idee?
4. E se le avessimo già accettate?
7. Io non le voglio accettare.
8. Si può non accettarle.
9. Sì, si può.
Quinto episodio: la panchina.
Giovane donna di colore vistosamente incinta, seduta su una panchina (meglio se un poco rovinata, vecchia), aria assorta e sofferta. Non parla, ma pensa e assume espressioni, atteggiamenti, portamento consoni alle parole che vengono diffuse.
Piccolo mio, eccoci qua. Non tra alberi ed erba, e animali che passano, vicini a una capanna povera, ma mia e tra i miei, come sognavo da piccola. Eccoci qua, invece, in una città grande, dalle case altissime e le vie asfaltate, piena di auto e di rumori, non mia.
Il papà non c’è più, piccolo mio. Non può essere seduto qui con noi su questa panchina. Il bel corpo che aveva si è ammalato strada facendo, venendo qui con speranza. E non c’è stato niente da fare, se non piangere con lui fino alla fine. Anche tu hai pianto, lo so, ti sentivo. Tu mi sentivi, e per questo hai pianto con me. La riconoscevi già, la sua voce? Hai registrato il suono delle ultime parole che ha detto?
Piccolo mio, tuo padre mi è stato strappato con violenza, e sono tutta ferita. Vorrei ancora una volta abbracciarlo e tenerlo stretto a me, dopo aver riso e scherzato, ed aver finto con dolcezza di respingerlo. Mi basterebbe averlo ancora qui davanti a me, e solo guardarlo un poco, e lui me, e neanche dire una parola, ma solo lasciar parlare gli occhi che dicono meglio le cose. Imparerai anche tu che cos’è l’amore, piccolo mio, te lo auguro di cuore. E’ dal nostro amore, che sei venuto. Ti aspettavamo. Ti abbiamo voluto. Stavamo bene insieme, e non potevamo tenere quel bene solo per noi. Non potevamo fare festa solo tra noi, senza invitare nessuno. Tu sei il primo invitato, tu, nostro figlio. Volevamo offrirti non solo il nostro affetto, ma anche una vita più bella di quella laggiù. A me piaceva quella vita. Ma era tanto povera. E senza avvenire. Tuo padre lo voleva un avvenire, per noi e per te. E aveva tanto coraggio, sai? Per questo siamo partiti, rischiando tanto, rischiando troppo, amore mio!
Eccoci qua, piccolo mio. Sarà dura, per me e per te. Dovremo per tanto tempo trepidare incerti per ogni cosa che ci serve. Non ho ancora un lavoro. Forse ci sarà, mi hanno detto qualcosa, ma niente di sicuro. Guadagnerò comunque poco, piccolo mio. E come farò con te? A chi ti affiderò? Questo è il pensiero che più mi fa soffocare, come se non ci fosse una via d’uscita. Ma non scoraggiarti. Tua madre ti farà anche da padre. Quella voglia di vita da cui sei venuto mi aiuta a volere e sperare, comunque. Nonostante tutte le difficoltà. Certo, se ci fosse lui…Ma ci sono io, per te. E ci sei e ci sarai tu, per me. Ma non ti chiuderò nel mio recinto di affetti, sarai libero, da grande; non ti ho voluto per metterti un laccio, ma perché tu danzassi libero, scegliessi la tua vita. Come abbiamo fatto noi, tuo padre ed io. Rischiando, anche, rischiando troppo, amore mio!
Non è impossibile che qualcuno ci aiuti, piccolo mio. Qualche sguardo buono l’ho già visto. Non posso pensare che tutti siano indifferenti, in questo Paese e in questa città. O nemici. Noi, che sappiamo dell’amicizia e dell’intimità, possiamo pensare di averle in esclusiva? Quello che è tra noi, quello che è stato tra tuo padre e me, è sicuramente anche altrove, anche qui. Solo che questa amicizia accogliente è timida, non è così forte da strappare il sorriso di tutti. Auguriamoci di incontrarla, piccolo mio. E non importa che sia timida, le faremo festa lo stesso. Sarà per noi speranza, amore mio. (resta in silenzio qualche secondo)
Una giovane donna entra in scena e le si avvicina; le chiede, in modo intenso e partecipe, “Posso…?” La risposta, non immediata, ma poi viva e consolata, con calore: “Sì, puoi”.
Epilogo
Socrate e Critone sono entrati in scena. Critone è visibilmente agitato
Socrate. Che ti succede, Critone? Mi sembri uno spaventapasseri colpito da una scossa elettrica!
Critone (esitante, “strozzato”) No, no, Socrate…è che…
Socrate. Hai fuso il cervello e inceppato la parola, Critone? (sorridendo) Questi sono dunque i frutti del teatro filosofico?
Critone. (respira a fondo e si sforza di fare un discorso intelligibile) No, non sono impazzito, Socrate, cioè sì, c’è un po’ di pazzia in me, ma in senso filosofico (un po’ ansimante ancora): la mia mente è eccitata dai tanti stimoli ricevuti, e la mia parola…sono come una bottiglia piena improvvisamente stappata e rovesciata: sai che il liquido fa fatica a uscire, quando è tutto lì che si affolla in un’apertura ristretta!
Socrate. Allora incliniamo un po’ la bottiglia, Critone, e facciamo in modo che l’acqua esca in modo tranquillo e nella giusta quantità. Che impressione hai avuto, di questi cinque episodi?
Critone. Sento ancora lo strepito del motore e la voce sommessa della giovane donna incinta…
Socrate. Il motociclista vuole imporsi, e la giovane donna fa venir voglia di deporsi, di mettersi a disposizione.
Critone. Anche la ragazza-cane invita a deporre l’idea del possesso e del dominio su un altro essere umano, questo l’ho ben capito. Ma come mai, Socrate, ha parlato di una regina e di un re senza sudditi?
Socrate. Mio caro, ognuno deve regnare su se stesso, in primo luogo. E’ assurdo voler imporsi con la forza a tanti, ed essere incapaci di dire no ai propri desideri e capricci, incapaci di comandare a se stessi: chi si comporta così, è un servo, non un re, ti pare?
Critone. E’ vero, Socrate! E’ proprio vero. Ma, sai, la prospettiva del potere fa molto effetto, su noi giovani. Quelle idee del comizio sulla forza e sul dominio ci attirano parecchio. Magari non ci interessa tanto la politica, ma il successo sì ci attira, eccome!
Socrate. Lo so bene, Critone. I maschi prediligono i modi decisi ben dosati con l’astuzia, le femmine contano molto sulla seduzione.
Critone. Anche loro, dunque, cercano di dominare.
Socrate. Usano anch’esse i mezzi a loro disposizione per avere potere sugli altri, per “vincere”.
Critone. E qual è la vittoria, Socrate?
Socrate. Ecco il punto, mio caro Critone. Proprio questo dobbiamo cercare di capire!
Critone. Tu dirai che vincere è diventare migliori.
Socrate. Sinceri con se stessi, tanto per cominciare.
Critone. Ma sai Socrate, quante persone mentono a se stesse? Sai quanta gente non si guarda mai allo specchio? Sì, si guarda quando si fa la barba o si pettina, ma in realtà non si guarda dentro, non si vede per quello che è!
Socrate. E’ un guaio, Critone, un grande guaio. Quel tipo che fa il duro tenendo a guinzaglio una donna non si è guardato allo specchio. Non ha capito il suo vero bisogno.
Critone. Lei lo ha aiutato a guardarsi allo specchio.
Socrate. Proprio così. (intanto passa la cassiera)
Critone. E lei (la indica) Socrate, si guarderà allo specchio?
Socrate. Glielo puoi chiedere! Così le potremo anche chiedere qualcosa dello spettacolo.
Critone. Senti! (lei si volta, lui esita un poco) Ti vorremmo chiedere…
Cassiera. Sì?
Socrate. Il mio discepolo ti vorrebbe chiedere se ti guardi allo specchio (la guarda con aria circospetta, come per cogliere l’effetto della domanda)
Cassiera (guarda un po’ l’uno un po’ l’altro, con un certo imbarazzo, inframezzato da qualche sorriso divertito) Certo che mi guardo allo specchio, non si vede? Non sono a posto con i capelli e col trucco?
Critone. Ma certo, non è questo…Non è a quello specchio che ci riferiamo…
Cassiera. A quale allora?
Socrate. Ci sono o no persone false?
Cassiera. Ce ne sono, ce ne sono, Socrate! Puoi stare sicuro che è così.
Socrate. Ma è falso solo chi dice bugie agli altri, o anche chi mente a se stesso, ostinandosi a vedere in se stesso un certo tipo di persona, che in realtà non esiste affatto?
Cassiera. Hai parlato un po’ difficile, Socrate, ma credo di aver capito, e ti rispondo di sì, che è vero. Ma non è semplice, sai, guardarsi a quello specchio di cui parli tu.
Critone. Lo credo anch’io. Però (infervorato, rivolto a Socrate) anche il teatro filosofico è una specie di specchio che aiuta a vedersi meglio, non è vero?
Socrate. Dici bene, Critone: filosofare è guardare dentro e guardarsi dentro, anche.
Cassiera. Io ho capito in effetti qualcosa, guardando lo spettacolo.
Socrate. Che cosa, soprattutto?
Cassiera. Che vivo senza troppa consapevolezza, un po’ così, con la testa per aria, con dei pensieri e dei progetti, anche, ma senza meditarci davvero.
Critone. Vedi, Socrate? Il teatro filosofico funziona!
Socrate. (prudente nel tono) Vedo, vedo. (rivolto alla cassiera). E che cos’altro hai imparato?
Cassiera. Ho imparato che la scuola è bella, Socrate, e che ho fatto male a non continuare. Sai, fatte le medie, ci ho provato un po’ e dopo… E poi si comincia a diventare più adulti, si vuole avere qualche soldo in tasca…Così ho mollato, con la scuola. Ma quella chiacchierata delle tre alunne con la prof mi ha risvegliato il rimpianto per quello stare insieme a cercare delle risposte.
Critone. Hai sentito che bella definizione di scuola, Socrate?
Socrate. E’ la nostra, Critone: scuola è cercare insieme.
Critone. Ma sai che quel quesito sull’amore onnipotente e nello stesso tempo fondatore della libertà è davvero intrigante? L’idea di un amore non possessivo, ma liberante è un crocevia di ragionamenti, grande Socrate.
Socrate. Sì, certo. Ma la nostra cara cassiera diceva, prima dello spettacolo, che lei preferisce i baci ai ragionamenti, e che altro è la filosofia, altro l’amore. E che è l’amore quello che conta, nella vita.
Critone. Ma scoprire che è l’amore che conta, non è filosofia?
Socrate. E’ proprio così: scoprire quello che conta è vera e propria filosofia.
Cassiera. (vivacemente soddisfatta) Allora sono anch’io tra i filosofi, ma tra quelli “giusti”, però, non quelli…(gesto che indica l’astrattezza, la lontananza dalla vita…)
Socrate. Che bello, eh, Critone? Sembra che adesso sia la nostra cassiera a sentire il formicolio sulla schiena, quello che avvertivi tu prima. Le stanno crescendo le ali dell’amore filosofico, mio caro Critone!
Cassiera. (divertita, ma come chi ha capito) Se mi spuntano le ali, mi prendono per una gallina!
Socrate. Ma no, per una colomba, semmai. Ma hai capito benissimo: io parlo delle ali del pensiero e dell’anima.
Cassiera. Sono romantica, ve l’ho detto. E alla fine questa immagine delle ali mi piace. Ma adesso devo andare. Lui mi aspetta. Chissà (è divertita) se riuscirò a contagiarlo con la filosofia! (esce fuori)
Socrate (guarda in là – vede gli attori – sorride) “Ci riuscirai di sicuro. Ma rimani ancora un momento con noi. Faremo una foto con tutti gli attori e collaboratori (li invita a venire con un gesto della mano). Dai, Critone, fa entrare luce in quella tua misteriosa scatoletta!
Critone (inquadrato mentre armeggia con la macchina fotografica) Pronti? (Intanto tutti sono intorno a Socrate; tutti gli attori e collaboratori vengono ripresi con sequenza di scatti, a mo’ di foto-diapositive di una volta, belli fermi e con l’occhio all’obiettivo, o comunque in posa).
Durante gli “scatti”, si alternano queste voci:”Io posso” “Tu puoi” “Noi possiamo”/”Sì, davvero io posso” “Sì, davvero tu puoi” “Sì, davvero noi possiamo”

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