Joachim Haspinger: un cappuccino contro Napoleone.

Bene hanno fatto Irene Bertoglio e Giovanni Lissandrini a richiamare l’attenzione, proprio dalle pagine di questo sito, intorno alla necessità di recuperare, finchè siamo ancora in tempo, la nostra memoria storica, le nostre tradizioni, in una parola, la nostra cultura: qual comune sentire che ci lega indissolubilmente a chi ci ha preceduto e che può darci ancora forza, fiducia e indicazioni per il futuro. Il problema italiano, ma più in generale, occidentale, è che della storia, delle radici autentiche dei popoli europei, abbiamo una visione ed una conoscenza ormai filtrate da oltre due secoli di ingerenze massonico-illuministe e, a partire specialmente dal secondo dopoguerra, da decenni di storiografia di ispirazione marxista-progressista. In tale contesto, le vicende storiche cessano di essere analizzate obiettivamente, circostanziate nel loro tempo, ma vengono sezionate in un’ottica ideologica che porta ad estrapolare le vicende dal loro reale contesto e tende a dividere i protagonisti in buoni e cattivi, secondo schemi preconcetti e artificiosi, senza possibilità di redenzione per questi ultimi. I testi scolastici sono inzuppati di luoghi comuni sull’Inquisizione, la scoperta dell’America, Galileo, tanto per ricordare i casi più noti in cui l’intellighentia illuminista-progressista ha martellato, e martella, generazioni di studenti.

Altri fatti o personaggi, non in linea con il pensiero dominante sono addirittura ignorati. Dopo aver presentato la figura di Marco d’Aviano (vedi: "Marco d’Aviano – Il medico spirituale dell’Europa”. In: Storia. Ndr.), prendo in considerazione un altro religioso oggi quasi del tutto dimenticato, una figura di frate senza ombra di dubbio poco, o nulla, allineata ai canoni dell’ortodossia massmediatica odierna: padre Joachim Haspinger. Padre Joachim, collaboratore e compagno d’arme di Andreas Hofer, fu uno dei leader indiscussi della resistenza tirolese contro le truppe napoleoniche; gli eventi che lo vedono protagonista, sono intrecciate indirettamente a quelle di migliaia di persone, uomini e donne di ogni parte d’Italia e d’Europa, e che per la storiografia “di massa” quasi non sono mai esistite, così come il “movimento” che lì unì in un’epica lotta impari: parlo delle insorgenze, naturalmente, che nei testi scolastici sono spesso appena accennate, bollate talvolta come eventi di resistenza armata isolata, marginale, attuata da sparuti gruppi di contadini ignoranti, guidati, anzi soggiogati da preti fanatici che si opponevano al progresso, all’uguaglianza sociale e alla libertà portate dalle baionette delle armate napoleoniche e dai loro alleati. Joachim Haspinger nasce in Val Pusteria il 27 ottobre 1776, viene battezzato con il nome di Johann Simon; figlio di contadini, ha comunque la possibilità di frequentare il ginnasio a Bolzano. Spirito battagliero, profondamente legato alla propria terra ed ai valori che questa incarna, tra cui una profondissima religiosità, già a 19 anni lo incontriamo arruolato una compagnia di Schützen, dove si fa notare per il suo coraggio, tanto da meritarsi una medaglia al valore. Dal 1799 al 1802 studia filosofia presso l’università di Innsbruck e nello stesso anno entra nell’Ordine dei Cappuccini: il 1 settembre 1805 diventa per il mondo padre Joachim.

Predicatore ispirato, ben presto viene chiamato in vari angoli della sua terra a predicare il Vangelo; le sue prediche, narrano le cronache del tempo, sanno toccare le corde della sensibilità e dell’anima della sua gente. Sarà questa un’esperienza fondamentale per le future prove che egli dovrà sostenere pochi anni dopo. Sono anni terribili in Europa: il millenario Sacro Romano Impero è stato sciolto, liquefatto; a seguito della battaglia di Austerliz, la “Provincia del Tirolo”, comprendente il territorio fra l’Inn e le Alpi, l’attuale Alto Adige e il Trentino, viene assegnata in base al trattato di Pressburg (26 novembre 1805), l’attuale Bratislava, al Re Massimiliano di Baviera, alleato di Napoleone. La Baviera era allora retta politicamente dalla cosiddetta “Setta degli Illuminati”, i cui membri erano, in larga maggioranza, animati da forte spirito anticattolico. I primi atti politici compiuti dal governo degli Illuminati bavaresi provocarono la scintilla per la rivolta. Con un decreto del 1806 si stabilì che la Chiesa venisse sottoposta al controllo statale, i Vescovi non potevano più nominare nuovi sacerdoti e sarebbe spettato al governo anche la nomina dei nuovi parroci. Nel 1809, il marchese di Montgelas, ministro del re di Baviera, con un atto di imperio e senza motivo apparente, se non seguendo coerentemente il suo pensiero giacobino, soppresse di colpo tutte le cerimonie del culto cattolico: proibì processioni, matrimoni e funerali religiosi, e addirittura il suono delle campane. Il cattolicissimo popolo tirolese inoltrò al re di Baviera le proprie rimostranze, affinché fosse ritirato il "decreto empio e liberticida", come venne definito. La richiesta fu respinta e la reazione, quasi immediata, fu la rivolta di un popolo, l’insurrezione in massa. Secondo molti storiografi, soprattutto di matrice progressista, le cause principali della rivolta tirolese sono da attribuirsi all’introduzione della leva obbligatoria e all’aumento delle tasse imposto dai nuovi governanti: certamente questi fatti contribuirono non poco a far accrescere il malcontento specialmente delle classi contadine e piccolo borghesi, ma quasi mai si prende in considerazione l’aspetto religioso, l’anima spirituale e culturale di questo popolo che prese le armi per difendere la sua cultura, il suo modo di vivere, di educare i figli e di morire, in un’assonanza immediata che ci porta con il pensiero alle analoghe vicende della Vandea.

Il 1809 fu un anno terribile per l’Europa e per i cattolici in particolare: Papa Pio VII, dopo aver lanciato contro Napoleone la scomunica, venne arrestato dai francesi e, da Roma, tradotto in esilio. Il Tirolo nel frattempo si infiamma: all’appello di Andreas Hofer accorrono migliaia di volontari, di lingua tedesca, ma anche italiana, trentini che Hofer definì i “dilettissimi Tirolesi Italiani “. Furono numerosissimi anche i sacerdoti a prendere le armi e a rispondere al richiamo della “Heimat”: fu soprattutto una battaglia religiosa, tutti, infatti, si rendevano conto che le disposizioni emanate, se fossero state applicate, avrebbero annientato un popolo intero, lo avrebbero sradicato completamente ed ineluttabilmente dal suo passato, gli avrebbero sottratto quell’humus fertile di storia e storie, di patrimonio religioso e culturale condiviso, che solo cementa l’anima di una Nazione. Inoltre, su precisa disposizione di Hofer, dopo ogni scontro, ogni vittoria, si doveva celebrare una Messa o una processione in onore del Sacro Cuore di Gesù. Padre Haspinger, novello Marco d’Aviano, guidò in prima persona le truppe contadine in diversi scontri, sempre brandendo il crocifisso, tenendolo sempre in alto in modo che tutti i combattenti, amici, ma anche nemici, potessero vederlo. Certo questo suo modo di porsi può risultare indigesto a qualche sacerdote moderno, e a molti cattolici “adulti”, fautori del dialogo sempre e comunque, a qualunque costo, anche scendendo troppo spesso a compromessi intorno ai fondamenti della nostra fede. Padre Haspinger e i sacerdoti tirolesi fecero quadrato intorno al Papa, intorno ai valori naturalmente cristiani dei loro conterranei. Addirittura, padre Haspinger, oltre che cappellano militare, divenne comandante di una compagnia di Schützen, partecipò direttamente a vari scontri e a lui fu riconosciuto il merito principale della vittoria delle truppe popolari tirolesi contro i franco-bavaresi al Berg Isel, presso Innsbruck, il 13 agosto 1809. La strenua difesa dei trentino-tirolesi fu definitivamente stroncata nel 1810.

Andreas Hofer, catturato, fu portato in catene a Mantova e fucilato per ordine dello stesso Napoleone il 20 febbraio 1810. Un aspetto che varrebbe la pena approfondire, riguarda i cittadini mantovani, i quali raccolsero in pochi giorni 5000 scudi per la liberazione di Hofer: lo riconobbero come eroe delle lotte di liberazione antifrancesi e questo sfata alcuni luoghi comuni, ben orchestrati politicamente, sul fatto che la rivolta tirolese fu essenzialmente fenomeno locale e circoscritto alle popolazioni tedescofone dell’odierno Tirolo con risvolti nazionalistici pangermanici. Ma torniamo a padre Haspinger: dopo un’avventurosa fuga attraverso l’Italia settentrionale e la Svizzera, riuscì a raggiungere Vienna, dove fu ricevuto dall’Imperatore Francesco I il 2 e il 4 novembre 1810. Rimase due mesi nel Convento dei Cappuccini a Vienna. Nel 1812 gli fu ancora commissionata una missione segreta per valutare l’ipotesi di organizzare una nuova insurrezione in Tirolo, ma non ne sortì nulla. Quindi continuò la sua opera di religioso, di curatore d’anime fino al 1836 in varie zone della Bassa Austria poi fino al 1854 in altre diocesi austriache. In quell’anno l’Imperatore Francesco Giuseppe gli assegna un appartamento d’onore nel Castello di Mirabell a Salisburgo, dove morirà il 12 gennaio 1858 assistito dall’Arcivescovo della città. Il 16 marzo la salma di padre Haspinger fu traslata nella Hofkirche di Innsbruck e deposta accanto a quelle di Andreas Hofer e Josef Speckbacher. Certamente la figura di padre Haspinger va legata al momento in cui la storia lo pone al centro della scena in questo angolo di mondo; irruente, focoso, sovente impetuoso nelle sue prediche e oltremodo energico nel suo operare, ma non poteva essere diversamente in quell’epoca di violenza, materiale ed ideologica. La sua lotta deve essere vista come il tentativo dal basso, dal popolo, quello vero, fatto di persone, di comunità, non di soli “cittadini”, di difendere lo scorrere “naturale” della vita, fuori dagli schemi ideologici intellettualistici che con la forza delle armi i giacobini francesi, con i loro complici in tutta Europa, volevano imporre. E quando passiamo per qualche paese del Trentino o del Tirolo, magari la domenica, e sentiamo il suono cosi familiare delle campane a distesa, in un paesaggio unico al mondo, pensiamo a padre Haspinger e alla sua lotta per difendere, oltre alla sua patria, quel suono da chi, come il marchese di Montgelas e gli “Illuminati”, lo avrebbe voluto cancellare per sempre dalle nostre orecchie e dalla nostra anima.

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